2 agosto 2008

Benedetto XVI comincia dal Bahrein. Ma il vero obiettivo è l'Arabia Saudita (Pentin)


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Benedetto XVI comincia dal Bahrein.
Ma il vero obiettivo è l'Arabia Saudita


di Edward Pentin

Sembra impossibile anche solo a pensarsi: Papa Benedetto XVI potrebbe essere il primo Pontefice dell’epoca moderna a mettere piede nella penisola arabica.

Ma una visita del genere è davvero così probabile? Le ipotesi circa tale possibilità sono andate via via crescendo da quando, all’inizio di luglio, il re del Bahrein Hamad ha invitato il Santo Padre a visitare il suo paese. Il re è il primo Capo di Stato arabo ad invitare ufficialmente il Papa in udienza privata. La sua proposta arriva dopo un invito simile avanzato lo scorso anno dal vice Primo Ministro del Qatar.
Entrambi i gesti rivelano un interessante fenomeno che sta prendendo piede nella regione: la crescita del numero di cristiani che vivono lì e la conseguente pressione esercitata dalla loro presenza sui sovrani arabi, per gestirli al meglio. Il Bahrein, come la maggior parte dei paesi arabi, conta un alto numero di immigrati. I lavoratori stranieri ad oggi rappresentano il 35% degli abitanti del regno, mentre la cifra sale all’80% negli Emirati Arabi Uniti ed al 60% nel Kuwait.
Dunque, su una popolazione di 35 milioni di persone in tutta la penisola arabica, circa il 40% è composto da cittadini stranieri. In gran parte si tratta di cristiani o fedeli non-musulmani dell’Asia che, in alta percentuale, provengono da aree tradizionalmente cristiane, come le Filippine e l’India meridionale.
Statisticamente, oggi i cristiani rappresentano circa il 9% della popolazione del Bahrein, che ammonta ad un totale di 720.000 persone; in Arabia Saudita, la chiesa cattolica stima la presenza di 1.2 milioni di cattolici filippini, con un notevole aumento rispetto agli 800.000 del 2005, tanto da renderli il gruppo più numeroso di immigrati dopo gli indiani ed i bangladesi.
Non sorprende, quindi, che chi è al governo stia iniziando a valutare seriamente la situazione. Dopo tutto, la rapida crescita economica del Golfo è stata realizzata in gran parte sulle spalle dei lavoratori immigrati, e così, in larga misura, anche la crescita futura dipende dalla loro buona condizione.
Questo fattore ha indirettamente spinto il Bahrein ad inviare un diplomatico ebreo come proprio rappresentante negli Stati Uniti. Nel frattempo, a marzo è stata aperta la prima Chiesa cattolica del Qatar. Secondo il vescovo Paul Hinder, che opera a nome del Papa in Arabia ad Abu-Dhabi, i governo del Golfo entrano in “competizione” quando arriva il momento di adottare iniziative riguardanti il dialogo tra le diverse fedi.
Ma c’è ancora molta strada da percorrere prima che la piena libertà religiosa possa eguagliare quella di cui godono gli occidentali, anche in uno stato così liberale sul piano religioso come il Bahrein. La burocrazia e la distanza dalle questioni di governo, possono essere ritenute le cause principali del lento progresso nella libertà di culto. E questo salta agli occhi con una semplice visita ad una parrocchia cattolica. Ce ne sono solo 20 in tutto, gestite da gruppi di preti, in maggioranza frati cappuccini, responsabili della cura di centinaia di migliaia di fedeli in un’unica parrocchia, dato che il governo non permette che ne vengano costruite altre.
La Chiesa sta esercitando delle leggere pressioni sui sovrani, per poter ottenere più autorizzazioni, ma sta agendo anche in modo tale da indirizzare altre importanti questioni. In particolare, desidera ottenere maggiori tutele sul lavoro per il proprio gregge di fedeli. La maggior parte degli immigrati è composta da manovali e colletti blu, che guadagnano appena 10 dollari al giorno, in una regione piena di ricchezza.
Milioni di loro vivono in squallidi campi di lavoro e, nei casi peggiori, conducono una vita da schiavi in tempi moderni o da manodopera sfruttata. I domestici, per lo più cattolici filippini, sono particolarmente a rischio, dato che in migliaia sono soggetti ad abusi, imprigionati virtualmente dai loro datori di lavoro, senza alcun diritto di poter coltivare liberamente il loro credo. Inoltre, quasi tutti coloro che non seguono la fede musulmana nel Golfo, si sentono insicuri e temono di poter essere allontanati in qualsiasi momento.
Tutti questi problemi potrebbero essere affrontati e magari risolti da una visita papale, che sarebbe in grado di imprimere una forte spinta al dialogo interreligioso.
Un ulteriore fattore a sostegno della presenza del Papa in Arabia è rappresentato dalle attuali tendenze riformiste in casa saudita. Il re Abdullah sta lentamente cercando di tendere una mano alle altre religioni e di avvicinarsi alla modernità. Durante il mese di giugno, il sovrano ha radunato alla Mecca diversi capi islamici, per discutere sul modo migliore di dialogare con le altre fedi. E, alla metà di luglio, è divenuto il primo monarca di tutti i tempi ad ospitare un grandioso incontro interreligioso, riuscendo a riunire non solo importanti personaggi dell’Islam e del Cristianesimo, ma anche del Giudaismo.
Questi meeting rappresentano delle tappe fondamentali nell’intero processo, a seguito dell’incontro tra il re Abdullah e Papa Benedetto lo scorso anno a Roma, con lievi progressi nel campo della libertà religiosa (il culto privato non-musulmano ora non viene punito), e con efficaci misure repressive contro i terroristi sauditi. Sebbene non possa dichiararlo apertamente, data la presenza di estremisti nel suo governo, ci sono ben pochi dubbi circa il fatto che il re accoglierebbe con favore una visita dal Santo Padre.

Due sono gli unici ostacoli che si oppongono realmente ad una visita papale.

Primo, gli estremisti ovviamente manifesteranno il proprio dissenso. Molto, dunque, dipende dalle iniziative del re Abdullah e degli altri leader arabi per placare o screditare quella minoranza che tenta di far sentire la propria voce.

Secondo, per il Papa si pone un problema di protocollo – quali Stati dovrebbe visitare? Potrebbe, ad esempio, recarsi nella regione senza fare una visita in Arabia Saudita? “Sarò più che felice se un giorno si realizzerà la possibilità di una visita” ha dichiarato il vescovo Hinder. “Ma penso che sarà necessario ancora del tempo, data l’implicazione di numerose questioni”.

Se dovesse accadere, Benedetto XVI non sarà il primo Papa ad effettuare un viaggio in quell’area: Papa Shenouda III, a capo della Chiesa copta d’Egitto, ha visitato gli Emirati Arabi Uniti lo scorso anno, per inaugurare una nuova chiesa copta ad Abu Dhabi. Tuttavia, una visita da parte del successore di Pietro, attirerebbe un’attenzione senz’altro maggiore, portando con sé alcuni vantaggi tangibili per la gente di tutta la regione.

© Newsmax.com

Traduzione Benedetta Mangano

© Copyright L'Occidentale, 2 agosto 2008

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