1 agosto 2008

Intervista a Mons. Ranjith sulla Liturgia: "Perché Papa Ratzinger recupera il sacro" (Politi)


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Su segnalazione di Francesco, dalla Spagna, leggiamo questa splendida intervista a Mons. Ranjith sulla Liturgia.
Complimenti a Politi per la scelta dell'argomento
.
R.

LITURGIA

'Perché Ratzinger recupera il sacro'

MARCO POLITI

Il segnale è stato inequivocabile.
Prima il Corpus Domini a Roma, poi lo si è visto in mondovisione a Sidney.
Benedetto XVI esige che davanti a lui la comunione venga ricevuta in ginocchio. è uno dei tanti recuperi di questo pontificato: il latino, la messa tridentina, la celebrazione con le spalle rivolte ai fedeli.

Papa Ratzinger ha un disegno e lo srilankese monsignor Malcolm Ranjith, che il pontefice ha voluto con sé in Vaticano come segretario della Congregazione per il Culto, lo delinea con efficacia.

L'attenzione alla liturgia, spiega, ha l' obiettivo di un' «apertura al trascendente».

Su richiesta del pontefice, preannuncia Ranjith, la Congregazione per il Culto sta preparando un Compendio Eucaristico per aiutare i sacerdoti a «disporsi bene per la celebrazione e l' adorazione eucaristica».

La comunione in ginocchio va in questa direzione?

«Nella liturgia si sente la necessità di ritrovare il senso del sacro, soprattutto nella celebrazione eucaristica. Perché noi crediamo che quanto succede sull' altare vada molto oltre quanto noi possiamo umanamente immaginare. E quindi la fede della Chiesa nella presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche va espressa attraverso gesti adeguati e comportamenti diversi da quelli della quotidianità».

Marcando una discontinuità?

«Non siamo dinanzi ad un capo politico o un personaggio della società moderna, ma davanti a Dio. Quando sull' altare scende la presenza di Dio eterno, dobbiamo metterci nella posizione più adatta per adorarlo. Nella mia cultura, nello Sri Lanka, dovremmo prostrarci con la testa sul pavimento come fanno i buddisti e i musulmani in preghiera».

L' ostia nella mano sminuisce il senso di trascendenza dell' eucaristia?

«In un certo senso sì. Espone il comunicante a sentirla quasi come un pane normale. Il Santo Padre parla spesso della necessità di salvaguardare il senso dell' al-di-là nella liturgia in ogni sua espressione. Il gesto di prendere l' ostia sacra e metterla noi stessi in bocca e non riceverla, riduce il profondo significato della comunione».

Si vuole contrastare una banalizzazione della messa?

«In alcuni luoghi si è perso quel senso di eterno, sacro o di celeste. C' è stata la tendenza a mettere l' uomo al centro della celebrazione e non il Signore.
Ma il Concilio Vaticano II parla chiaramente della liturgia come actio Dei, actio Christi. Invece in certi circoli liturgici, vuoi per ideologia vuoi per un certo intellettualismo, si è diffusa l' idea di una liturgia adattabile a varie situazioni, in cui si debba far spazio alla creatività perché sia accessibile e accettabile a tutti. Poi magari c' è chi ha introdotto innovazioni senza nemmeno rispettare il sensus fidei e i sentimenti spirituali dei fedeli».

A volte anche vescovi impugnano il microfono e vanno verso l' uditorio con domande e risposte.

«Il pericolo moderno è che il sacerdote pensi di essere lui al centro dell'azione. Così il rito può assumere l'aspetto di un teatro o della performance di un presentatore televisivo.

Il celebrante vede la gente che guarda a lui come punto di riferimento e c' è il rischio che, per avere più successo possibile con il pubblico, inventi gesti ed espressioni facendo da protagonista».

Quale sarebbe l' atteggiamento giusto?

«Quando il sacerdote sa di non essere lui al centro, ma Cristo. Rispettare in umile servizio al Signore e alla Chiesa la liturgia e le sue regole, come qualcosa di ricevuto e non di inventato, significa lasciare più spazio al Signore perché attraverso lo strumento del sacerdote possa stimolare la coscienza dei fedeli».

Sono deviazione anche le omelie pronunciate dai laici?

«Sì. Perché l' omelia, come dice il Santo Padre, è il modo con cui la Rivelazione e la grande tradizione della Chiesa viene spiegata affinché la Parola di Dio ispiri la vita dei fedeli nelle loro scelte quotidiane e renda la celebrazione liturgica ricca di frutti spirituali. E la tradizione liturgica della Chiesa riserva l' omelia al celebrante. Ai Vescovi, ai sacerdoti e ai diaconi. Ma non ai laici».

Assolutamente no?

«Non perché loro non siano capaci di fare una riflessione, ma perché nella liturgia i ruoli vanno rispettati. Esiste, come diceva il Concilio, una differenza "in essenza e non solo in grado" tra il sacerdozio comune di tutti i battezzati e quello dei sacerdoti».

Già il cardinale Ratzinger lamentava nei riti la perdita del senso del mistero.

«Spesso la riforma conciliare è stata interpretata o considerata in modo non del tutto conforme alla mente del Vaticano II. Il Santo Padre definisce questa tendenza l' antispirito del Concilio».

A un anno dalla piena reintroduzione della messa tridentina qual è il bilancio?

«La messa tridentina ha al suo interno valori molto profondi che rispecchiano tutta la tradizione della Chiesa. C' è più rispetto verso il sacro attraverso i gesti, le genuflessioni, i silenzi. C' è più spazio riservato alla riflessione sull'azione del Signore e anche alla personale devozionalità del celebrante, che offre il sacrificio non solo per i fedeli ma per i propri peccati e la propria salvezza. Alcuni elementi importanti del vecchio rito potranno aiutare anche la riflessione sul modo di celebrare il Novus Ordo. Siamo all' interno di un cammino».

Un domani vede un rito che prenda il meglio del vecchio e del nuovo?

«Può darsi~ io forse non lo vedrò. Penso che nei prossimi decenni si andrà verso una valutazione complessiva sia del rito antico che del nuovo, salvaguardando quanto di eterno e soprannaturale avviene sull' altare e riducendo ogni protagonismo per lasciare spazio al contatto effettivo tra il fedele e il Signore attraverso la figura non predominante del sacerdote».

Con posizioni alternate del celebrante?
Quando il sacerdote sarebbe rivolto verso l' abside?

«Si potrebbe pensare all'offertorio, quando le offerte vengono portate al Signore, e di là sino alla fine della preghiera eucaristica, che rappresenta il momento culminante della "trans-substantiatio" e la "communio"».

Disorienta i fedeli il prete che volge le spalle.

«E' sbagliato dire così. Al contrario, insieme al popolo si rivolge al Signore.
Il Santo Padre nel suo libro Lo spirito del Concilio ha spiegato che quando ci si siede attorno, guardando ognuno la faccia dell' altro, si forma un circolo chiuso. Ma quando il sacerdote e i fedeli insieme guardano l' Oriente, verso il Signore che viene, è un modo di aprirsi all' eterno».

In questa visione si inserisce anche il recupero del latino?

«Non mi piace la parola recuperare. Realizziamo il Concilio Vaticano II, che afferma esplicitamente che l' uso della lingua latina, salvo un diritto particolare, sia conservato nei riti latini. Dunque, anche se è stato dato spazio all' introduzione delle lingue vernacolari, il latino non va abbandonato completamente.
L'uso di una lingua sacra è tradizione in tutto il mondo. Nell' Induismo la lingua di preghiera è il sanscrito, che non è più in uso. Nel Buddismo si usa il Pali, lingua che oggi solo i monaci buddisti studiano. Nell'Islam si impiega l' arabo del Corano. L' uso di una lingua sacra ci aiuta a vivere la sensazione dell' al-di-là».

Il latino come lingua sacra nella Chiesa?

«Certo. Il Santo Padre stesso ne parla nell' esortazione apostolica Sacramentum Caritatis al paragrafo 62: "Per meglio esprimere l' unità e l' universalità della Chiesa vorrei raccomandare quanto suggerito dal Sinodo dei vescovi in sintonia con le direttive del Concilio Vaticano II. Eccettuate le letture, l' omelia e la preghiera dei fedeli, è bene che tali celebrazioni siano in lingua latina". Beninteso, durante incontri internazionali».

Ridando forza alla liturgia, dove vuole arrivare Benedetto XVI?

«Il Papa vuole offrire la possibilità d' accesso alla meraviglia della vita in Cristo, una vita che pur vivendola qui sulla terra già ci fa sentire la libertà e l' eternità dei figli di Dio. E una tale esperienza si vive fortemente attraverso un autentico rinnovamento della fede quale presuppone il pregustare delle realtà celesti nella liturgia che si crede, si celebra e si vive. La Chiesa è, e deve diventare, lo strumento valido e la via per questa esperienza liberante. E la sua liturgia quella che la rende capace di stimolare tale esperienza nei suo i fedeli».

© Copyright Repubblica, 31 luglio 2008 consultabile online anche qui.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Come battezzato, "semplice" cristiano praticante, ma anche peccatore convertito in età adulta, che a scoperto nella Chiesa, la meraviglia di una liturgia Viva e Vivificante, vera forza innovativa e trasformante, vero centro e motore della mia e altrui conversione,non posso che non essere d'accordo con le preoccupazioni di Mons. Ranjit (e certo non solo sue...) per una liturguia che sembra perdere il senso del sacro e del valore ultimo a cui i Segni liturgici ci rimandano.
Anche se sarebbe pi corretto dire che NOI, popolo di Dio, stiamo perdendo il senso del Sacro e dell'Immanenza e non che l'attuale Liturgia, in particolar modo quella Eucaristica, stia perdendo la sua efficacia.



Può essere veramente il risolto problema modificando gli atteggiamenti o le "posizioni" del celebrante, o la lingua utilizzata nel proferire formule liturgiche, sino ad arrivare al problema del Corpo di Cristo, sotto forma di particola, posto nelle mani di chi si comunica piuttosto che direttamente sulla sua lingua?

Io mi permetto di tratteggiare alcuni comportamenti a cui si dà poca importanza, che vengono tollerati se non incoraggiati durante le nostre liturgie e che, dal mio ristretto e personale osservatorio, saltano agli occhi come concause alla perdita di una Liturgia densa di Significato e di Mistero, di Gioia e di Sacro Timore, come dovrebbe essere ogni occasione di "entrare al cospetto di Dio", nel "Santo dei Santi", sino a divenire "dimora terrestre del Santissima Trinità", "tabernacoli viventi", quando la Liturgia tocca il suo culmine nella Comunione Eucaristica, nel cibarci del Corpo di Cristo, il Vivente, il Risorto!

Perché si permette che la Parola di Dio venga "sbiascicata" dall'ambone, sommessamente citata quasi fosse un orribile segreto, o precipitosamente letta a mo' di esercizio fonetico.
Perché la Parola non è quasi mai PROCLAMATA, come dovrebbe essere!
PAROLA DI DIO! Parola possente, che ciò che proclama compie! Che ha il potere di scendere profondo del cuore dell'uomo per compiere ciò per cui DIO l'ha mandata.
Come può giungere al mio cuore, se a fatica raggiunge il mio orecchio! Una Parola che ha il potere di scuotere il mondo, l'universo, ma anche il nostro piccolo, meschino personale mondo, dalle sue fondamenta.
E invece nulla, tutte le domeniche lo stesso sbiascicare di parole, neppure se leggessimo le
pagine gialle avremmo così poca enfasi!
Questo perché? Perché non è visto come un servizio. Un servizio all'assemblea e alla Liturgia. Così leggono sempre le stesse persone, perché sono le più "devote", le più solerti e non puoi dir loro che non fanno un buon servizio, se ne avrebbero a male, perché "ci tengono", e via di questo passo, a svendere un pezzo della Liturgia - azione di Dio nella vita dell'uomo - per il nostro "rispetto umano" e per la vanagloria di qualcuno.
Oppure perché materialmente nessun altro si presta... Noto come gli uomini, intesi in quanto di genere maschile, siano ormai estinti proprio in questo servizio del "lettorato" ( a volte in generale dai servizi di animazione della Liturgia). Non che si debba disprezzare il servizio fatto da chi è donna, ma è sintomatico... uomini capaci di sbraitare per la propria squadra o partito e di farlo in piazza, ma che si vergognano ad accostarsi all'ambone e proclamare la Parola di Dio e recitare le preghiere universali.



Tanto leggiamo le letture sul foglietto... altra pessima abitudine, a parer mio.
ASCOLTA ISRAELE, SHEMA ISRAEL... abbiamo dimenticato il comando, il primo comando di Dio? O crediamo il Popolo dell'ascolto siano solo i nostri fratelli Ebrei, che ben si guardano dal leggere la Parola di Dio mentre questa viene proclamata. "ASCOLTA o popolo mio", avrai tempo di leggere la Parola e di meditarla (magari lo facessimo sempre, rientrando a casa dopo una Liturgia), nei momenti e nei luoghi deputati.
Immaginiamo per un momento di dover incontrare la persona a noi più cara e che questa debba dirci qualcosa di tremendamente importante. Prima ancora di vederla, gli chiediamo di scrive questa notizia su di un foglio, per averne memoria, poi quando fossimo faccia a faccia, mentre inizia a parlare, noi ci concentriamo sulla lettura di ciò che ci sta dicendo!
Assurdo, ridicolo, offensivo addirittura per chi ci volesse parlare... Perché allora lo facciamo con Dio?

Che dire poi della consuetudine di molte parrocchie di accettare confessioni per tutta la durata della Santa Messa, che ha molto a che fare con lo zelo per... assolvere ad un precetto. Così in 3/4 d'ora ce la sbrighiamo, diamo una lavata all'anima e siamo stati a Messa.
Eh, il tempo, il tempo... la Messa non può cominciare, che dico 5 minuti, 1 minuto dopo l'orario stabilito e guai (al parroco) se finisce 2 minuti dopo!
GIORNO DI RIPOSO E DI SANTITA'! Giorno del Signore dovrebbe essere la Domenica, e l'Eucarestia momento che ci porta, ci "trascina", ci proietta, nell'Eternità!
Quale tempo, quali minuti! Come stolti stiamo a contare minuti che non ci appartengono e che il Signore, nella sua infinita misericordia, ci regala per la nostra conversione.
Qui molto i Pastori dovrebbero fare per educarci... ed "impedirci" ad esempio, di uscire tutti prima ancora che la prima nota del canto finale sia stata intonata. Attendere "almeno" che il celebrante abbia lasciato l'assemblea, perché il celebrante e Testa di quel Corpo mistico che celebra quella Liturgia, e il Capo è Cristo.

Poi ci sono le "pie devozioni" fatte appena terminata la Celebrazione Eucaristica. E non sto parlano delle singole, personali, pie devozioni, che pure sarebbero ritengo da sconsigliare (e mi spiego meglio di seguito), ma le devozioni "istituzionalizzate", addirittura presiedute dallo stesso parroco (ne sono stato testimone), nelle quali i fedeli, dopo aver ricevuto il Corpo di Cristo, il Dio Vivente nella loro stessa carne, sentono ancora necessità di aggiungere litanie o Rosari o preghiere a questo o a quell'altro Santo o Beato di turno, immortalato in quella Parrocchia da statue o quadri. Non mi fraintendete, non ho nulla contro la devozione ai Santi... ma dopo l'Eucarestia! Quando abbiamo Dio dentro di noi, che freme certo più di noi, per avere un po' di intimità con noi soli, per poter essere Lui, Dio dell'Universo, intimo al nostro intimo... e noi che facciamo? Lasciamo il nostro Re per passare al suo vassallo (e nessun Santo che sia tale si offenderebbe a sentirsi chiamare vassallo del suo Dio...).
Dovrebbe esserci un tempo dopo l'Eucarestia, in cui è vietata ogni sorta di devozione che non fosse l'adorazione Eucaristica nel tabernacolo del nostro cuore.
Vogliamo pregare i nostri Santi, facciamolo prima della Liturgia Eucaristica perché ci aiutino a entrare nel Mistero, a esserne degni e consapevoli.

Che dire dei canti... in troppe parrocchie o non si canta affatto, e bene che vada ci sono un paio di "pie donne" che prestano la voce a strazianti assoli, o ci sono canti di cori "professionali" che escludono del tutto l'assemblea per impossibilità dei più a partecipare ad un canto così forbito.
"Chi canta prega due volte" diceva (potrei sbagliarmi...) Sant'Agostino. L'assemblea DEVE poter partecipare ai canti liturgici, pesche il canto eleva lo spirito, crea comunione, aiuta a essere un corpo con una voce sola e non solo spettatori/uditori.

Infine ci sono le omelie (non certo ultime per importanza)... e qui umilmente faccio solo una preghiera, perché non ho esperienza da laico in questo servizio all'assemblea.
La preghiera di non dover ascoltare dei riassunti di quanto è stato proclamato, non dover sentire delle disquisizioni teologiche-biblico-lettrali di come sarebbe la tal lettura se la avessimo letta direttamente in greco o in aramaico (cose che pure è bene conoscere), non dover sentire buoni propositi che riguardano sempre qualcun altro o stigmatizzare cattivi comportamenti che non riguardano mai noi...
Vorrei sentire un parola che si fa carne, carne nella mia vita, o cibo per la mia anima, che mi apra gli occhi su ciò che sono ancora incapace di vedere. E se la Parola di Dio, come dice San Paolo è una spada a due tagli che scende in profondità sino a tagliare il male con una lama e con l'altra risana mentre la si estrae, desidero che il sacerdote spinga quella lama sino in fondo e la ritragga quando è ora e vorrei vedere nei suoi occhi e sentire nella sua voce, che ciò che dice è vero e per lui per primo, e Verità!
Grazie a Dio sacerdoti così ce ne sono, ma forse troppo pochi.

Per questi motivi (e altri ce ne sarebbero...) sono scettico nel credere che il sacerdote rivolto all'assemblea o all'abside, riaccenderà il nostro smarrito senso del "sacrum facere", neppure il non ricevere più il Corpo di Cristo tra le mani, se così dovrà essere (personalmente provo sempre un gran tremore pensando che Dio si consegna nelle mie mani, così come il Signore si è consegnato alle mani dell'uomo sino a lasciarsi uccidere).
L'ipotesi di tornare al latino poi, mi sembra quasi la necessità a ridare "mistero" a qualcosa rendendolo meno comprensibile, più "criptico"... per tornare magari al luogo comune della vecchietta che, mentre il sacerdote svolge tutti i "suoi riti", sgrana rosari...



Quello di cui sono certo, è che ci sarebbe tanto da lavorare su ciò che oggi già abbiamo e spesso calpestiamo. Tanto su cui lavorare anche scontrandoci con incomprensioni e malumori di chi non vuol cambiare, e tanto ancora ricade sulle spalle dei nostri sacerdoti e pastori, perché, in taluni casi sta a loro dare un'indicazione precisa, educare al giusto atteggiamento, ma ne và della vita del nostro stesso Spirito, perché se lo Spirito in noi morisse, se ci trasformassimo tutti in passivi e amorfi fruitori di un culto, osservanti di una legge, non ci sarà liturgia che questo Spirito riporterà in vita.

Anonimo ha detto...

Beh .. il commento di BARIOM mi sembra un poco esagerato. Anzi, un vero giudizio universale. Perchè, poi, prendersela con le devozioni, quando la Chiesa lascia liberi i fedeli?

Anonimo ha detto...

Convengo con te Anonimo... forse i toni possono sembrare troppo forti, da "Giudizio Universale" come dici, ma nascono più sull'onda di un'emozione che di un pacato ragionamento.
Mi dai però modo, e ti ringrazio, di chiarire un punto, che non vorrei assolutamente fosse frainteso: quello sulle devozioni.
Se lo hai letto, l'ho scritto, non ho nulla contro le devozioni in quanto tali (e anche fosse, chi sono io...), ma il concetto e da riportare al contesto. La perdita o se vogliamo l'appannarsi, il velarsi del senso del Sacro nella Liturgia Eucaristica, o, se vogliamo essere più chiari, il valore di questa Liturgia "culmine e fonte della vita Cristiana" (la definisce la Chiesa non io), rispetto ogni altra liturgia o devozione.
A mio personale parere, quando un qualunque rito o devozione rischia di "sovrapporsi", o sminuire (distogliendo la nostra attenzione mentale e spirituale) questo "culmine e fonte", venga rimandato ad altro momento ben distinto.
Tutto qui, spero di aver chiarito.

Anonimo ha detto...

mah, la liturgia la "fanno" gli uomini, pur pieni di "sacro" intento, convinti che "girati di qua" per Dio sia meglio che "girati di là "...o in questa lingua meglio che in quell'altra...ma chissà qual'è lo sguardo di Dio su queste cose...

chissà se guarda gli uomini come bambini che cercano di essere "bravi bambini" cercando "il" comportamento....cercando di compiacere meglio il Padre, senza accorgersi che non è "nel" "comportamento", nella liturgia, che si vede il vero amore al Padre..."non nel tempio o sul monte, ma i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità " diceva Gesù...

poi la Chiesa può mettere in campo tutte le liturgie possibili, complicate e belle, esaltanti e soddisfacenti...ma anche la preghiera sommessa fatta dal fondo della chiesa è ascoltata da Dio, se è autentica...è il cuore che conta, per qualsiasi Padre he ci ama come una Madre...

quello che sfugge è la coscienza di chi è Gesù per l'umanità ...

se ti rendi conto di chi sia la persona di cui leggi all'ambone, non "riesci" più a sbiascicare le parole...

la conoscenza prodiuce la fede, la fede produce la devozione autentica, semplice e dignitosa...

che non ha bisogno di "fuochi aritficiali liturgici" o "ritorni all'antico" per "recuperare" il senso del sacro...

sacro diventa ogni persona che si incontra durante il giorno, ogni istante di vita "regalato" dal Cielo...la vita stessa diventa una perenne liturgia di ringraziamento...

ma forse sono troppo "fuori" per parlare di queste cose...