5 gennaio 2008

Mons. Crepaldi: "Ciò che vale per la pena di morte non può non valere per l’aborto" (Il Foglio)


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Giustizia pace moratoria

Parla monsignor Crepaldi, segretario del pontifico consiglio Justitia et Pax. “E’ il sessantesimo compleanno della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, l’anno giusto per un’azione internazionale sull’aborto”

Roma. “Non c’è solo una analogia consequenziale, nel senso che ciò che vale per la pena di morte non può non valere per l’aborto. Direi piuttosto che ‘a maggior ragione’ quanto vale per la pena di morte vale anche per l’aborto. La chiarezza dell’illiceità dell’aborto in quanto uccisione di una vita umana innocente è superiore a quella della pena di morte. Alla base di entrambi c’è l’indisponibilità della vita umana.
Se la pena di morte in passato poteva essere giustificata come legittima difesa da parte della società e se oggi per molti motivi una simile posizione è ritenuta inopportuna e irrispettosa della dignità umana, l’aborto non ha mai potuto trovare una giustificazione etica
”.
Più esplicito di così, nel suo ragionare molto laicamente e in punta di diritto monsignor Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio consiglio per la Giustizia e la Pace, non potrebbe essere. Il sessantenne vescovo di origine veneta (è nato in provincia di Rovigo), filosofo per formazione prima di specializzarsi in teologia, era stato del resto tra i primi a esprimere adesione alla proposta di una moratoria sull’aborto, attraverso una nota diffusa dall’Osservatorio internazionale cardinale Van Thuân di Verona sulla Dottrina sociale della chiesa, del quale è presidente. Già il testo dell’Osservatorio sottolineava la “coerenza con la votazione dell’Assemblea generale dell’Onu che ha approvato una moratoria della pena di morte”.
Ora torna sul tema, dopo che anche il cardinale Renato Raffaele Martino – che di Giustizia e Pace è presidente – è tornato a ribadire l’analogia tra le due moratorie.
La domanda d’obbligo è, allora, se sia plausibile attendersi una presa di posizione in qualche misura ufficiale da parte dell’organismo vaticano. “Non so cosa si intenda in questo caso per ‘ufficiale’ – puntualizza monsignor Crepaldi – il cardinale Martino, presidente del dicastero, si è pronunciato in modo molto chiaro; il segretario, ossia io, pure, e lo sta facendo anche in questo momento; il Compendio della dottrina sociale della chiesa’, redatto da questo Pontificio consiglio, parla chiaramente sia della pena di morte, al paragrafo 405, sia del rispetto della vita, ai paragrafi 230- 237”. Come dire, più ufficiale di così. Ma, aggiunge il prelato, “ciò non esclude di esaminare in futuro anche altre prese di posizione”.
Quale peso ha – a livello internazionale – il problema dell’aborto in relazione ai temi della giustizia e della pace, ai quali è dedicato il suo lavoro? Tra l’altro, il messaggio del Papa per la Giornata della Pace quest’anno era incentrato sul tema della famiglia come “base” di ogni pace giusta. “Ha un valore strategico. Se non si riesce più a comprendere che la vita è un dovere e una vocazione, è poi molto difficile riuscire a leggere le altre situazioni di vita, personale e comunitaria, come un dovere e una vocazione. Tutto diventa pattizio e rivendicativo di diritti senza doveri. Se il bimbo concepito e vivente nel seno della madre non è visto come vocazione, cosa altro lo potrà diventare?”. Si tratta di un altro grande problema culturale che interroga tutti, che il Papa ha posto nel suo messaggio. “Esatto. Benedetto XVI si chiede proprio questo: se non riusciamo ad accogliere la vita e la famiglia (e la vita nella famiglia) come potremo accogliere gli altri, la più grande famiglia dell’umanità? Non siamo noi a dare un senso alla giustizia e alla pace; noi dobbiamo piuttosto aprirci al loro senso”.

La verità e l’amore sono indisponibili

Dopo le parole di apprezzamento del cardinale Camillo Ruini, ieri con un’intervista anche il suo successore alla presidenza della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, ha definito “lodevole” la richiesta di moratoria sull’aborto e “auspicabile” una revisione della legge 194. E’ d’accordo anche su questa seconda sottolineatura? “La verità e l’amore, come ci sta insegnando Benedetto XVI, sono indisponibili a noi, irrompono, sorprendono e chiedono di essere accolti. Quindi instaurano delle dinamiche virtuose che non sono mai da noi pienamente controllabili. C’è una coerenza della verità e dell’amore che chiede di fare il proprio corso. La stessa coerenza che ha invitato a collegare la moratoria dell’Onu con quella sull’aborto può chiedere di rivedere la 194”. Anche monsignor Crepaldi, come già i suoi “colleghi”, ci tiene a sottolineare che la legge italiana “ha aspetti positivi, che devono essere applicati o ulteriormente sviluppati”. Così come ne ha altri “sbagliati che devono essere corretti alla luce del progresso fatto nel frattempo dalla scienza, ne ha infine altri di assolutamente inammissibili sul piano morale”.
Bagnasco si è augurato anche “accoglienza in sedi istituzionali” per la moratoria, mentre Martino ha detto: “Ci aspettiamo altre battaglie a favore della vita su tutti i fronti”. Tornando dall’ambito nazionale a quello internazionale, a quali strumenti si potrebbe fare ricorso, o magari “creare” a sostegno di questa campagna? E quale peso potrebbe esercitare Justitia et Pax in sede internazionale? Si possono, ad esempio, prevedere passi concreti presso le Nazioni Unite? “Justitia et Pax è un dicastero a servizio del Santo Padre, non è una struttura diplomatica della Santa Sede, la quale, tramite le proprie vie diplomatiche e in particolare i rappresentanti presso le Nazioni Unite a New York e a Ginevra, costantemente propone questi valori. Lo ha fatto negli anni Novanta in occasione delle grandi Assemblee Onu del Cairo sulla popolazione e di Pechino sulla donna e lo sta facendo tutt’ora. C’è un forte impegno anche a ‘chiamare le cose con il loro nome’ – tema caro alla proposta di moratoria del vostro giornale. Sull’espressione ‘salute riproduttiva’, per esempio, la Santa Sede conduce da tempo un braccio di ferro con le istituzioni internazionali, per smascherare come dietro questa sviante espressione si nascondano violente politiche di aborto e sterilizzazione di massa. Molti vescovi africani denunciano che gli stessi aiuti economici spesso sono vincolati all’adozione di queste politiche violente. La chiesa sta facendo molto, quindi, anche a livello istituzionale”. Resta da parlare del ruolo dei laici: “Credo che sia anche giunto il momento dei laici, come testimonia la vostra iniziativa. La chiesa continuerà a fare la sua parte, ma deve entrare in campo anche la società civile internazionale e la politica. Penso per esempio a un coinvolgimento maggiore delle Organizzazioni non governative impegnate per lo sviluppo e i diritti umani (il cardinale Martino ha polemizzato di recente con Amnesty International) come anche delle istituzioni dell’Unione europea. Si è aperto l’anno dei diritti umani, a commemorazione del sessantesimo compleanno della Dichiarazione del 1948: potrebbe essere il contesto adatto”.

© Copyright Il Foglio, 5 gennaio 2008

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