20 dicembre 2007

Moratoria della pena di morte: lo speciale de "L'Osservatore Romano"


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Una battaglia con tutta la Chiesa in prima linea

Pierluigi Natalia

Non ci sono toni trionfalistici nelle considerazioni che il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente dei Pontifici Consigli della Giustizia e della Pace e della pastorale per i Migranti e gli Itineranti, fa con il nostro giornale dopo l'approvazione da parte dell'Assemblea generale dell'Onu della moratoria sulla pena di morte. La considerazione di "una tappa certo significativa, ma non conclusiva di quella che è comunque una battaglia di civiltà" nell'analisi del cardinale si accompagna alla riflessione - e al monito - di "non considerare l'impegno per la vita scomponibile per settori, praticabile su alcuni aspetti e non su altri". Il cardinale sottolinea che "l'impegno dei cattolici, in politica e in diplomazia come nell'associazionismo, ha nel riconoscimento del valore assoluto della vita umana, dal concepimento alla morte naturale, un principio ispiratore che non consente di esultare per un passo positivo senza interrogarsi - e senza interrogare - sugli obiettivi non ancora raggiunti, o peggio negati".

Eminenza, l'Assemblea generale dell'Onu ha approvato la moratoria sulla pena di morte. È il momento di fermarsi e di festeggiare?

Sono contento di questo risultato. È comunque un importante passo in avanti, anche se certo si trattava, fortunatamente, di un voto abbastanza scontato avendo la commissione già espresso il suo sì. Ma sono soddisfatto a metà, pienamente soddisfatto potrò esserlo soltanto quando la pena di morte sarà abolita dappertutto e del tutto.

Eppure il consenso è stato ampio. Una maggioranza all'Onu c'è stata, dopo i due tentativi falliti negli anni Novanta. Possiamo parlare di cultura della vita che si afferma in campo giuridico?

Per ora siamo a una dichiarazione d'intenti, certo importantissima, ma non automaticamente destinata a tradursi in applicazioni concrete. Dobbiamo vedere se quelli che hanno votato contro si asterranno dal praticare l'esecuzione capitale, cosa sulla quale ho molti timori. Inoltre, si sono astenuti 29 Paesi, per considerazioni a mio avviso più di geopolitica e di alleanze che di merito sulla questione. Non solo, quindi, non c'è un consenso generale, ma come spesso accade interessi specifici e contingenti minacciano di prevalere su visioni ideali, politiche di corto respiro possono imporsi su politiche "alte", politiche nel senso proprio e nobile del termine. Certo, come dice lei, è stato finalmente raggiunto un consenso maggioritario sulla moratoria e dunque una maggioranza c'è. Ma chi ha lavorato per questo obiettivo deve essere incoraggiato a non dedicare troppo tempo al compiacimento e a rilanciare subito gli sforzi per arrivare al traguardo finale, l'abolizione completa. Il cammino del quale lei parla è lungo.

In questa azione è certo stata in prima linea l'Italia. Sulla stampa italiana, tra l'altro, si sottolinea il successo di una battaglia attribuita in prevalenza ai radicali. È così?

Chiunque si sia impegnato in questa direzione ha portato il suo contributo e un plauso può essere rivolto al Governo italiano. L'idea di attribuire la parte preponderante di questo contributo ai radicali mi sembra però almeno eccessiva. Certo non è stato minoritario quello offerto dalla Chiesa, sia nel magistero pontificio e nelle sue componenti istituzionali, compreso soprattutto il Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, sia nell'immenso impegno dell'associazionismo cattolico che si ispira alla dottrina sociale della Chiesa. In questo caso della moratoria sulla pena di morte viene da citare ovviamente la Comunità di Sant'Egidio, che ha fatto azione di sensibilizzazione in tutto il mondo, con una buona visibilità internazionale. Ma dobbiamo ricordare che ci sono tante altre realtà cattoliche, movimenti, associazioni, organizzazioni diocesane - troppo numerosi per citarli tutti - che con una costante azione educativa, di assistenza e di testimonianza, assumono da sempre l'impegno di servire l'uomo e di tutelare i diritti umani, a partire dal primo di essi, quello alla vita.

Tuttavia questo contributo cattolico non sembra trovare il riconoscimento del quale godono altre espressioni della società. Lei ha rappresentato per anni la Santa Sede all'Onu e da anni guida dicasteri vaticani particolarmente impegnati in campo sociale e politico. Che idea si è fatta dei motivi di questo mancato riconoscimento?

Il motivo è esattamente quello che dicevo prima. I cattolici, in politica e in diplomazia come nell'associazionismo, hanno nel riconoscimento del valore assoluto della vita umana, dal concepimento alla morte naturale, un principio ispiratore che non consente di esultare per un passo positivo senza interrogarsi sugli obiettivi non ancora raggiunti, o peggio negati. Senza interrogarsi e senza interrogare. I cattolici non considerano il diritto alla vita trattabile caso per caso o scomponibile. Penso all'uso disinvolto della guerra. Penso alla mancata tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro. Ma l'esempio più evidente è quello dei milioni e milioni di uccisioni di esseri certamente innocenti, i bambini non nati. I fatti, non solo i princìpi, ci dicono che l'aborto non è il tanto strombazzato male minore a difesa della donna, ma un sistematico, persino selettivo strumento di mercificazione dell'uomo. Basti pensare che numerosi rapporti confermano come in alcuni Paesi l'aborto sia un mezzo per far nascere bambini maschi e di sopprimere le bambine, considerate meno "remunerative".

Si sta riferendo solo a prassi spaventose o anche a corpi legislativi?

Le une e gli altri. Vi sono nel mondo tanti Paesi che si definiscono Stati di diritto. Poi nelle loro legislazioni discriminano pesantemente proprio la categoria più debole e senza difesa: il nascituro. È da sottolineare che c'è una sorta di schizofrenia in quanti al nascituro riconoscono specifici diritti -ad esempio in materia ereditaria, ma ce ne sono altri - e poi gli negano il diritto principale, quello di vivere.

(©L'Osservatore Romano - 20 dicembre 2007)


Secondo Ban Ki-moon si è trattato di una decisione coraggiosa della comunità internazionale

La moratoria della pena di morte primo passo di un cammino in difesa della vita

NEW YORK, 19.
Non ha forza vincolante, ma è un provvedimento dal forte peso politico la risoluzione sulla moratoria della pena di morte approvata ieri dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite. I voti a favore sono stati centoquattro, cinquantaquattro quelli contrari e ventinove le astensioni. In novembre, quando la moratoria era stata approvata dalla terza commissione dell'Assemblea, quella competente in materia di diritti umani, i voti a favore erano stati novantanove. I Paesi favorevoli alla pena di morte sono un gruppo composito di Nazioni tra le quali figurano gli Stati Uniti, la Cina, l'India, il Giappone, la Libia e l'Iran. I Paesi più grandi hanno però taciuto nel breve dibattito che ha preceduto il voto dell'Assemblea generale. Hanno invece preso la parola - oltre a Singapore, che storicamente guida il gruppo di Paesi che si pronunciano a favore dell'uso della pena di morte - gli ambasciatori di piccoli Paesi: il rappresentante di Antigua e Barbuda, che ha parlato anche a nome di altre nazioni caraibiche, ha ad esempio definito la moratoria "poco bilanciata" e contraria alla legge internazionale e ha preannunciato il voto contrario, nonostante che il suo Paese da dieci anni non applichi più la pena capitale che pure è presente nel suo ordinamento.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha definito l'approvazione della risoluzione sulla moratoria una decisione coraggiosa della comunità internazionale. Michelle Montas, la portavoce del Segretario generale, ne ha riferito una dichiarazione nella quale si dice "particolarmente incoraggiato dal sostegno espresso per questa iniziativa da tante diverse regioni del mondo". Secondo Ban Ki-moon, questo è un altro segno di una tendenza verso l'abolizione della pena di morte che trova sempre più adesioni.
Il risultato è frutto, come noto, di un'azione diplomatica internazionale che ha visto il Governo italiano in un ruolo di capofila. "La decisione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite di dire di sì alla moratoria sulla pena di morte nel mondo è un premio alla paziente opera diplomatica dell'Italia che ha svolto un ruolo importante con una scelta intelligente, perché è riuscita a coinvolgere tutto il mondo, non soltanto l'Europa", ha dichiarato l'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite. Monsignor Migliore ha ribadito la soddisfazione della Santa Sede e ha sottolinea il plauso per l'Italia "riuscita in un impegno su scala globale, fondato su un gioco di squadra e la ricerca di un consenso allargato, che hanno consentito di centrare il risultato sperato, e peraltro con un numero di voti confortante, positivo".
Dopo questo voto, secondo monsignor Migliore, si può parlare di "una maturazione nel senso dell'importanza del valore della vita". "C'è stata una maturazione su questo punto - ha affermato -. La Santa Sede ha sostenuto con forza questo tema perché si tratta di un passaggio fondamentale nell'intento di aprire un dibattito più ampio. Noi abbiamo insistito molto e continuiamo a farlo affinché il tema della pena di morte sia inserito in un quadro più ampio, di promozione e difesa della vita in tutte le sue fasi, in tutti i suoi momenti, dal concepimento al suo termine naturale". "Credo - ha concluso l'Osservatore permanente della Santa Sede - che questa maturazione debba ancora progredire e far dei passi importanti in una visione dell'uomo che ne contempli ogni aspetto, ogni momento".
Soddisfazione unanime è stata espressa in Italia, soprattutto perché il voto dell'Assemblea generale dell'Onu sottolinea il buon esito di un lungo lavoro diplomatico che ha visto proprio il Governo italiano impegnarsi, per moltissimi mesi e su tutti gli scacchieri internazionali, per rinfoltire le fila dei Paesi contrari alla pena di morte.
Si è trattato di un segnale storico per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, secondo il quale Italia ed Europa hanno fortemente voluto la moratoria. "Il successo di questa fondamentale azione - ha affermato il Presidente Napolitano - è dovuto all'impegno del Parlamento, del Governo, del ministro degli Esteri, della rappresentanza d'Italia presso le Nazioni Unite nonché della società civile italiana, che l'ha sostenuta in tutte le sue tappe".
Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, ha parlato di giornata storica e di motivo di orgoglio per l'Italia che per prima ha promosso l'iniziativa, presto trasformatasi in una grande coalizione internazionale per il diritto e la dignità delle persone.
Il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, presente a New York per il voto al Palazzo di Vetro, ha detto che all'Onu adesso c'è una coalizione maggioritaria che si batte contro la pena di morte. "Il risultato di oggi - ha affermato - è soltanto una tappa in vista di un lavoro da fare per l'applicazione della risoluzione, anche in vista dell'abolizione".
Soddisfazione per l'approvazione della risoluzione è stata espressa anche dal principale leader dell'opposizione, Silvio Berlusconi. "È stata una lunga battaglia - ha affermato - per la quale ci siamo impegnati fin dal 1994. Ed è una vittoria storica per tutti i cittadini del mondo".

(©L'Osservatore Romano - 20 dicembre 2007)

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