4 gennaio 2008

Card. Colombo: "Fuggirei di notte come sant'Agostino ma farò l'arcivescovo"


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Fuggirei di notte come sant'Agostino ma farò l'arcivescovo

L'annunzio ufficiale della sua nomina ad arcivescovo di Milano fu dato personalmente da monsignor Giovanni Colombo il 14 agosto 1963 ai seminaristi di Venegono, raccolti nella cappella dei teologi per la recita dell'ora sesta e dell'Angelus: "Sono le 12 e posso ormai rompere il segreto. Sono il vostro Arcivescovo". Conversando con loro, rivelava il profondo turbamento che aveva suscitato in lui il biglietto di nomina che ogni mattina si ritrovava sul tavolo del suo studio, come sant'Ambrogio, dopo aver cercato durante la notte di fuggire da Milano sul dorso di una mula, dopo lungo divagare, nuovamente il mattino si ritrovava in città.
Ne parla Paolino, la mula è però un'invenzione di Colombo.
Il quale, comunicando per radio la sua elezione alla sede ambrosiana, confessava: "A tanto non si era mai levato neppure il più svagato dei miei pensieri". Non era un modo di dire convenzionale e scontato, che ricorre sulle labbra anche di chi all'episcopato e al governo di una diocesi ha aspirato con tutte le forze del suo desiderio.
Possiamo credere a quanto di Giovanni Colombo affermava monsignor Giovanni Battista Guzzetti, che, come specialista dei problemi del matrimonio e della famiglia, offrirà una preziosa e leale collaborazione all'arcivescovo: "Giovanni Colombo prima ha fatto di tutto per evitare di fare l'arcivescovo di Milano; poi, una volta nominato, per farlo bene".
Guzzetti parla di tre chiamate di Giovanni Colombo, a similitudine di quella di Abramo: la prima al sacerdozio, la seconda all'insegnamento, la terza a più alte responsabilità: "Il brillante professore d'un tempo divenne l'immagine fedele di Gesù supplicante nel Getsemani: "Padre, se è possibile, passi da me questo calice!" Posso attestare senza esitazione che, nell'ambito di una piena correttezza sacerdotale, Giovanni Colombo ha fatto il possibile per sottrarsi alla terza chiamata: ma il messaggio era ben chiaro, insistente ed affettuoso. Si arrese". Fu il passo "più sofferto e rifiutato". "In quei giorni dell'estate 1963 Giovanni Colombo ha fatto propria la seconda parte della preghiera di Gesù nel Getsemani: "...non sia fatta la mia, ma la tua volontà" (Luca 22, 42).
"Fatto arcivescovo della Chiesa locale nella quale era nato e aveva fino allora operato, egli dedicò ad essa tutte le sue risorse, sfruttando tutte le opportunità che gli si presentavano: la conoscenza della diocesi, la consuetudine coi sacerdoti, il consiglio delle persone che aveva conosciuto e stimato, l'alta protezione del predecessore divenuto Papa, e così via, tenendosi fermo come una colonna, anche nei giorni turbinosi del 1968, alla difesa dei valori che più gli stavano a cuore: la fedeltà alla dottrina ricevuta, la vitalità del seminario, la vivezza dell'Azione Cattolica, la solidità delle parrocchie, l'impegno della Parola".
Particolarmente significativa sulla nomina di Giovanni Colombo è la testimonianza di monsignor Carlo Figini, il suo antico e ammirato professore di teologia: "Io ricordavo - scriveva Figini - che nei primissimi giorni d'agosto del 1939 avevo ricevuto una sua lettera, scritta affrettatamente qualche momento dopo che il cardinale Schuster chiamatolo da Arma di Taggia, gli aveva comunicato la sua nomina a rettore del Seminario liceale, e nella sua lettera mi manifestava tutto il suo turbamento. Conoscendo don Giovanni compresi subito l'ambascia che doveva aver provato il suo cuore chinando riverente la fronte alla volontà del superiore: per lui voleva dire la definitiva rinunzia a studi verso i quali si sentiva fortemente inclinato; per lui voleva dire che avrebbe dovuto diradare e abbreviare i dolci colloqui con i suoi amati genitori: e dopo la morte del papà dovette sovente rinunziare a trascorrere qualche giorno in compagnia della mamma adorata. Io sapevo che cosa significasse per don Giovanni assumere quell'ufficio: voleva dire rinunziare completamente a se stesso, voleva dire donarsi totalmente a coloro, che dal Signore attraverso la volontà del Superiore, gli venivano affidati".
"La mattina del 23 luglio 1953 - continua Figini - mi trovavo a Colmine, quando con mio stupore mi vedo innanzi un collega, che mi prega in nome di monsignor Colombo di portarmi subito a Milano per supplicare il cardinale Schuster a differire almeno di un anno la sua nomina a rettore maggiore dei Seminari milanesi, comunicatagli per lettera la sera precedente. Accompagno il collega, ma a Maggio (un paese della Valsassina) leggo su "L'Italia" il decreto di nomina: il mio viaggio diventa perfettamente inutile e monsignor Colombo doveva accettare subito il calice amaro [...] Naturalmente il segreto gli impedì di riferirmi il suo stato d'animo quando ricevette il mandato di Paolo VI. Ma quando dice che - dopo aver di nuovo chinato la fronte alla volontà del Signore - di notte sognava la mula leggendaria sulla quale sant'Ambrogio intendeva sfuggire l'episcopato milanese, ma che sempre di nuovo lo riportava a Milano, egli nasconde sotto la veste poetica le lunghe notti insonni e le sue intime e profonde angosce. Iddio solo conosce lo sforzo immane che dovette compiere, e forse per più di un mese (dal 10 luglio al 14 agosto 1963) per celare a tutti noi la dolorosa lotta interiore". "Accogliendo il mandato di Paolo VI - conclude Figini - Colombo di nuovo rinunziava a se stesso".
Della sua designazione ad arcivescovo di Milano - la bolla di nomina è del 10 agosto del 1963, e l'annunzio ufficiale del 14 agosto - come dei vari avvenimenti che la accompagnarono e la seguirono, monsignor Giovanni Colombo, allora ausiliare di Milano, tenne un diario particolareggiato dal 10 luglio al 3 settembre 1963. Esso interessa non solo per seguire giorno per giorno le circostanze di quella nomina, ma anche per conoscere i giudizi e gli stati d'animo del nuovo arcivescovo via via che la nomina prendeva consistenza. (inos biffi)

(©L'Osservatore Romano - 4 gennaio 2008)

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