4 gennaio 2008

Il filosofo tedesco Robert Spaemann sfida Kant e Nietzsche sull'esistenza di Dio (Il Foglio)


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“L’ULTIMA PROVA DELL’ESISTENZA DI DIO”

Il libro di Robert Spaemann che sfida dialetticamente lo scientismo

IL FILOSOFO TEDESCO (E CONSIGLIERE DEL PAPA) SI MISURA CON KANT E NIETZSCHE E SCALA LE CLASSIFICHE IN LIBRERIA

Andrea Affaticati

Kant decretò l’impossibilità della ragione di dimostrare l’esistenza di Dio.
Nella sua “Critica della ragion pura” scriveva: “Ho dovuto ridurre il mio sapere per far posto alla fede”. Nietzsche fu ancora più lapidario e sentenziò: “Dio è morto” e la fede null’altro che un’invenzione, un’idea dell’uomo perché incapace di accettare il nulla. Ciò nonostante, proprio nel paese che ha dato i natali a Kant e Nietzsche non si è mai smesso di interrogarsi, di occuparsi del mistero della fede, dell’esistenza di Dio con strumenti e argomentazioni di grande e inequivocabile serietà. La più recente dimostrazione la dà il filosofo, nonché consigliere del Papa, Robert Spaemann, classe 1923. Di suo è appena uscito “Der letzte Gottesbeweis” (L’ultima prova dell’esistenza di Dio, Pattloch), un saggio assai dotto che si potrebbe leggere come risposta a Richard Dawkins e al suo “L’illusione di Dio”; e più in generale come sfida dialettica allo scientismo. Ma Spaemann non ha in mente Dawkins, lui cerca il confronto diretto con Kant e Nietzsche. Per
questo riparte dalle tre prove “storiche” dell’esistenza di Dio: quella cosmologica, quella teleologica e quella ontologica.
Kierkegaard argomentava: “Se Dio non esiste dimostrarne l’esistenza è una sciocchezza.
Ma se Dio esiste dimostrarne l’esistenza è una bestemmia”. Spaemann sa invece che deve dimostrarlo partendo dalla ragione. Così ribatte prima a Kant: “Dover pensare a una nascita puramente casuale del mondo è di fatto una pretesa nei confronti della ragione che mette in ombra qualsiasi altra pretesa” – e poi a Nietzsche – “Credere che Dio è, significa che lui non una nostra idea, ma che noi siamo una sua idea. Vuol dire capovolgere la prospettiva, ravvedersi”. Secondo Spaemann, chi intende spiegare l’esistenza dell’uomo da una Weltanschauung puramente scientifica chiude gli occhi, nega il significato e il senso stesso di questo mondo. L’autore sa però che quest’affermazione risulta troppo astratta, soggettiva alle orecchie di chi è convinto che l’esistenza dell’uomo sia dovuta solo a una combinazione accidentale di atomi. E allora chiede: “Com’è che gli uccelli a un certo punto dell’anno migrano verso sud? Certo noi uomini sappiamo che lo fanno per svernare lì dove possono trovare cibo. Ma gli uccelli stessi non lo sanno.
Deve dunque esistere una specie di coscienza del creato”. Secondo Pascal la fede è un rischio, anche se un rischio che vale la pena di correre perché Dio è la bontà assoluta.
Per Spaemann invece la fede può poggiare su una certezza. Così alla domanda: “Ma l’uomo è poi in grado di immaginare Dio, di spiegarsi la sua esistenza” la sua risposta è un inequivocabile “sì, perché l’uomo è capace di verità, e la verità si può spiegare solo attraverso il Creato”. Secondo il filosofo, il concetto che l’uomo sia stato creato a immagine e somiglianza di Dio, acquista oggi un significato di una precisione mai prima attribuitagli. Cristo alla domanda di Ponzio Pilato se è un re risponde così: “Sono venuto al mondo per dare testimonianza della verità”. Alché Pilato gli risponde: “Cos’è la verità?”. E’ la personalità dell’uomo, l’immagine dell’uomo che testimonia questa verità. Per questo ridurre tutto a atomi e molecole significa negare questa personalità.
E di nuovo l’autore riporta il suo ragionamento su un piano più facilmente comprensibile. Adduce l’esempio di eventi che si sono verificati in passato e di cui nel frattempo ci siamo del tutto scordati. Sono per questo meno veri? La risposta non può che essere no, il che permette a Spaemann di arrivare alla sua “ultima” prova dell’esistenza di Dio confutando al tempo stesso la tesi di Kant: “La verità è indipendente dalle capacità del pensiero e del giudizio umano”.
Un saggio tutt’altro che facile, eppure, stando alle vendite, non è meno richiesto di libri che si occupano di religione in modo più
divulgativo. E sarà stato anche questo rinnovato interesse verso argomenti religiosi, trattati presupponendo una conoscenza solida del tema, ad aver spinto la Fondazione Bertelsmann a dare il via a un imponente studio e monitoraggio dello stato della fede. Una ricerca che coinvolge 21 paesi distribuiti su tutti i continenti e di cui è stato appena pubblicato il primo rapporto intitolato “La Germania è un paese di (mis)credenti?”.

Un interrogativo che prende spunto dal rincorrersi di due affermazioni opposte. La prima registra il numero sempre più esiguo di fedeli praticanti e ne evince che la religione perde sempre più terreno nella società secolarizzata. La seconda rileva invece un crescente interesse nei confronti di temi religiosi e per questo parla di una rinascita del sentimento religioso.

A chi credere allora? Lo studio stesso chiude sostenendo che a conti fatti in Germania la religione non è sulla via del tramonto, ma nemmeno sta vivendo una nuova epifania. Quello che è indubbio invece, stando non ultimo al libro di Spaemann, è il livello altissimo del dibattito a cui anche i mass media danno sempre più spazio.

© Copyright Il Foglio, 3 gennaio 2008

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