11 agosto 2008

L'ansia? Male collettivo. Si cura guardandosi dentro. Parola di Papa Benedetto (Calzolari)


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Alla luce di quanto detto ieri dal Papa all'Angelus sullo "stress" acquista un sapore particolare il seguente articolo.
R.

L'ansia? Male collettivo
Si cura guardandosi dentro


Giancarlo Calzolari

L'ansia non è più un fatto individuale, una risposta eccessiva alle difficoltà della nostra vita, ma è elemento della nostra esistenza, a causa dell'irrealizzabilità delle attese. Ne parliamo con uno psichiatra, il professor Pier Luigi Scapicchio.

L'ansia è un fatto genetico, oppure è determinata da fattori ambientali? Quesito ormai superato, risponde Scapicchio, dall'osservazione che l'ansia è un fenomeno multifattoriale, nel quale influiscono molti fattori. Ma il vero problema «è la centralità dell'ansia nel nostro mondo. Ormai - spiega - ci sentiamo tutti insicuri ed esposti a un pericolo incombente. La nostra esistenza muta troppo rapidamente. Non riusciamo a seguire in maniera coordinata i suoi eventi, figurarsi se riusciamo ad anticiparli. Una volta si parlava di progetto di vita che tutti più o meno pianificavano alla conclusione del ciclo scolastico. Adesso viviamo una vita caratterizzata da sempre nuovi inizi. Gli itinerari sembra che siano divisi in episodi; le connessioni tra questi eventi, diventano leggibili (quando va bene) solo retrospettivamente».
Quali mezzi abbiamo per comprendere la nostra condizione umana? «Ancora oggi affrontiamo questa realtà mediante idee che appartengono al nostro passato e per questo spesso finiamo col rifugiarci sempre più nell'ideologia, negli slogan. Un modo di salvaguardare la nostra identità in pericolo, certo, ma che ci allontana dalle nuove sfide che il continuo mutare degli eventi ci pone di fronte».
Quando è cominciata questa nuova dimensione della nostra angoscia? «La crisi, avviata in sordina forse quindici anni fa, è diventata forse inarrestabile. È ormai la società "liquida", senza punti solidi di riferimento, di cui parla Baumann, nella quale ci si confronta con il futuro-minaccia e non più con il futuro-promessa. Una società in cui l'esigenza primaria della sicurezza limita quella della libertà: i metal detector, le telecamere che sorvegliano ogni luogo pubblico e non solo, i muri eretti ogni giorno (si celebra la caduta del muro di Berlino ma le frontiere tra Usa e Messico e quella arabo-israeliana diventano muri invalicabili), i fili spinati, le recinzioni (anche delle nostre case troppo spesso divise in due), i controlli sociali al limite del parossismo (impossibile salire in aereo con le forbicine per le unghie)...Ognuno pensa a sé, a sopravvivere nel migliore dei modi possibili. Ma così crescono le disuguaglianze».
Come uscirne? «Si cerca di rimpiazzare il tutto con l'idea di una diversificazione senza limiti dell'esistenza. Ma frustra innanzitutto non sentirsi all'altezza, non essere capaci di realizzare quanto gli altri riescono ad ottenere senza sforzo. Il risentimento verso gli altri, che improvvisamente avvertiamo differenti da noi, è una caratteristica di vasti strati della società. L'ansia finisce per renderci sempre meno aperti e tolleranti e desiderosi non tanto di affermare le nostre idee, ma soprattutto di "schiacciare" gli altri. Come ha detto il filosofo Galimberti "il nostro cuore è diventato duro". E questa mancanza di comprensione, di partecipazione alle difficoltà degli altri, è una caratteristica non episodica della nostra esistenza, che non può più essere migliorata dall'uso e troppo spesso con l'abuso dei soli psicofarmaci. I quali, tra l'altro, non risolvono il problema drammatico della solitudine. Papa Ratzinger stesso ha parlato dell'inferno come luogo di solitudine totale».

© Copyright Il Tempo, 11 agosto 2008 consultabile online anche qui.

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