23 dicembre 2007

Antonio Paolucci (Direttore Musei Vaticani): "Benedetto XVI conosce bene la pittura, gli artisti e ama la storia dell'arte"


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I MIEI MUSEI VATICANO

Parla Antonio Paolucci nominato direttore dalla Santa Sede

Il pontefice conosce bene la pittura, gli artisti e ama la storia dell´arte

ROMA

Pochi sanno che Benedetto XVI conosce bene la pittura, gli artisti, i musei. Non solo quelli Vaticani. Dentro le mura leonine dicono che Ratzinger fin dalla gioventù ha spesso visitato le grandi istituzioni museali, capisce l´arte e l´importanza della storia dell´arte per l´umanità. Ha ben chiaro il ruolo preminente della cultura per qualificare l´immagine della Santa Sede.

E questa è una delle letture delle ultime nomine vaticane: monsignor Gianfranco Ravasi alla presidenza del pontificio consiglio della cultura e ora l´arrivo come direttore dei Musei Vaticani, il museo più importante al mondo, di Antonio Paolucci, ex ministro dei Beni culturali della Repubblica italiana (governo Dini), ex soprintendente del Polo Museale fiorentino.
È un grande storico dell´arte e un grande tecnico, uno degli uomini simbolo di Firenze ma che ora lavora davanti a una finestra con vista sul Cupolone, a pochi metri dagli affreschi di Michelangelo, dai Raffaello, dalle migliaia di persone che ogni giorno si mettono in coda per varcare la soglia di questa istituzione, presa letteralmente d´assalto nel periodo natalizio.
È un´ardua impresa quella di Paolucci, la cui nomina dipende direttamente dal pontefice, contrattualizzato dai Vaticani per un triennio, che sta muovendosi con molta soddisfazione, come dice in questa prima intervista, per capire, come dice lui stesso, «cosa sono i Musei Vaticani».

Non dovrebbe averne bisogno.

«Non intendo in termini di ricchezza, di tesori, di reperti, lo sapevo già cosa sono, altrimenti non farei questo mestiere. Volevo capire cosa sono i Musei Vaticani in termini di risorse umane. E devo dire che l´esperienza è stata positiva. In Vaticano c´è uno staff di specialisti, di studiosi di ogni settore di primissimo ordine, da non temere il confronto con qualsiasi soprintendenza italiana, e le conosco bene. L´altra cosa importante dei Musei Vaticani è il personale di custodia: c´è un corpo professionale che ogni soprintendente vorrebbe avere».

Una «maledizione» comune tra i musei italiani e i Vaticani, che ormai raggiungono i quattro milioni di visitatori, c´è: i flussi, le code enormi che si formano all´ingresso specialmente in questo periodo di festività.

«È difficile la soluzione per i Musei Vaticani. Ho visto i precedenti, me ne sto occupando, si sta parlando di un´altra entrata, di un´altra uscita. Ma qui si interviene su monumenti insigni, preziosi: come si fa a tagliare, a manomettere? Ma c´è una cosa positiva che avverrà dall´inizio del 2008: i Musei Vaticani prolungheranno l´orario di apertura di due ore, arriveranno alle 18. Oggi chiudono alle 16. Apertura lunga dunque. Sono due ore in più di Michelangelo e di Raffaello. Ci avviciniamo all´orario dei musei statali italiani. Per far questo abbiamo dovuto fare delle ristrutturazioni, assumere del personale».

I Musei Vaticani ad ogni modo sono in attivo.

«Nel bilancio globale del governatorato, attualmente retto dal cardinale Lajolo, i musei sono una voce importante: una cinquantina di milioni di euro di sola biglietteria. Il biglietto d´ingresso dei Vaticani è 13 euro».

E non è poco.

«Non è poco, ma significa un flusso di denaro cospicuo per le casse del governatorato. Il merchandising è buono ma può essere migliorato. I Vaticani come i musei fiorentini, il Louvre e i musei inglesi sono i grandi totem dell´immaginario artistico universale. E tutti hanno il problema dei flussi. La prossima generazione di direttori dei musei, di storici dell´arte dovrà fare i conti con questo problema planetario. Ogni cittadino del mondo vuol vedere la Gioconda, la Primavera, la cappella Sistina. Ci auguriamo che i cittadini acquistino livelli di benessere e di prosperità tali da potere viaggiare, vedere. Ma quando questo succederà cosa accadrà nei musei? Hanno una capienza limitata».

Finora hanno retto.

«Nel 1956 gli Uffizi erano visitati da cinquantamila persone l´anno. Mezzo secolo dopo sono diventati un milione e mezzo. Questo è avvenuto in tutto il mondo. C´è stato un miglioramento delle condizioni sociali anche se personalmente sono convinto che c´era più gente che usciva dagli Uffizi ricordando qualcosa e avendo capito qualcosa tra quei cinquantamila che nel milione e mezzo di oggi. I cinquantamila erano un´élite, avevano letto e studiato».

Oggi il museo è cambiato, è il nuovo mall, il luogo d´incontro.

«Non è proprio così. È un fenomeno dell´inconscio. La globalizzazione ci porta verso una gigantesca poltiglia. Per ricordare la propria identità resta solo il museo, è una garanzia, una specie di consolazione. Il museo è consolatorio e rassicurante di fronte alla poltiglia mediatica globalizzante. Gli artisti, Dürer o Michelangelo, fanno riconoscere la propria identità. io sono tedesco, io sono italiano. Questa è secondo me una delle ragioni del successo dei musei anche se il visitatore esce senza aver capito nulla. Ma il fatto che quella cosa esiste, che vai a vederla, che è ancora lì, ti conforta, ti consola. Sono stelle fisse delle tua vita».

Con un così alto numero di visitatori non c´è il rischio di «consumare» affreschi come quelli della Sistina?

«C´è un sistema piuttosto sofisticato nella Sistina. Sono interventi che si fanno anche nella cappella Brancacci, al Cenacolo di Leonardo, Giotto a Padova. Ma non abbiamo un tempo di verifica abbastanza lungo. Sono cose che esistono da pochi anni e le opere d´arte sono fatte per durare secoli. Ci manca il test sui tempi lunghi. Questo vale anche per i restauri. Noi oggi siamo convinti di aver fatto eccellenti restauri. Ma fra cent´anni potremo dirlo ancora?».

A proposito di cent´anni, gli ultimi. La collezione del Novecento dei Musei Vaticani è molto debole.

«I Musei Vaticani nascono con una caratteristica: sono un museo globale. La Chiesa ha voluto certificare, testimoniare la memoria della umana civiltà in tutti i suoi aspetti. Ci sono sezioni su tutto. È il museo dei musei. Nel secolo scorso, al tempo di Paolo VI, si è voluta testimoniare anche l´arte contemporanea. Certo, mancano i grandi capolavori. Ma trovo positiva questa volontà della Chiesa di misurarsi anche con il contemporaneo. Ci sono opere di qualità diversa, è vero. Il fatto stesso che la modernità sia testimoniata però è importante anche da un punto di vista filosofico, spirituale. La Chiesa non vuole tirarsi fuori dalla modernità».

Lei ha lasciato Firenze, è stato pensionato, non ha ottenuto proroghe. Ha dei rimpianti.

«Nessun rimpianto anche se avrei voluto finire il lavoro dei Grandi Uffizi. L´ultima volta che ho visto Rutelli gli ho detto: Francesco il tuo governo mi ha buttato fuori, meno male che mi ha ricoverato il Papa».

© Copyright Repubblica, 22 dicembre 2007

1 commento:

mariateresa ha detto...

Buona domenica a tutti!
Questa intervista mi ha aperto il cuore. Tutte le volte che vado a Roma non manco di andare ai Musei Vaticani anche se la fila dei visitatori è da esodo biblico.
Voglio approfittare di questo post per augurare a te Raffaella un caldo augurio di Buon Natale e buone feste.
Un altro augurio altrettanto caldo per i visitatori del blog, tutti, perchè queste feste siano serene e gioiose e così l'anno nuovo che sta per arrivare.
E a un augurio di cuore anche a tutti i vaticanisti che ci portano notizie del nostro Benedetto , fanno un lavoro prezioso anche quando ci fanno arrabbiare. Anche per loro tanta felicità personale e familiare.
E a te Raffaella ancora grazie per tutto quello che fai.