23 dicembre 2007
Blair si converte, un Natale da cattolico ("La Stampa")
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Blair si converte, un Natale da cattolico
Aveva detto: «Gli inglesi considerano bizzarro che un politico parli della sua fede religiosa»
FABIO GALVANO
LONDRA
Se ne parlava da qualche anno, e più del perché si indagava ormai il quando; eppure la scelta religiosa di Tony Blair, che venerdì ha abbracciato il cattolicesimo, ha colto un po’ tutti di sorpresa. Con il senno di poi è facile capire: l’ex premier britannico aveva atteso che si spegnessero i riflettori. E proprio in quella penombra - di qui la sorpresa generale - ha compiuto un passo per nulla improvviso, bensì maturato in un lungo e non del tutto segreto dibattito con la propria coscienza.
Il primate della Chiesa anglicana, l’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, ha riconosciuto che si è trattato di «un lungo viaggio spirituale» e gli ha fatto i suoi auguri, nel rispetto che si conviene fra persone ammodo: «Prego per lui mentre compie questo passo del suo pellegrinaggio cristiano».
Certo: se Blair si fosse convertito a Downing Street avrebbe suscitato, più che sorpresa, allarme. Forse anche, da parte dell’elettorato inglese, indignazione. Non c’è nessuna legge che impedisca a un cattolico di essere primo ministro. Di fatto, però, da quasi cinque secoli - dallo scisma di Enrico VIII nel 1531 - non c’è più stato un cattolico a capo del governo di Sua Maestà; la quale maestà è anche a capo della Chiesa anglicana. Nessun divieto, ma una questione di buon gusto, se non addirittura di opportunità politica.
I cattolici, in Gran Bretagna, non sono più ghettizzati né visti con sospetto. Anche quando si seppe che il primo ministro andava a messa ogni domenica, per accompagnare la moglie Cherie e i figli, cattolici, non ci furono reazioni scomposte ma, semmai, curiosità. Poco alla volta la fede del primo ministro fu accettata; e sebbene il suo portavoce e spin-doctor Alastair Campbell affermasse per prudenza che «non ci occupiamo di Dio», fu lui stesso ad ammettere nelle sue memorie che l’uomo Blair, di religione, «si occupa e anche parecchio».
Forse qualcuno storceva il naso quando Blair, fuori dall’alveo del privato come quando era all’estero per visite ufficiali, non esitava a pretendere che i suoi collaboratori gli trovassero una chiesa per la messa domenicale. Ma l’Inghilterra, sul privato, è come Jekyll e Hyde: pronta a distruggerlo ma anche a difenderlo strenuamente. Di fronte a tale favorevole realtà, forse, Blair avrebbe potuto anche infischiarsene di finire sul Guinness dei primati come il primo inquilino cattolico di Downing Street. Ma non c’era, alle sue spalle, soltanto la vecchia, salda, comprensiva Inghilterra. C'era anche l’Irlanda del Nord. Che si sarebbe detto, proprio mentre cercava di portare al dialogo cattolici e protestanti, facendo anche ingoiare qualche rospo ai seguaci del reverendo Ian Paisley, se avesse destato il sospetto di fiancheggiare i ribelli repubblicani, addirittura l’Ira? Non a caso, in un recente documentario della Bbc sui suoi anni a Downing Street, Blair si è lamentato che nel sistema politico britannico parlare apertamente della propria fede sia considerato bizzarro perché la gente pensa che «ti alzi, vai in un angolo, ti consulti con il piano di sopra e torni dicendo: va bene, ho ricevuto la risposta».
Ha addirittura ammesso di aver evitato riferimenti religiosi per timore di essere preso per «fanatico».
Passato il testimone a Gordon Brown, non c’era più nulla a impedirgli ciò che coscienza dettava, tantomeno l’ipotesi assurda ma reale che sarebbe spettato a un premier cattolico nominare i vescovi anglicani.
Probabilmente Blair aveva già parlato dell’imminente passo con Benedetto XVI, a giugno; ma nulla era trapelato.
È stato il cardinale Cormac Murphy O’Conner, nella sua cappella di Westminster, a celebrare la messa in cui Blair è stato accolto dalla Chiesa di Roma. «Sono stato felice di potergli dare personalmente il benvenuto», ha detto il porporato: «Negli ultimi mesi ha seguito un programma di formazione per prepararsi a ricevere il sacramento. Le mie preghiere sono con lui, la moglie e la famiglia nel gioioso momento del loro comune cammino di fede».
E Blair? Non una parola. È anche significativo che siano passate 24ore prima che si sapesse. Come ha precisato Downing Street: «No comment, è una questione privata».
© Copyright La Stampa, 23 dicembre 2007
Benvenuto, Blair. Mi auguro, pero', che abbia cambiato idea su questa, orribile, espressione:
Ha addirittura ammesso di aver evitato riferimenti religiosi per timore di essere preso per «fanatico».
La fede cattolica va annunciata, sempre, perche' e' gioia!
R.
Da Costantino a Bush tra la politica e la messa
MARIO BAUDINO
Parigi val bene una messa», disse Enrico IV quando, a lui ugonotto, venne offerto il trono di Francia. Si fece cattolico, ebbe la corona, pose fine alla guerra di religione e diede inizio alla dinastia dei Borboni. Emanò pure l’editto di Nantes sulla tolleranza religiosa, destinato a durare poco. Era il 25 luglio 1593, ma non si trattava certo di una prima assoluta in nome della ragion politica, sulla scena della storia.
La frase, poi, chissà se l’ha detta davvero; in ogni caso gli è stata attribuita dalla tradizione, e bisogna dire che è stata scelta bene.
Anche Costantino il grande, l’imperatore che legalizzò il cristianesimo nell’Impero romano, e poi lo assurse a religione di Stato (e istituì per il 25 dicembre, giorno dedicato al dio Mitra cui era piuttosto devoto, la festa del Natale) avrebbe potuto esclamare che Roma una messa la valeva eccome. Le conversioni dei potenti spesso si somigliano, e forse non hanno nulla a che vedere con quella di Tony Blair, che dalla ragion politica non sembra aspettarsi nulla.
Ci sono nel Medioevo quelle piuttosto sbrigative, via matrimonio dinastico, dei re barbarici. A volersi divertire coi nomi, si potrebbe partire dal franco Clodoveo (fine V secolo), per arrivare al granduca lituano Jogalia, battezzato il 15 febbraio 1385. Tre giorni dopo sposò Jadwinga di Polonia e il 4 marzo ne ottenne il regno. Cracovia valeva una messa. Si convertiva il re, e si dava per scontato che fosse convertito tutto il popolo. Con chi non era d’accordo non si andava troppo per il sottile. Con la modernità, le cose si sono invece complicate.
I politici hanno continuato a convertirsi, ma sono arrivati in scena gli intellettuali e le star dello spettacolo: Claudia Koll, dal cinema osé alla mistica; Lola Falana; Linda Lovelace, quella di «Deep Throat», protoregina del porno; persino Bob Dylan, che a partire dagli anni Ottanta ha cominciato a parlare di Dio, e nel ‘97 ha cantato, emozionatissimo, per Papa Wojtyla, a Bologna, anche se l’allora cardinale Ratzinger non era affatto d’accordo.
Gli intellettuali hanno una tradizione evidentemente più antica: in particolare i concittadini di Blair. Per via della storia britannica, e della situazione creata con lo scisma anglicano, la scelta del cattolicesimo è stata sempre molto significativa. Prima di Graham Greene (cui fu negato il Nobel) si convertì il poeta T.S. Eliot, che pure lo ha avuto; ci sono stati fra i convertiti illustri G. K. Chesterton, uno degli scrittori più influenti del primo Novecento, «principe dei paradossi», e persino Oscar Wilde, che peraltro lo fece in punto di morte, anche se aveva a cominciato a pensarci molto prima («non posso vivere da cattolico, voglio morire da cattolico»). E così fu: spirò povero, disperato, in un miserevole hotel di Parigi, il 30 novembre del 1900. Tristi storie, quelle sul letto di morte. Da noi c’è il caso di Curzio Malaparte, nato luterano, vissuto agnostico e anticlericale, spentosi il 19 giugno 1957 dopo cento giorni di agonia in cui, intorno al suo capezzale, si diedero battaglia ministri, giornalisti, scrittori, politici e religiosi. Alla fine padre Virginio Rotondi, celebre gesuita, annunciò di averla spuntata.
Non tutti ci credono. Come non tutti sono convinti del ritorno all’ovile da parte di Fidel Castro, annunciato un anno fa dalla figlia Alina: «Negli ultimi tempi si è riavvicinato alla religione: ha riscoperto Gesù, alle soglie della morte», rivelò in un’intervista. Ma, Castro a parte, fra gli attuali potenti del mondo la conversione è tutto sommato di casa. È noto che George Bush parla spesso della propria, avvenuta intorno all’86, quando smise di bere grazie all’incontro col predicatore evangelico Billy Graham, alfiere dei «cristiani rinati»; e che Vladimir Putin (battezzato da bambino) è membro praticante della Chiesa ortodossa russa dal 1993, quando la moglie incappò in un grave incidente stradale. A conti fatti, Blair non è quella gran eccezione. Il suo amico Francesco Rutelli lo aveva già preceduto dopo tante battaglie radicali quando, nel ‘95, decise con la moglie Barbara Palombelli di ripetere molto riservatamente in Chiesa il matrimonio civile. «Quello religioso è un cammino intimo, privato. Certo, gli incontri con il Papa ci hanno dato la forza di fare questa scelta», rispose ai cronisti incuriositi.
© Copyright La Stampa, 23 dicembre 2007
Bah!
Dobbiamo dire una cosa: Blair e' fuori dalla politica di primo piano e cio' mi fa pensare che la sua conversione sia autentica e sincera, senza secondi fini.
Per quanto riguarda la fede sbandierata di certi personaggi dello spettacolo, beh, consentitemi di rimanere perplessa.
A volte, intervistati, riescono ad infilare tutta una serie di amenita' che poco o nulla hanno a che vedere con la religione.
R.
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1 commento:
Un unico appunto all'articolo riportato: T.S. Eliot non si fece cattolico, bensì anglo-cattolico. Rimase cioè nella Comunione Anglicana. E per favore, dico al giornalista della Stampa, non facciamo tutto questo calderone indistinto. Il Cattolicesimo inglese è molto elitario, snob, perseguitato, tradizionalista, colto e, curiosamente, molto anti irlandese. Niente a che vedere con i "rinati" bushisti e teo con in compagnia bella.
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