8 gennaio 2008

Famiglia Cristiana, moratoria sull'aborto: le novità del dibattito che si è riacceso in Italia


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ABORTO: LE NOVITÀ DEL DIBATTITO CHE SI È RIACCESO IN ITALIA

IMPEGNO PRIMARIO PER TUTTI AIUTARE LA VITA

Giuseppe Anzani

Il dibattito sull’aborto che si è riacceso fortemente nel nostro Paese, dopo la moratoria sulla pena di morte approvata all’Onu, potrebbe raggiungere risultati fecondi se si accetta il coraggio di uno sguardo nuovo sul tema proposto, superando alcuni schemi che in passato lo hanno isterilito.
Non si è mai veramente cessato di discuterne, in realtà, perché da sempre l’aborto scuote le coscienze; la novità, tuttavia, è che adesso la riflessione collettiva non può finire nell’imbuto degli slogan intorno a una certa legge (si tocca, non si tocca, diritto, delitto, tragedia, necessità...), ma deve cimentarsi con la realtà concreta riportata al centro della scena che, per chi l’avesse dimenticato, è una scena di morte.
Si tocca, non si tocca, non è questo il punto. Le leggi sono fatte di parole, la vita è fatta di azioni.

Le parole delle leggi sono importanti, si capisce, perché pretendono di orientare le azioni, facendole legali o illegali. Ma le azioni della vita sono ancora più importanti, perché sul piano ontologico, nel bene e nel male, restano quelle che sono, comunque siano chiamate.

L’aborto è un’azione di morte, guardiamolo in faccia. Non cambia natura secondo che le parole di legge lo traslochino dalla frontiera illegale al territorio legale (in Cina ne fu fatto persino un obbligo giuridico); resta dominio di morte. In Italia ne abbiamo censiti, nei trent’anni di cui parliamo, più di quattro milioni. Quattro milioni di bimbi messi a morte prima di nascere, quattro milioni di madri private della maternità.
Proviamo a sostenere lo sguardo di questi otto milioni di volti, e a chiederci poi se avvertiamo qualche emozione, qualche dolore, qualche ingiustizia, qualche voglia di mutamento, qualche speranza di un futuro diverso, oppure se questa che tutti definiscono tragedia vada bene così; se ci lasci indifferenti e inerti la previsione che "così" anche l’anno nuovo da poco iniziato conterà infine i suoi 130.000 morti abortiti.
È questo preannuncio, o rischio, o sfida, il terreno su cui si può formare, al di là di tutti gli antagonismi del dibattito storico passato, un’alleanza fra tutti. Perché comune almeno, al nocciolo, è la convinzione che ogni vicenda di aborto è dolore e resa, dramma e perdita, sventura e male sociale.
E dunque l’impegno primario comune è per tutti aiutare la vita, liberarla da questa minaccia, rimontare o contenere almeno i bollettini della sconfitta.
Liberare è soccorrere: è il contrario dell’abbandono di una madre alla solitudine del sì e del no, al bivio tra vita o morte, quando la maternità "difficile" segnala, invece, esattamente che è una determinata "difficoltà" la strettoia che coarta la libertà. È quella strettoia che va sciolta.
Va sciolta con l’accoglienza e l’ascolto della persona, con la ricerca delle soluzioni per rimuovere le cause del proposito abortivo, con gli aiuti concreti, persino con "speciali interventi". Non sono parole mie, ma della legge, sono quella "tutela sociale della maternità" che appare oggi come una promessa lungamente disattesa.
Ma ciò che sconfigge i sogni non è solo l’abbandono, è anche la neutralità (quando non l’avversione) verso le ragioni della vita.
Diversa è la passione del soccorso, se la cronaca dice che un movimento di volontariato per la vita ha salvato in questi anni 80.000 bambini (e dunque 80.000 madri, in identico abbraccio). Goccia nel mare, ma segno concreto che è possibile la speranza.
La legge stessa prevede in forma organica la collaborazione del volontariato con i consultori, e vanno aperte le giuste strade. La novità di una riflessione comune a tutti, di fronte alla strage di vita che tutti ferisce col suo oggettivo dolore è questa: che si può e si deve rimontare, con uno stile di pensiero solidale con la vita, con l’adempimento delle promesse, con l’impegno coerente dell’aiuto.

© Copyright Famiglia Cristiana n. 2/2008

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