14 febbraio 2008

Il vuoto dei laicisti non si colma coi bavagli (Pisicchio per "Il Tempo")


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Il vuoto dei laicisti non si colma coi bavagli

Pino Pisicchio

Sfugge al politicismo minore di questi giorni, ipnotizzato dal rito delle liste elettorali, un pezzo inusuale di dibattito "alto" che val la pena di intercettare.
Si discute del "conformismo ghibellino" della cultura laica nazionale che si duole dell'eccesso di protagonismo "guelfo" esercitato dalla Chiesa cattolica. Il tema non è nuovo, anche se si carica di motivi freschi aggiunti, per esempio, dall'intelligente provocazione di Giuliano Ferrara, paladino antiabortista, da posizioni non teiste.
Il tema, dunque, è sempre quello: buona parte dell'intellettualità nazionale si duole dell'ingerenza della Chiesa cattolica nella politica.

In questo ragionamento ci sono almeno tre errori.

Il primo è quello classico che opera una brutale riduzione della fede religiosa a militanza politica. La Chiesa parla alla coscienza dei suoi fedeli: è forse da giudicare "castrista" la preoccupazione di Benedetto XVI relativa agli effetti discriminatori della globalizzazione?

Allo stesso modo non può essere giudicata una violazione del principio "libera chiesa in libero stato" l'appello alla coscienza su temi sensibili dal punto di vista della dottrina cristiana, come l'aborto o la famiglia. Appelli, peraltro, che affermano principi non contraddittori con l'impianto valoriale alla base dello stato laico, per intenderci: la Costituzione.

Dunque la Chiesa cattolica afferma il suo magistero in un circuito di libertà costituzionale, così come fanno le altre professioni-istituzioni religiose: dalle chiese protestanti, alle sinagoghe ebree, alla religione islamica. La differenza, non di poco conto certamente, è che la Chiesa cattolica si rivolge a una platea di italiani che condivide e professa il suo credo in una dimensione molto vasta, tale da farla coincidere con la cultura dominante nel paese.

Ma - e questo è il secondo errore compiuto dai laicisti - si trascura di considerare che la Chiesa ci interpella su temi intrisi di valore etico prescindente, in quanto tale, da ogni declinazione religiosa. Il valore della vita, i limiti della scienza, il senso della solidarietà che si rintraccia nel gruppo sociale primigenio, che è la famiglia, non sono declinazioni catechistiche, ma chiamano in causa la coscienza di ognuno in quanto essere umano.

La Chiesa ha la forza e la credibilità per farlo, la cultura laicista no.

Il terzo errore è quello di chi immagina di arginare la propria difficoltà mettendo il bavaglio alla Chiesa, così come si è fatto all'Università di Roma. È un errore aberrante, ma anche il sintomo di una stupidità irreparabile: l'arsenale ideario della cultura laicista non si riempirà di nuovi argomenti soffocando la parola dei cattolici. Provi a rigenerarsi, accettando "laicamente" il confronto: qualcosa di buono, alla fine, potrebbe nascere.

© Copyright Il Tempo, 14 febbraio 2008

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