14 febbraio 2008

Preghiera per gli Ebrei, Malpelo: "Salvezza e pregiudizi: senza offesa"


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Lupus in pagina

a cura di Rosso Malpelo - Gianni Gennari

Salvezza e pregiudizi: senza offesa

Spiace che persone eccellenti siano all'improvviso bloccate da pre-giudizi semplificanti e quindi falsificanti, p. es. vedendo un'offesa nel pregare affinché gli ebrei giungano liberamente ad accogliere Cristo.
Infatti questa speranza è sempre espressa anche per tutti gli uomini e tutti i popoli. Come può accadere allora che Gad Lerner ("Repubblica", 8/2, p. 1 e 28) scriva che quella preghiera inchioda Israele come «popolo anomalo» e che per non offendere gli ebrei la Chiesa dovrebbe elaborare una dottrina «alternativa», cioè affermare che gli ebrei si salvano anche senza Gesù Cristo?
E perché il saggissimo rabbino Giuseppe Laras ("Corsera", 9/2, p. 19) scrive che così «La Chiesa chiude il dialogo»?

Eppure è noto da sempre, a ebrei e cristiani alla pari, che è accetto a Dio " cioè salvo " chiunque pratica giustizia e diritto. Vale per tutti, atei, buddisti, islamici, e anche per gli ebrei. Così da sempre, ma ciò non toglie che nella fede cristiana e cattolica «tutto è stato creato per Gesù Cristo e in vista di Lui», e tutto ciò che è salvo lo è grazie alla sua mediazione.

Già: dove c'è amore c'è Dio " anche non conosciuto " e c'è salvezza, e dove c'è giustizia c'è Gesù Cristo " anche non riconosciuto " e c'è salvezza, senza offesa per nessuno.

Un cristiano che sa tutto della fede, pratica il culto e si pensa perfetto solo perché osservante e bigotto, ma non ama i suoi simili " scrive Paolo ai Corinzi (c. 13) e conferma durissimo Giacomo (2, 14-19) " non è salvo, anche se prete, vescovo o Papa che eventualmente non voglia amare. Perciò si prega anche per loro. Senza offesa!

© Copyright Avvenire, 14 febbraio 2008

3 commenti:

Anonimo ha detto...

VINO VECCHIO IN OTRI NUOVI
Che sia poco saggio, o quanto meno imprudente, versare del vino nuovo in otri vecchi ce lo ricorda in modo chiaro il Gesù dei sinottici (Matteo 9,17; Marco 2,22; Luca 5,37). Non aveva però preso in considerazione, Gesù, la possibilità che si tentasse di fare il contrario e quali conseguenze ciò potesse avere.
Il 13 aprile 1986 Giovanni Paolo II, in visita alla Sinagoga di Roma, indirizzò alla comunità ebraica là riunita le ormai famose parole: “Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori”. La visita del Papa e quelle sue parole costituirono un momento di svolta forte nelle relazioni tra le due religioni, nella ricerca di quelle nuove strade nei rapporti interreligiosi che la Chiesa intendeva percorrere; strade che erano state indicate molto bene nel decreto conciliare “Nostra aetate” del 1965. Proprio riferendosi a quel documento il Pontefice aggiunse:
“… per mezzo mio, la Chiesa, … ‘deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei ogni tempo da chiunque’; ripeto: da chiunque”.
Tutte queste aperture non furono (e non sono tuttora) gradite dai cattolici tradizionalisti (od integralisti, secondo come li vogliamo chiamare), i quali, per entrare nello specifico della messa tridentina rimessa in auge dal motu proprio “Summorum Pontificum”, ritengono un autentico scippo liturgico quello operato da papa Giovanni XXIII nel 1959 ai danni del messale latino. Allora il Pontefice emendò il testo di quel messale, espungendo le espressioni “perfidi giudei” e “perfidia giudaica” dalle preghiere del Venerdì Santo. Il nuovo emendamento apportato da Benedetto XVI appare agli occhi degli stessi come la classica toppa peggiore dello strappo. Se “fratelli maggiori” può forse andare bene (ma non so quanti lo pensano veramente), qui arriviamo (dicono) ad una inaccettabile forma di sudditanza: si dimentica forse che il Gesù del quarto Vangelo, rivolgendosi ai giudei, dice loro: “…voi avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro” ? (Gv 8,43). Di questo passo dove andremo a finire ?, etc. etc.
Da parte ebraica altrettanto scontento, anche se per altri motivi: forse sentirsi appellare “fratelli maggiori” da un Pontefice, ma bisognosi che i loro cuori vengano illuminati perché riconoscano Gesù Cristo da un altro Pontefice, può creare un disagio anche forte.
Insomma, il vino vecchio della messa tridentina versato nell’otre nuovo dei fratelli maggiori pare che produca gli stessi effetti del vino nuovo negli otri vecchi della metafora di Gesù: gli otri si rompono ed il vino si perde; a meno che non sia vero quello che il Gesù di Luca aggiunge alla fine della parabola: “Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è buono!” (Lc 5,39)

Roberto Cappellini GE
cappe.ro@virgilio.it

Anonimo ha detto...

Mi dispiace ma questa "omelia" di Capellini secondo me e ancora un segno che i progressisti e laicisti e tutti che non sono daccordo con la linea del Pontefice attuale vogliono usare irritazione di una parte dei rabbini come strumento contro questa linea e specialmente contro aplicazione del motu prorio Summorum pontificum. Spero che presto o tardi la maggior parte dei rabbini e mondo ebraico capiranno che in quela pteghiera del Venerdi Santo non ce nessuna offesa contro loro religione e che questo scandalo artificiale serve agli interessi lontani della religione e del dialogo tra loro.
Non sono nemmeno daccordo che la Messa Tridentina e un "vino vechio" perche non e mai stata abolita! Pero mi sembra che "il vino vechio" e proprio quelo di cosi detto "Sprito del Concilio" -"raccolto bolognese 1968" che presenta una interpetazione sbagliata del Secondo Concilio creando abusi teologici e liturgici. Comunque opporere le due fome del rito latino quela ordinaria e quela straordinaria e una cosa sbagliata. Ognuna di loro ha la sua dignita e validita canonica e non puo essere classificata come piu o meno addatta alla realta di oggi.

Anonimo ha detto...

Ringrazio l’anonimo interlocutore di aver nobilitato con il termine “omelia”, anche se virgolettato ironicamente, il mio modesto intervento: non sono un sacerdote e quindi non sono abilitato a fare omelie. Vorrei però fare alcune precisazioni, perché ritengo che la sostanza del mio scritto non sia stata interpretata correttamente.
Con quanto ho detto non volevo prendere posizione pro o contro le disposizioni contenute nel motu proprio “Summorum Pontificum”, ma volevo in qualche modo mettere l’accento, utilizzando da una parte, anche un po’ provocatoriamente, alcune affermazioni della Scrittura, e dall’altra precedenti documenti del Magistero, sulle questioni antiche e complesse che esistono ancora oggi nel rapporto tra ebrei e cristiani. Il risentimento ebraico per la modifica della preghiera del Venerdì Santo può anche essere stato enfatizzato strumentalmente, ma non è questo il punto essenziale. Il punto essenziale, sia sul tema dei rapporti ebrei-cristiani, sia su altri aspetti inerenti alla fede cristiana in generale ed a quella cattolica in particolare, è la perdita generalizzata del senso della complessità. Noto, purtroppo, che si tende sempre di più a vedere il mondo in generale e la storia degli uomini in particolare (compresa la loro storia religiosa) in bianco e nero e questo è all’origine, a mio avviso, di pericolose derive fondamentaliste nelle quali scompare progressivamente la capacità di dialogo e si va unicamente alla ricerca della condanna dell’altro e dell’assoluzione propria. Oggi, l’animosità verbale di non pochi cattolici sembra ispirarsi a questi versetti del salmo 149:

Esultino i fedeli nella gloria,
sorgano lieti dai loro giacigli.
Le lodi di Dio sulla loro bocca
e la spada a due tagli nelle loro mani,
per compiere la vendetta tra i popoli
e punire le genti;
per stringere in catene i loro capi,
i loro nobili in ceppi di ferro;
per eseguire su di essi il giudizio già scritto…

E questo sia verso altri cattolici ritenuti non sufficientemente “allineati”, sia verso chi cattolico non è. Se avessimo maggiori umiltà e pazienza, volontà di ricercare e di documentarci, riusciremmo a muoverci nei sentieri della complessità con meno timori di perdere qualcosa. Quei timori che invece crescono se restiamo chiusi nelle nostre cittadelle, disposti ad uscirne solamente brandendo la spada a due tagli…

Roberto Cappellini GE
cappe.ro@virgilio.it