13 febbraio 2008
Card. Ratzinger: Il catechista è "portavoce di Cristo" (1997)
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Congresso Catechistico Internazionale - 14-17 ottobre
L'omelia del Cardinale Joseph Ratzinger
Il catechista è "portavoce di Cristo"
All'altare della Cattedra della Basilica di San Pietro il Card. Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha presieduto venerdì mattina, 17 ottobre, la solenne Concelebrazione Eucaristica a chiusura del Congresso, alla quale hanno preso parte i Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi ed i sacerdoti partecipanti alle giornate di studio. Questo il testo dell'omelia:
"Fratelli, rimanete saldi nel Signore, così come avete imparato!": è l'invito che proviene, attraverso la voce di s. Paolo, a tutti noi. È anche l'invito che attraversa le lettere del grande Vescovo di Antiochia, di cui oggi celebriamo la memoria. "L'unica cosa che importa è essere trovati in Gesù Cristo", scrive s. Ignazio alla Chiesa che è in Efeso (XI, 2). Questo invito riecheggia per tutte le generazioni cristiane dalle stesse parole di Gesù nell'ultima sua cena terrena: "rimanete in me!" (Gv 15, 4), "chi rimane in me ed io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla" (Gv 15, 5). È questa anzitutto la strada maestra perché la Chiesa rimanga fedele a sé stessa, fedele al prezioso tesoro di grazia che le è stato affidato in deposito e fedele al mandato ricevuto dal suo Signore.
Rimanere saldi nel Signore Gesù Cristo è la via sicura perché l'esposizione della fede brilli di quella luce che soltanto il Mistero del Dio che si rivela sa produrre, luce che unica può avvincere in pienezza la ragione umana. Egli solo è infatti quella via, illuminata di Verità e Vita, che conduce l'uomo al Padre.
Qui sta il cuore di ogni catechesi, come ci ha ricordato il Santo Padre nell'Esortazione apostolica <strong>Catechesi tradendae: "Lo scopo della catechesi" è "mettere... [gli uomini]... in comunione con Gesù Cristo". "Nella catechesi... solo Cristo insegna, mentre ogni altro lo fa nella misura in cui è il suo portavoce..." (CT 6).
"Essere portavoce di Cristo" è possibile nella misura in cui si "è trovati" in Lui, nella misura in cui si dimora oggi nella sua Persona. Questa immanenza a Cristo, alla sua vivente persona, spalanca le porte dell'intelligenza agli orizzonti sconfinati di quel Mistero che si è curvato per Amore sulle vie difficoltose dell'umana esistenza. Rimanere in Cristo è la condizione perché il suo messaggio sia realmente compreso e fedelmente testimoniato agli uomini di tutti i tempi.
"Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo", ci ha detto Gesù attraverso il vangelo di s. Giovanni. Il servizio a Cristo, al suo insegnamento è inscindibile dalla sua sequela. Nessuno di coloro che sono chiamati ad esporre la sua dottrina può pensare di porre un altro fondamento alla propria vita. "Ho preso l'iniziativa di ammonirvi" - scrive Ignazio ai cristiani di Efeso, mentre procede verso il martirio - "perché camminiate in accordo con il pensiero di Dio. E il pensiero del Padre è Gesù Cristo, nostra vita inseparabile" (Ad ephesios, III, 2).
Gesù Cristo è "la nostra vita inseparabile"!
Egli è inseparabile da coloro che lo servono ed hanno ricevuto il mandato di diffonderLo, di diffondere il suo messaggio. Gesù Cristo si trova oggi in questa unità vivente ed inseparabile fra la sua persona e coloro che lo servono, unità fra Lui e coloro che umilmente lo seguono e fedelmente ne trasmettono il depositum. Da questa unità sgorga come acqua limpida quell'insegnamento che, grazie all'assistenza del suo indefettibile Spirito, si effonde in tutta la Tradizione ed in tutto il Magistero di cui la Chiesa è ricca.
Dal capo stesso di Cristo, l'"unto del Signore", questo Spirito si riversa continuamente sulla Chiesa per rinnovarne la vita e la parola. Gesù stesso ha fondato questa Chiesa come luogo dell'unità vivente con la sua persona e ne ha garantito l'indefettibilità mediante il dono del suo Spirito, che è Spirito di Verità. "Il motivo per cui il Signore ricevette, sul proprio capo, l'unguento prezioso, fu per effondere sulla sua Chiesa l'incorruttibilità" (Ad ephesios, XVII, 1), dice s. Ignazio.
Il carisma dell'indefettibilità nell'insegnamento discende alla Chiesa da Cristo attraverso quel balsamo prezioso che è lo Spirito Santo. Per s. Ignazio "la Chiesa è unita a Cristo... come Gesù Cristo è unito al Padre" (Ad ephesios, V, 1). Questa unità di Cristo col Padre, apertasi agli uomini attraverso l'effusione dello Spirito, assicura ad essa il dono della Verità.
Nella visione del martire antiocheno, uno per uno, i cristiani sono chiamati a partecipare di questa unità vivente con Cristo, attorno a coloro che Lui ha preposto, perché la Chiesa, nell'armonioso accordo delle voci, diventi un coro che canti all'unisono verso il Padre. In questa unità il dono della Verità non mancherà mai, poiché lo Spirito di Cristo ha posto qui la sua stabile dimora.
Qui viene incessantemente rinnovato, ad ogni succedersi di generazioni, il dono di quella Verità che è Cristo, Verità che abbiamo il compito di intimamente conoscere, santamente custodire e fedelmente illustrare.
Lì dove i cristiani si radunano attorno all'autentico Pastore, l'inviato del Padre, come intorno ai suoi legittimi successori e vicari, ci è stato promesso che le forze del male e della menzognanon riusciranno a prevalere sul dono della Verità.
Questa Verità, che è anzitutto dono da umilmente accogliere, è infatti l'eredità preziosa che ciascun cristiano riceve da Cristo, attraverso la Chiesa, nella luce diffusa dallo Spirito. Questa Verità ciascuno ha il diritto di ricevere nella sua integrità ed integralità, per poterla devotamente ospitare e quindi conoscere ed amare come pegno di salvezza.
Questa Verità ciascuno ha il dovere di correttamente esporre e trasmettere, perché a nessuno giunga adulterata quella salvezza che Dio ha donato agli uomini. Chi accetta di accogliere con lealtà ed umiltà questa Verità ne scopre la perenne novità ed impara ad amarla come "parola di vita eterna", anzi come Parola a cui consegnare la propria vita in offerta, per l'eternità.
Non è infatti possibile annunciare quella Verità che è Cristo senza essere disponibili a legarsi con essa fino al dono della vita, senza essere disposti ad offrire persino la propria vita per essa e per i fratelli a cui viene comunicata.
È questa la realtà che oggi ci ricorda il martirio di s. Ignazio. "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto". Solo l'amore rende capaci di offrire la vita, solo l'amore per la Verità che si fa carne in Cristo consente di abbracciare anche la tremenda prova del martirio. La Tradizione della Chiesa si fa ricca - come ricorda spesso il Santo Padre - anche di tutti quei
martiri che con il loro sangue hanno consentito alla Verità, donata da Cristo, di essere testimoniata con coraggio in ogni tempo, fino agli estremi confini della terra.
E in qualche modo l'umile accoglienza della Verità donata da Dio esige pure da ciascuno di noi il martirio di una rinascita. L'accoglienza fedele di quel messaggio con cui Gesù ci invita nella sua Chiesa, chiede in continuazione una rinascita, un cambiamento di mentalità, una morte alle nostre pretese visioni per rivivere in Cristo e nel suo pensiero. In Lui siamo infatti chiamati a collocare tutte le nostre speranze e la nostra stessa vita. "Perdere la propria vita" significa porre tutte le nostre personali aspirazioni dentro quel "pensiero di Cristo" con cui il Padre realizza il suo disegno di salvezza sul mondo. Così, coloro che accettano di consegnarsi a Cristo, nel corpo vivente della sua Chiesa, coloro che "rimangono in Lui", possono davvero trovarsi collocati nello spazio di quella vita feconda che "produce molto frutto". Senza di Lui infatti "non possiamo fare nulla".
"Le mie aspirazioni umane sono crocifisse" - scrive ancora s. Ignazio - "sento un'acqua viva che mormora in me e dice "vieni al Padre!"" (Ad romanos, VII, 2). Chi accetta di morire insieme a Cristo, rinasce con la forza dirompente del suo Amore al Padre. Questa è la testimonianza che ci proviene, insieme a quella di tanti santi, dal Vescovo martire di Antiochia. Grazie a quell'amore, che sgorga con lo Spirito dalla Croce, possiamo anche noi camminare con Cristo verso il Padre che è nei cieli.
Perciò, con gratitudine, riconosciamo insieme all'Apostolo Paolo che "la nostra patria è... nei cieli, e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose".
Con gratitudine riconosciamo anche che al nostro cuore, mentre è in attesa di riposare definitivamente nella casa celeste, è offerta una dimora terrena in questa Chiesa, come in una patria. Essa è quello spazio di cielo che Cristo ci ha donato come pegno di salvezza sulla terra. Qui le nubi, anche se presenti, non prevarranno. Qui ci viene offerto come caparra un inizio di fecondità che, in modo misterioso ma reale, oltre ogni apparenza di fallimento, appartiene già a quella novità di vita con cui il Salvatore Gesù Cristo trasfigurerà tuttala nostra esistenza. Qui il Corpo glorioso del Risorto ha già iniziato a conformare a sé la vita di chi non teme di consegnarGli il suo "misero corpo".
Con amore attendiamo il nostro Salvatore e ci sforziamo di accogliere il dono della sua Verità che risplende di luce indefettibile. "Lasciatemi raggiungere la pura luce: giunto là sarò uomo davvero", scriveva s. Ignazio, poco prima di morire, ai cristiani della Chiesa di Roma (Ad romanos, VII, 2), quella "Chiesa che presiede alla carità".
Lì dove risplende la luce di Cristo non manca mai quella Verità in cui ciascun uomo può ritrovare se stesso e la sua umanità, non manca mai quella Verità che raduna intorno a sé gli uomini come figli di un unico Padre. È questa luce che siamo chiamati a seguire, è questa luce che ci invita a servire ogni fratello con l'umile e coraggiosa carità della Verità.
(C) L'OSSERVATORE ROMANO Sabato 18 Ottobre 1997
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