12 febbraio 2008

Troppo specializzati, poco sapienti: il "caso Sapienza", il manifesto di Cini e l'analoga "lettera dei dieci accademici" in Russia (Aleksej Judin)


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Sul cristianesimo, sintesi tra trascendente e ragione, si può costruire un modello formativo universale

Troppo specializzati, poco sapienti

di Aleksej Judin
Università umanistica di Mosca

Initium sapientiae timor Domini, così suonava l'antico motto dell'università La Sapienza. Oggi sarebbe impossibile figurarsi che una simile affermazione (a maggior ragione perché dalla Bibbia), possa esprimere la sostanza e il fondamento dell'attività di un istituto superiore di istruzione. Com'è cambiato il mondo negli ultimi secoli! Un mondo, quello attuale, in cui la sapienza sembra aver lasciato definitivamente il posto alla scienza, o meglio a più scienze, che si sono assicurate praticamente il monopolio delle diverse branche del sapere umano. È proprio un tale approccio conoscitivo disgregato a definire la situazione della cultura nella tradizione del razionalismo occidentale. Questa disgregazione culturale si ripercuote anche sull'istruzione, in quanto meccanismo fondamentale produttivo di cultura. In base al modello attuale, l'istruzione superiore possiede prevalentemente la finalità di preparare l'homo faber, vale a dire specialisti altamente qualificati, ma con una sfera limitata di applicazione di metodi e conoscenze. La specializzazione scientifica come tale si trasforma in un processo di perfezionamento all'infinito di tipo tecnico, con un'inevitabile - così sono in molti a ritenere - riduzione della sfera complessiva delle conoscenze.
Sia questa limitazione, sia anche la progressiva svalutazione di un tipo di formazione di carattere universale, costituiscono caratteristiche allarmanti del processo educativo contemporaneo. L'individuo viene preparato come specialista di una determinata microcultura scientifica, che si forma in base a propri particolari significati. Ma perfino una ricezione critica di tali significati diventa tabù in base ai canoni dell'etica scientifica convenzionale, oltre a rendersi praticamente impossibile a causa della rescissione dei legami nel quadro generale del sapere scientifico, dell'assenza di esperienze di universalismo mentale e, quindi, della rinuncia (consapevole o no) a costruire un proprio quadro conoscitivo del mondo. In tal modo, si rifiuta o si atrofizza consapevolmente il potenziale conoscitivo dell'informazione, vale a dire ciò che conduce al formarsi di una sapienza capace di recepire un quadro unitario del reale.

Cristianesimo ed educazione

I fallimenti nel processo di formazione di una conoscenza scientifica integrale diventano la causa fondamentale dei fallimenti nell'impostazione di un nuovo modello di istruzione superiore comune. Uno dei modelli più produttivi di costruzione di una conoscenza integrale del reale è l'innesco religioso del processo conoscitivo.

Il cristianesimo, con il suo colossale potenziale culturale e la sua secolare tradizione di sintesi fra ciò che rientra nell'ambito del razionale e ciò che lo travalica, può essere assunto a pieno diritto come base per ripristinare un modello formativo universale. È però certo che nel mondo scientifico contemporaneo una simile proposta verrebbe giudicata come una suprema sovversione.

E questo perché il nostro mondo, fondato sui principi della razionalità secolare, è finalmente libero da ogni genere di prescrizioni e dogmi; è secolare, cioè subordinato solo all'uomo, è libero e pluralista, cioè accoglie chiunque, quali che siano le sue convinzioni e la sua cultura. Il timor di Dio vi viene respinto totalmente e definitivamente, e questo ha liberato l'autentica sapienza - la sapienza della ragione umana. La conoscenza scientifica oggi si pone come obiettivo la natura, e non il cosmo medioevale - la natura, pienamente comprensibile anche senza porsi il problema di Dio. Ma bisogna vigilare attentamente su queste conquiste, per non cedere le posizioni conquistate e per evitare che, come già è successo nel buio medioevo, l'oscurantismo del timor di Dio faccia prigioniera la nostra sapienza e spenga il lume della ragione. Questo, nella sostanza, il pathos della cultura laicista, dai tempi dell'Illuminismo fino a oggi. Il nemico principale che ci minaccia è la "clericalizzazione strisciante" (per usare un termine preso a prestito dal dibattito attualmente in corso in Russia). Per convinzioni superiori, per devozione alla ragione e all'unico metodo di conoscenza oggettiva del reale, noi rifiutiamo in linea di principio tutto ciò che consideriamo clericale e reazionario. E il diritto di enunciare queste definizioni spetta solo a noi, uomini di scienza, sostenitori del progresso, fautori della piena libertà di concezioni e convinzioni, riconosciuti come esperti e custodi del sapere contemporaneo. Questa, se volete, è la dittatura della verità in nome del bene e del benessere universale. Quest'organizzazione della polis era già stata vagheggiata da Platone, ma i suoi sogni si infransero contro la realtà imperfetta del mondo a lui contemporaneo. E ogni volta nella storia dell'umanità noi vediamo come questo sogno si infrange contro la realtà (che ogni volta si dimostra imperfetta), con conseguenze più o meno catastrofiche.
In qualche misura ciascuno di noi, perfino la persona dotata delle convinzioni religiose più tradizionali, può riconoscere in sé il pathos liberale della cultura contemporanea. Ma nei recessi della coscienza del cristiano di oggi si cela anche un certo disagio: la coscienza religiosa del cristiano e il suo metodo di conoscenza del reale non sempre, infatti, riescono a convivere con i valori del sistema liberale e con l'imperativo della visione secolarista. Il desiderio di essere moderni e di adattarsi pienamente alle esigenze della cultura laica induce di regola i credenti a limitare sempre più la sfera d'azione del metodo religioso di conoscenza del reale, riducendolo a un ambito strettamente privato e accettando le convenzioni sociali. Ma il disagio resta, tanto più nella sfera pubblica, dove la visione religiosa è praticamente dichiarata non grata. Così, il credente di oggi (e in primo luogo il cristiano) si scontra inevitabilmente con il rischio di secolarizzare le proprie convinzioni e abitudini, perfino quelle più immediatamente legate alla sua vita religiosa. Pur possedendo le libertà formalmente attribuitegli nella società liberale, il cristiano subisce restrizioni e limitazioni quando si tratta di declinare le proprie concezioni nella sfera pubblica, si tratti di politica, di cultura, di istruzione e in primo luogo di scienza. Infatti, nella sfera pubblica hanno credito solo le posizioni secolariste.

Il "caso Galileo", leggenda aurea della scienza

Per venire al concreto, mi sembra di poter osservare che nella situazione venutasi a creare intorno alla visita del Papa alla Sapienza, l'elemento sostanziale non siano tanto le forme d'azione degli oppositori e neppure le dimensioni assunte dal dibattito pubblico, quanto alcuni principi in base ai quali il gruppo di scienziati ha dichiarato inaccettabile un intervento pubblico del Santo Padre nel tempio della ragione secolarista.

Tali principi mi sembrano sintetizzati nella lettera al Rettore del noto fisico italiano Marcello Cini, una sorta di manifesto nella successiva campagna di proteste. Vi si legge, tra l'altro: "I temi che sono stati oggetto degli studi del professor Ratzinger non dovrebbero comunque rientrare nell'ambito degli argomenti di una lezione, e tanto meno di una lectio magistralis tenuta in una università della Repubblica italiana".

In altri termini, il professor Cini, pronunciandosi da esperto, nega al proprio collega professor Ratzinger il diritto di svolgere una lezione pubblica in un'università italiana perché i temi delle sue ricerche non corrispondono alle norme scientifiche correnti.

Di seguito Cini fa un'ulteriore precisazione: "Soprattutto se si tiene conto che, fin dai tempi di Cartesio, si è addivenuti, per porre fine al conflitto fra conoscenza e fede culminato con la condanna di Galileo da parte del Santo ufficio, a una spartizione di sfere di competenza tra l'Accademia e la Chiesa".

L'intervento del Papa nell'università La Sapienza sarebbe un'imperdonabile violazione dei confini che in seguito al "caso Galileo" vennero posti tra scienza e fede. Di più, la lezione pubblica del professor Ratzinger può considerarsi una revanche reazionaria: "La sua clamorosa violazione... sarebbe stata considerata, nel mondo, come un salto indietro nel tempo di trecento anni e più".

Niente è più estraneo alla posizione filosofica e teologica di Papa Ratzinger, che qualunque tipo di attacco antirazionalistico; come lui stesso asseriva nella già citata lezione La crisi della fede nella scienza del 1990, "la fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità, ma dalla sua fondamentale affermazione e dalla sua inscrizione in una ragionevolezza più grande".

L'esigenza di questa "ragionevolezza più grande" è sempre più sentita nella cultura attuale, che ormai solo a fatica può definirsi secolarista. Sarebbe più corretto parlare di "era post-secolarista", perché perfino il discorso secolarista abituale mostra scopertamente nuove sfumature di significato quando si parla di valori e di interessi puramente umani. Sono proprio questi nuovi significati nella riflessione sulla libertà, la dignità umana e la giustizia a esigere sempre più insistentemente il ritorno del sacro e l'affermazione della sua realtà. "La ragione umana ha bisogno del sostegno delle grandi tradizioni religiose dell'umanità", sottolineava il cardinale Ratzinger nel saggio Libertà e verità, pubblicato nella rivista "Studi Cattolici" (numero 430, dicembre 1996).

Un esempio interessantissimo di quest'esigenza è stata la discussione svoltasi all'Accademia Cattolica di Monaco di Baviera il 19 gennaio 2004 tra due intellettuali agli antipodi: uno dei più interessanti filosofi contemporanei, Jürgen Habermas, e l'allora cardinale Ratzinger (Ragione e fede in dialogo).
Epilogo della discussione può essere considerato il reciproco riconoscimento della necessità di un processo di apprendimento da entrambi i lati, della "complementarità" e "correlatività" di ragione e fede, di ragione e religione, "chiamate a una comune purificazione e consacrazione, bisognose l'una dell'altra e tenute a riconoscerlo" (cardinale Ratzinger).

La lettera dei "dieci accademici"

L'incidente alla Sapienza è solo uno dei sintomi dell'acuta crisi attualmente imperante nel campo della scienza e dell'educazione. Potremmo citare un altro esempio, preso dalla situazione odierna in Russia, dove è in corso un acceso dibattito sul posto e il ruolo della religione nella sfera pubblica, in primo luogo nel campo dell'istruzione.

Dalla fine degli anni '80 fino ai giorni nostri, la situazione è cambiata radicalmente. La religione sta conquistando a grandi passi spazi e riconoscimenti in tutti i settori della vita pubblica, e di conseguenza cresce l'autorità delle istituzioni religiose, in primo luogo della Chiesa ortodossa russa e degli esponenti del clero, sovente oggetto di una sorta di "culto" proprio in forza della loro dignità spirituale. Un processo legittimo, almeno in forza di alcuni meccanismi di compensazione caratteristici nell'evoluzione della cultura umana. Questo, tuttavia, suscita inevitabilmente nuove contraddizioni nella società russa, alla faticosa ricerca di una propria identità ma con un occhio fisso al periodo della superpotenza sovietica. Inoltre, i valori della società liberale, enunciati a grandi lettere nella nuova Russia postsovietica, di fatto si sviluppano in maniera estremamente limitata, anzi vengono continuamente posti in dubbio nell'attuale dibattito pubblico come estranei e meccanicamente trapiantati dall'Occidente. Tutto ciò conferisce sfumature particolari al dibattito in corso sulla clericalizzazione dell'istruzione nella scuola media e superiore. È necessario puntualizzare che nella storia dell'istruzione in Russia mancano precedenti di questo genere. Come sappiamo, l'università russa si sviluppa sulla base del modello dell'università laica illuminista esistente a metà del XVIII secolo e si forma definitivamente sotto l'influsso dell'università napoleonica, che presupponeva un controllo totale della sua attività da parte dello Stato. La teologia fu assente sin dall'inizio sia nell'università sia nelle scuole superiori russe.
La Chiesa ortodossa russa negli ultimi tempi ha richiesto più volte che fosse introdotto tra le materie di studio un corso sui "Fondamenti di cultura ortodossa", mentre il Ministero dell'istruzione e tutta una serie di personalità pubbliche, in primo luogo scienziati e difensori dei diritti umani, hanno declinato tali richieste e proposto in sua vece un altro insegnamento, la "Storia delle religioni del mondo". Questa seconda variante è stata presentata - non senza ragioni - come più laica e maggiormente corrispondente alla reale configurazione politica della Russia contemporanea, paese laico, pluriconfessionale e multiculturale. Sia per l'una che per l'altra parte, tuttavia, è evidente la necessità che il sapere religioso sia presente nella scuola russa contemporanea, la questione verte piuttosto sul formato e i contenuti di questa presenza.

La discussione, già sufficientemente politicizzata, ha registrato una svolta nel giugno scorso, quando dieci accademici russi, la maggior parte dei quali scienziati di fama mondiale, hanno indirizzato al Presidente Putin una lettera aperta, intitolata "La politica della Chiesa ortodossa russa: consolidamento o sfascio del paese?", esprimendovi la loro inquietudine per la "crescente clericalizzazione della società russa" e per l'"attiva penetrazione della Chiesa in tutte le sfere della vita pubblica".

Particolare allarme negli accademici ha suscitato la proposta della Chiesa ortodossa di aggiungere la teologia all'elenco delle specializzazioni scientifiche, elevandola così al rango di indirizzo scientifico autonomo. Gli accademici russi sono stati sostenuti da altri studiosi, esponenti di organizzazioni pubbliche che sostengono i principi della società liberale, difensori dei diritti umani e alcuni rappresentanti di altre comunità religiose, tra cui quella musulmana. Contro la posizione degli accademici si sono invece schierati, evidentemente, rappresentanti della Chiesa ortodossa e dell'opinione pubblica ortodossa conservatrice, e inoltre tutta una serie di influenti personalità, tra cui alcuni membri della Camera del pubblico presso il Presidente della Federazione Russa. Così si è espresso Jurij Pivovarov, direttore dell'Istituto di informazione scientifica nelle scienze sociali dell'Accademia delle Scienze di Mosca: "La teologia non è la scienza di cui si occupano i grandi studiosi e premi Nobel Alferov e Ginzburg, ma è il sapere senza del quale il nostro paese andrà certamente alla deriva. Sono convinto che senza una cultura religiosa, senza una preparazione teologica vi siano tutti i presupposti per ripiombare nella barbarie. La Chiesa, dal canto suo, deve certamente imparare a essere più delicata, deve tener conto del fatto che, nonostante tutta la rinascita religiosa, la Russia continua ad essere, come in passato, un paese ateo".

Il diacono Andrej Kuraev, uno dei pubblicisti ortodossi di spicco, ha scritto: "Nella lettera dei dieci accademici mi sembra riprovevole esattamente la violazione dei principi della ricerca scientifica e del dialogo da parte degli stessi autori, che pur sembrerebbero difendere gli interessi della scienza. Un buono scienziato conosce sempre i limiti della propria competenza. Conosce i limiti dell'applicabilità del proprio metodo. Ed è disposto a imparare, ad analizzare ogni nuova informazione che gli provenga dal "vicino"".
Interessante rilevare che contro la "lettera dei dieci accademici" sia intervenuta anche una famosa organizzazione in difesa dei diritti umani, l'"Ufficio moscovita per i diritti umani". Proprio nella sua dichiarazione troviamo il giudizio più acuto sulla posizione degli accademici. "Innanzitutto salta all'occhio la vetusta contrapposizione che vi si opera tra fede e sapere, tra religione e scienza, tra fede e cultura. Al contrario, l'esperienza storica dimostra che queste sfere della vita non solo non sono in rapporto antagonistico fra loro, ma sono anzi pienamente compatibili".
La discussione ha ben presto assunto toni accesi in seguito ai tentativi di una serie di organizzazioni ortodosse di citare in tribunale l'accademico Vitalij Ginzburg, uno dei promotori della "lettera dei dieci accademici", per una frase da questi pronunciata in un'intervista: "Insegnando religione nelle scuole, queste canaglie clericali (per usare un eufemismo), vogliono plagiare le anime dei minori". La Procura non ha tuttavia rinvenuto nelle parole di Ginzburg alcuna "affermazione volta ad attizzare odio e rancore", così le organizzazioni ortodosse hanno ritirato la querela. Il conflitto si è risolto, ma la discussione non è finita. Il dibattito sulla "clericalizzazione della vita sociale in Russia" continua all'interno degli ambienti scientifici e sociali, la sorte della materia "Fondamenti di cultura ortodossa" nella scuola russa non è ancora definita, mentre la Chiesa ortodossa e il suo avversario, l'opinione pubblica liberale, non risparmiano sforzi nelle direzioni opposte.

Il rifiuto del sapere religioso

Sia nel caso della "lettera dei dieci accademici" come in quello dell'appello di Marcello Cini al Rettore della Sapienza, è interessante soffermarsi sui motivi del rifiuto del sapere religioso.

La teologia, che è stata finalmente introdotta in Russia come specializzazione scientifica nella scuola superiore, suscita il disappunto degli accademici per questo motivo: "Ma su quale base, si chiede, la teologia - che è una congerie di dogmi religiosi - può essere inscritta fra le discipline scientifiche? Tutte le discipline scientifiche si basano su fatti, sulla logica, su prove, ma non certo sulla fede!". In tal modo, gli accademici russi che protestano contro la clericalizzazione, rifiutano senza mezzi termini alla teologia ogni attinenza al discorso razionale e la eliminano dal campo delle discipline scientifiche "legittime". In questo caso tutto potrebbe essere spiegato molto semplicemente con la pesante eredità dello scientismo materialista di epoca sovietica, se non vi fossero le specificità messe in luce analizzando l'analogo conflitto accesosi intorno all'iniziativa dei docenti della Sapienza. Sostanzialmente, il ripudio del sapere religioso espresso da una parte del mondo scientifico non è un problema del famigerato conflitto tra scienza e fede, ma un problema interno della metodologia del sapere scientifico contemporaneo. E ancora è un problema relativo al potere della scienza sia nel proprio mondo professionale, sia anche nello Stato e nella società. L'intolleranza e l'ostilità in quest'ambito possono essere superate soltanto attraverso una ricerca di nuovi orizzonti del sapere scientifico, e grazie a un dialogo razionalmente fondato tra portatori di visioni laiche e religiose. Si vorrebbe sperare che anche l'odierno dibattito in Russia sul ruolo e il posto della religione nella vita della società, possa ispirarsi a modelli di dialogo, di "complementarità" e "correlatività di ragione e fede", come quelli proposti da Jürgen Habermas e dal cardinale Ratzinger.

(©L'Osservatore Romano - 13 febbraio 2008)

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