13 febbraio 2008

Botta e risposta fra Gad Lerner e Dino Boffo, direttore di "Avvenire"


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La polemica

La gamba tesa del Vaticano

Ho provato molta curiosità, l´altra sera, quando il Tg1 ha annunciato con rilievo, nei suoi titoli d´apertura, un´intervista al direttore di Avvenire, Dino Boffo.
Che cosa sta per comunicarci di così importante il mio amico Boffo, la cui relazione fiduciaria con il cardinale Ruini prosegue da quasi vent´anni?
Si esprimerà sulla difesa della vita, sul ruolo della famiglia, sulla controversia teologica con gli ebrei? Macché, la parola gli viene data nei primi minuti del telegiornale, quelli dedicati alla politica interna, subito dopo un resoconto sul braccio di ferro nel centrodestra fra Berlusconi e Casini. Premesso, come di consueto, che la Chiesa non fa scelte di schieramento, il direttore di Avvenire dice finalmente quel che premeva rendere pubblico a lui e a Ruini: "E´ interesse dei cattolici, ma anche dello stesso centrodestra, che sia salvaguardata la presenza in quello schieramento di un partito che fa direttamente riferimento alla dottrina sociale cristiana".
Così noi telespettatori abbiamo potuto arguire che dalla Cei viene trasmesso un duplice invito: all´Udc perché rimanga nel centrodestra; e a Berlusconi perché rettifichi il suo perentorio invito alla confluenza dell´Udc nel Popolo delle libertà, pena la fine della coalizione elettorale.
Poco m´importa stabilire se la dichiarazione di Boffo al Tg1 vada considerata un´ingerenza oppure no. Certo però che un tale singolare, minuzioso interessamento alla sfera partitica, declina assai modestamente il diritto rivendicato dalla Chiesa a intervenire nel dibattito pubblico. Va bene che la religione entra sempre più spesso, a proposito o a sproposito, nei discorsi politici. Va bene che la Chiesa rivendica il diritto-dovere di esprimersi su leggi e regolamenti, come si suol dire, "eticamente sensibili". Ma dubito esistano argomenti spirituali in favore della salvaguardia di un partito cristiano nel centrodestra.
Di conseguenza vi sono altre domande che rivolgerei a Boffo. Forse Ruini avrebbe preferito che un omologo partito di matrice cattolica sopravvivesse anche nel centrosinistra? La speranza delusa della Chiesa era di ispirarli entrambi, magari nell´attesa che rinasca al centro una nuova Democrazia cristiana?
Fatto sta che il sorprendente intervento a gamba tesa della Chiesa nel dibattito in corso nel centrodestra, denota una sua preoccupazione mondana. Viene il dubbio che alla Chiesa dispiaccia la formazione di due grandi partiti alternativi. Non per motivi religiosi, ma perché un sistema tendenzialmente bipartitico indebolirebbe l´esercizio dell´azione lobbistica in cui s´è specializzata, avvantaggiandosi della frammentazione parlamentare. La politica della Seconda Repubblica è stata afflitta da un crescente degrado morale, ma ciò paradossalmente ha favorito la Cei nel reperimento di interlocutori strumentalmente clericali. La nascita del Pd e del Pdl da questo punto di vista rappresentano un´incognita.
Ricordiamo bene il rammarico con cui Ruini aveva preso atto dell´incontro fra la Margherita e i Ds. Un´ostilità dedicata in particolare ai cattolici di sinistra, primo fra tutti Prodi, che hanno voluto il Partito democratico anche perché lo concepivano come diversa relazione tra fede e impegno politico, cioè come superamento degli anacronistici steccati religiosi.
Oggi la Chiesa si impegna pubblicamente per scongiurare che un´analoga fusione venga realizzata sul versante conservatore. Poco le importa che questo sia già stato l´esito felice di una democrazia matura nel resto d´Europa. Meglio che niente, si aggrappa alla possibilità che sopravviva un piccolo partito cristiano a destra. Calcolando che i cattolici di sinistra già ripetutamente accusati da Avvenire di subalternità al pensiero radicale e di disobbedienza alla dottrina, tornino prima o poi sui loro passi.
Non ho la più pallida idea di come andrà a finire il braccio di ferro fra Berlusconi e Casini. Ma in compenso adesso mi è più chiaro il disegno politico perseguito da Ruini. Guarda caso il leader dell´Udc, non appena subito l´aut aut degli alleati di centrodestra –o vieni in lista con noi, o corri da solo – s´è premurato di far sapere qual è stata la sua prima telefonata: al vicario di Roma, che non è più presidente della Cei ma conserva l´anomalo ruolo di leader politico dei vescovi italiani.
Dispiace che per diventare una democrazia matura l´Italia debba imbattersi pure in questo ostacolo. Dispiace che la Chiesa viva con fastidio la nascita di due grandi partiti alternativi, all´interno dei quali i cattolici possano trovarsi a loro agio. Senza bisogno di rappresentanze parlamentari separate, che a me sembrano piuttosto dépendances curiali per cardinali appassionati di politica.

© Copyright Repubblica, 11 febbraio 2008


POLEMICA STRAVAGANTE E UN PO’ OZIOSA

La bacchetta del capoclasse Gad Lerner spartisce i ruoli

Tutti i direttori di giornale sono uguali, ma qualcuno è meno uguale degli altri. Il cattivo pensiero (non vittimista) ti viene, se bastano la miseria di due minuti di intervista al Tg1 – su sua richiesta – per ritrovarmi bacchettato su Repubblica di ieri dall’amico Gad Lerner, nei panni inusitati del capoclasse che decide chi ha diritto di parola e chi no. Per dire: la mia (di Boffo) è indebita ingerenza, quello degli altri un dovuto, necessario contributo al dibattito.

Tra l’altro, fra titolo e testo c’erano, nel quotidiano di De Benedetti, non poche sovrapposizioni curiose: per la precisione, io non sono la Cei, la Cei non è il Vaticano. Ma tant’è.

Così va il mondo, nella 'Fattoria dei mass media', e peccato non ci sia un George Orwell che continui a descriverla. Tutti i giornalisti, e tutti i direttori, possono dire quel che gli pare giorno e notte, occupando con la propria faccia ogni teleschermo del Paese.
Proprio tutti? No, tu no. E chi lo decide? Lo decide il circolo degli autoeletti, i ras che esternano sui giornaloni e nei loro talk show.

Decidono loro l’elenco dei buoni e dei cattivi. Loro elargiscono 'consigli' e, all’occorrenza, anatemi. Per meritarseli, basta avere un pensiero non omologato, diverso da quello delle gazzette dei poteri forti; basta non assecondarli. In fondo non è che non lo sapessimo: dobbiamo restare docili nel nostro recinto. Se ci avventuriamo fuori, illudendoci di essere uguali agli altri, ecco che si agitano, si eccitano, si indignano e zac, ti arriva la bacchettata.

Possibile che a Gad Lerner, mentre compilava le ottanta righe del suo richiamo da capoclasse, non sia venuto il dubbio che andava a consumare un sopruso?
In passato ogni tanto mi invitava (invano) alla sua trasmissione tv.
Da oggi non mi inviterà più.
Vedremo di farcene una ragione.
(d.b.)

© Copyright Avvenire, 12 febbraio 2008


BOTTA E RISPOSTA

L’editorialista di «Repubblica» e il direttore di «Avvenire» a confronto sulla presenza dei cristiani in politica e sulla necessità di svecchiare il dibattito italiano

Cattolici-laici, dialogo su nuove basi

Perché va scomparendo quella curiosità reciproca?

DI GAD LERNER

Caro Dino, lo so che fra noi si sono ac­cresciute le distanze né m’il­ludevo che la mia critica potesse ri­sultarti gradevole. Dunque, mi bec­co volentieri del capoclasse, anche se in coscienza escludo di avere con­sumato un sopruso nei tuoi con­fronti.
Lascia che ti dica una cosa col cuo­re, anziché con la testa, riguardo al­l’accrescersi delle distanze. Non ne faccio una questione sentimentale: poco importano le reciproche ras­sicurazioni sull’amicizia che persi­ste. Lamento piuttosto un ciclo in­volutivo nella curiosità e nella di­sponibilità a un confronto spiaz­zante, senza rete, da parte del tuo mondo. Rimpiango gli anni dell’a­pertura, quando il dialogo produ­ceva scoperte e ci arricchiva di co­noscenze personali. Ne scaturivano – per restare a noi – articoli sul pa­pa a Fatima che magari suscitavano l’ironia degli scettici; e viceversa l’i­nedita disponibilità a discutere di teologia fuori dal gregge. Se fossimo cani, direi: rimpiango il piacere di annusarci. Ma siccome siamo u­mani, mi chiedo: perché non suc­cede più? Perché ci guardiamo in cagnesco?
Temo, paradossalmente, che que­sta relazione sia venuta meno in se­guito a una vittoria culturale del mondo cui appartieni, cioè quando avete trovato nuovi alleati. Vi siete sentiti improvvisamente 'meno so­li' scoprendo che l’intellighenzia laica – a lungo da voi caricaturizza­ta nella forma del monolite – evi­denziava fratture profonde su temi cruciali come l’identità occidenta­le, la biopolitica, la tecnoscienza, i codici familiari. Avete incassato co­me provvidenziale un supporto al­le vostre istanze motivato sul piano della razionalità anziché della fede. Forse, per la prima volta dopo anni, avete pensato di poter vincere an­che sul terreno mondano. Fatto sta che, un po’ euforici, vi siete messi in battaglia (culturale). E in batta­glia non si ha il tempo di provare cu­riosità né tantomeno di mettersi nei panni degli avversari.
L’opportunità di definire in tv qua­le sia l’interesse dei cattolici riguar­do all’esistenza o meno di un parti­to scudocrociato nel centrodestra, la lascio alla tua valutazione. Grazie al cielo puoi andarci quando vuoi, né sarò io a scandalizzarmi per even­tuali interferenze. Ma conoscendo la tua persona e il tuo ruolo, dubito che al Tg1 intervenissi a titolo stret­tamente personale. Lo hanno rile­vato politici cattolici di opposta ten­denza come Roberto Formigoni e Pierluigi Castagnetti, mentre ieri Il Foglio definiva «quantomeno inu­suale » la tua intervista. Sia detto con il massimo rispetto: vista la fram­mentazione del sistema italiano, sulle questioni politiche anche agli uomini di Chiesa può capitare di an­dare in confusione. Ma ciò resta del tutto secondario rispetto a quel che mi premeva dirti.
Credo e spero che tu non vorrai dav­vero escludere di partecipare in fu­turo al mio 'Infedele' televisivo (sei invitatissimo, fin da stasera!).
Credo e spero che un giorno mi sen­tirai di nuovo vicino, più amico di ta­luni che vedono in te solo il provvi­sorio portavoce di un potere an­ch’esso provvisorio.

© Copyright Avvenire, 13 febbraio 2008


La svolta con il referendum. Affrontiamo le grandi questioni senza letture stantie

DI DINO BOFFO

Caro Gad, se non ti sapessi sincero, non ti risponderei. Se non tenessi alla tua amicizia, e non sapessi che da simili rapporti possono venire traguardi più ampi, non risponderei. Se non credessi che così son fatte le amicizie, di alti e bassi, di fasi alterne di dialogo intenso e di silenzi, e che domani tutto potrebbe riprendere, non ti risponderei.

Per prima cosa facciamo chiarezza. Che cosa ho detto al Tg1?

Pochissime cose, queste. La Chiesa in quanto tale non si schiera, davvero non si schiera rispetto allo scenario politico. Da parte loro i fedeli laici scelgono, al pari di tutti i cittadini, dove collocarsi in base alla propria sensibilità, valutando liberamente dove a loro sembra che i fondamentali valori cristiani siano meglio rispettati e incarnati.

La Chiesa segue – ovvio – con interesse l’attuale fase di semplificazione e ristrutturazione del quadro politico, a sinistra e a destra. Quanto all’Udc, diciamo così: per gli umori che mi sembra di percepire, ritengo (io, Dino Boffo) che sia da preservare una presenza che fa esplicito riferimento alla dottrina sociale della Chiesa, nell’interesse dei cristiani, del centrodestra e della democrazia tout court. Fine.
A me pare un pensiero lineare e ragionevole. Ed è interessante che obiezioni analoghe alle tue, tutte interne al sistema, mi siano giunte sia da destra (Formigoni) che da sinistra (Castagnetti). Io però continuo a guardare da fuori, e tengo a questa posizione. E aggiungo quanto ho già scritto e soprattutto facciamo ogni giorno: noi seguiamo con identico interesse ciò che pensano, dicono e fanno i cattolici impegnati in ogni schieramento e per tutti vorremmo essere un foglio complice in ordine alla loro coerente efficacia.
Consentirai allora in questa chiave, al giornale che più di tutti è espressione del mondo cattolico, di poter mandare un segnale prima dell’assorbimento forzato dell’ultima formazione partitica erede di quello che fu un grande, per certi versi controverso, ma sempre formidabile movimento politico di ispirazione cristiana che ha fatto grande l’Italia. Non è un problema di parte, non è un’esclusione verso altri cattolici (figurarsi), è un fatto di garanzia per tutti. Così io la vedo. E se quella battuta semplicissima (al Tg1 o altrove) non l’avessi fatta, mi sentirei in colpa. Nessuno deve condividerla per forza, chiedo però che non sia mistificata.
M a il tuo discorso va più al largo, e ti chiedi che cosa sia successo tra di noi. È vero, il referendum del 12 giugno 2005 sta diventando uno spartiacque. Non solo per il risultato concreto, ma anche per il valore simbolico che esso, passando il tempo, va sempre più marcatamente assumendo.

Ti ricordo quanto sai perfettamente: quel referendum non l’abbiamo voluto noi cattolici, piuttosto l’abbiamo subito; e i cattolici impegnati in Parlamento avevano già operato una mediazione nella fase di costruzione della legge 40, quando non si erano arroccati, ma erano venuti incontro quanto possibile alle ragioni altrui. Noi, memori di precedenti lezioni, non volevamo lo scontro. Così, abbiamo cercato una linea razionale di difesa per delimitare i danni, ed è andata bene.

Ma io non ho mai pensato ad una vittoria di una parte contro l’altra secondo le forme della competizione elettorale. E all’interno del mondo cattolico non ho assistito ad alcuna spartizione di bottini, ma a ragionamenti sulla responsabilità. Noi sappiamo bene che quel risultato non è un indice di fede, né tappa di successo. Dice piuttosto un orientamento assai prevalente tra la gente, di marcato scetticismo verso chi vorrebbe manomettere il forziere della vita. Piuttosto, Gad, siamo stati noi ad aver effettivamente cantato vittoria o siete stati voi a sentirvi, per ciò che avevate detto, inesorabilmente sconfitti? Tu ricorderai cosa è avvenuto in campagna elettorale sulla stampa laica nei riguardi dei cattolici: le istigazioni alla disobbedienza, la ricerca esasperata di qua- lunque voce che potesse rompere la spontanea unità cattolica, i processi a cielo aperto a carico delle gerarchie…

Vedi, Gad, tutto era costruito per stravincere, e se fosse accaduto, poi dall’alto della vostra postazione – ne sono certo – ci avreste sorriso, benevoli. Non è andata così, ma le cattive premesse erano state poste. E il mondo cattolico – si pensò – non può oscura non fare quello che noi annunciavamo. Sai che ti dico Gad? Che sulla domanda: chi ha cominciato ad allontanare chi, uno psicanalista avrebbe il suo bel lavoro da fare.

Per questo, avanzo un’ipotesi diversa da quella che tu prospetti: dopo il 12 giugno è cresciuta, e come, un’ostilità preconcetta nei confronti della Chiesa. Non possiamo avanzare una proposta, non possiamo dare un libero contributo al dibattito che subito parte, come un tic nervoso, la reazione isterica: volete imporre la vostra morale facendola diventare legge, ecco la crociata, ecco l’attacco, eccetera. Cioè, siete dipendenti da uno schema di potere: non avendo vinto voi, noi dobbiamo per forza voler comandare, imporre, scomunicare. Ma non è neppure questo il peggio. Perché il guaio maggiore, Gad, è che da tre anni ormai il discorso pubblico è in stallo. Non stiamo (voglio includermi) producendo nulla di nuovo, i discorsi sono sempre quelli, anche al tuo talk è il solito teatrino, le solite foto sullo sfondo, le solite battute, i soliti isterismi… Gad, cambiamo musica, e smettiamola di baloccarci con i rimasugli delle vecchie battaglie. Mi ha molto, molto colpito quello che scrive Galli della Loggia sul Corriere
di ieri
: «Il punto realmente critico della condizione italiana (…) è l’assenza da parte della nostra cultura di vera di­scussione pubblica intorno ai grandi temi del Paese e dell’epoca». Ecco, io questo lo condivido in pieno. Se invece di misurare in centimetri le reciproche distanze ci buttassimo in avanti, fuggendo dall’appiattimento conformistico, e affrontassimo con serietà e preparazione le grandi questioni sulla vita e sulla morte, l’amore, la malattia, il lavoro, l’educazione e la scuola, il gioco, l’indifferenza, la speranza…, mettendo a confronto competenze ed esperienze, non rappresentanze, non credi che faremmo qualcosa di più utile, e soprattutto avremmo qualche soddisfazione in più da noi stessi? Vedi, tu dici dei nuovi laiconi che si sarebbero affiancati alla Chiesa e oggi ci darebbero molto conforto. Gad, posso dirlo? Piantatela con questa storia, non siamo stupidi, né lo sono loro. Non ti viene il dubbio che quei tuoi colleghi laici finiscono per essere molto più interessanti di voi semplicemente perché non fanno discorsi stantii? Perché riconoscono quel che c’è da riconoscere, sono franchi senza insolentire, contraddicono senza caricaturare? Da qualche tempo non posso fare a meno di osservare come i criteri utilizzati da alcuni per leggere e trattare il mondo cattolico siano frusti e inefficaci. Siamo cambiati, stiamo cambiando. Le vecchie chiavi di lettura non funzionano più. Cattolici ruiniani e martiniani, dell’identità e del dialogo, di destra e di sinistra… Vecchiume per nostalgici pigri.
E per tornare all’Infedele, se vuoi ricominciare a mordere, Gad, molla la solita compagnia di giro di illuminati fustigatori della Chiesa ruiniana e i soliti, pochi – generosi quanto imbarazzati- difensori. Sinceramente noiosini tutti quanti. Avrebbe bisogno – ripeto – di una rinfrescata, di aria nuova, di letture meno stantie.
Quando ciò accadrà, mi avrai tuo ospite. E forse accadrà come nell’ultima scena di Casablanca, quando Rick e il capitano Renault si allontanano nella nebbia, verso la Francia libera, per quello che sarà «l’inizio di una splendida amicizia». Rick e Renault si annusano per tutto il film ora avvicinandosi ora allontanandosi, ricordi? Credo che apprezzerai l’esempio: per la 'Writers Guild of America' (l’associazione degli sceneggiatori) quella di Casablanca è la migliore sceneggiatura della storia del cinema. Con un abbraccio.

© Copyright Avvenire, 13 febbraio 2008

1 commento:

Anonimo ha detto...

Il direttore Dino Boffo è decisamente una spanna più in su. E questo ad alcuni fa troppo male.