15 febbraio 2008

Sul caso di Napoli dichiarazioni al limite dell'isteria e campagna mediatica con punte di violenza verbale (Ognibene per "Avvenire")


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LEGGE 194 E POLEMICHE Un muro del secondo Policlinico di Napoli dove si è consumato il dramma dell’aborto in bagno.

Sull’accaduto ha fatto chiarezza la polizia dopo una denuncia telefonica

Napoli, un aborto in solitudine

Sui fatti del Policlinico una campagna che rimuove il vero problema
Clima pesante costruito sui media attorno a una vicenda che mostra il volto nascosto di un dramma sociale


DI FRANCESCO OGNIBENE

D’ accordo, riconosciamolo: quel­lo che è successo a Napoli è scan­daloso, inaccettabile. Ma lo è per un motivo diverso da quello inalberato co­me uno slogan polveroso da chi – con og­gi sono tre giorni – su tutti i media dispo­nibili non fa che gridare all’attentato con­tro la 194, tanto immaginario quanto stan­camente ripetuto come una citazione ob­bligata.

Il vero scandalo dell’aborto al II Policlinico di Napoli per una diagnosi di difetto cro­mosomico non è infatti l’intervento della polizia per capire com’erano andate le co­se: un atto dovuto, realizzato – a quanto va emergendo – con rispettosa cautela, e in presenza di una grave denuncia.

È scanda­loso che, nella fretta di usare il caso e dare la colpa al 'clima di intolleranza', nessuno si sia accorto della paura, la solitudine, l’an­goscia e alla fine le condizioni disumane nelle quali si è compiuta la tragedia di una donna che desiderava con tutto il cuore il suo bambino e che poi ha scelto di abortirlo per il ti­more profondo e umanis­simo di non farcela a regge­re la sofferenza e la fatica che i medici le avevano pro­spettato, senza indicarle al­cuna alternativa.

Perché se una donna appena uscita dalla sala operatoria dove ha completato la via crucis di una separazione dal suo bambino che difficilmente si può immaginare più traumatica – con l’aborto consumato da sola in un bagno d’ospedale – dichiara che «non c’era altra scelta», vuol dire che qualcosa di decisivo nel sistema che avrebbe dovuto accompa­gnarla e sostenerla è stato tragicamente as­sente.

Ed è quello lo scandalo di cui occu­parsi, non altro, quello il motivo per il qua­le pretendere risposte e soluzioni propor­zionate alla realtà, evitando campagne con­dite di slogan sorpassati dalla storia.

Perché un’altra scelta dev’esserci sempre, non si può mai lasciare una donna spalle al mu­ro davanti al bivio dell’aborto.

Ma di que­sto nelle piazze e sui giornali non s’è sen­tito parlare: si è invece tentato di rendere incandescente il clima alimentando inci­denti e creando un altro caso mediatico, proprio mentre la ricostruzione dei fatti di Napoli faceva affiorare più di un dubbio sulla versione sbrigativa della prima ora.

In questo clima fattosi ieri quasi irrespira­bile, di Silvana – la protagonista, suo mal­grado, della triste vicenda – ai fautori del 'diritto' di abortire non sembra interessa­re granché, se non per usarne il nome e la storia come arnese polemico. Rileggendo quel che è davvero accaduto, è allora il ca­so di chiedersi: per questa madre mancata e ferita, sbattuta su tutti i giornali nel mo­mento più duro della sua esistenza, sono peggio le domande della giovane agente di polizia presentatasi in borghese per capire con il massimo tatto possibile se la sua di­gnità e la legge 194 fossero state violate, e tutelarne il diritto più elementare al rispetto in un’ora di sofferenza, o questo uso spre­giudicato della sua storia nel dibattito po­­litico, nell’informazione, nelle piazze?

Bran­dire Silvana contro qualcuno: questa è la vera vergogna, che si aggiunge a un’altra domanda sinora senza risposta: dove sono i difensori a oltranza della 194 come presi­dio di un presunto «diritto di abortire» – che la legge certo non prevede – quando u­na donna chiede aiuto di fronte alla dia­gnosi infausta sul bambino a lungo culla­to nel suo grembo?

Chi la accoglie inco­raggiandola, senza mai volerla giudicare, per dirle che ce la può fare, se vuole, e che le sarà accanto nei primi passi, e che anche dopo ci sarà qualcuno che può condivide­re la sua fatica? Chi le ga­rantisce che si batterà per­ché a farsi carico di lei e del suo bimbo forse 'imperfet­to' ci sia anche lo Stato? U­no Stato, beninteso, che sappia non farsi prendere in ostaggio da qualche piaz­za dilatata dalle riprese in campo stretto delle tv e dai toni accesi di cronisti com­piacenti...

Il risultato ottenuto con di­chiarazioni al limite dell’isteria e una cam­pagna mediatica con punte di violenza ver­bale da lasciare senza fiato – certo non giu­stificabili col clima di campagna elettorale – è stato di esacerbare gli animi e convin­cere anche un piccolo gruppo di donne sce­se in piazza ieri a Roma che fosse una buo­na idea dare addosso alla polizia schierata per controllarle.

I fatti di Napoli – che ricostruiamo qui ac­canto – dicono che il magistrato e gli a­genti sono chiaramente intervenuti pro­prio per verificare che la 194 non venisse violata. Il polverone sollevato in seguito è servito solo a nascondere questa realtà che, dopo raffiche di parole sparate nel mucchio, appare persino paradossale da­vanti a chi evoca roghi e mammane.

Ora però si lascino da parte i furori ideologici e si inizi finalmente a discutere del vero scandalo: la solitudine spesso assoluta in cui si compiono scelte estreme, e la pau­ra così spaventosamente diffusa dentro le pieghe di una società che non sa più ac­cogliere i propri figli quando nella loro vi­ta appena sbocciata appare la macchia di un possibile difetto.

© Copyright Avvenire, 15 febbraio 2008

5 commenti:

mariateresa ha detto...

Naturalmente questo ragionevole articolo è diventato per Repubblica on line, "un attacco".
Usano sempre le stesse parole, attacco, affondo, anatema, ira....
E in quasi tutti i giornali.
Forse sarebbe bene regalare alle redazioni il dizionario dei sinonimi e dei contrari per vedere di arricchire un po' il linguaggio. Almeno quello. Per le idee c'è tempo.

Anonimo ha detto...

Gia', cara Mariateresa.
Forse sarebbe bene spiegare ai giornalisti che attacco ed anatema non sono sinonimi e che e' possibile usare altri termini, come critica, riflessione, intervento, commento...
Evidentemente e' piu' chic usare lo stesso linguaggio del lupo ululante :-)

euge ha detto...

Io direi..... linguaggio del lupo ululante = radical political chic
:-)))))

Anonimo ha detto...

In questo articolo Francesco Ognibene definisce "atti dovuti" una serie di reati, o per lo meno abusi d'ufficio (irruzione, interrogatorio e sequestro compiuti senza mandato).
Agostino Casu, Firenze

Anonimo ha detto...

Prima di tutto i reati vengono accertati dalla magistratura e non certo da un blog.
Inoltre, in presenza di una telefonata che denunciava un reato gravissimo, la polizia aveva il dovere di intervenire e il giudice doveva procedere ordinando l'autopsia del feto.
Se cosi' non fosse sarebbe l'autorita' giudiziaria a commettere una serie di reati.
Non risulta che la polizia abbia fatto irruzione ne' che la signora non sia stata interrogata con le dovute cautele.
Se la signora Silvana ritiene di avere subito un torto, presenti denuncia alle competenti autorita' (non ai giornali).