28 ottobre 2008

Sinodo dei vescovi: "Far brillare i valori" (Maggioni)


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SINODO DEI VESCOVI SULLA PAROLA DI DIO (5-26 OTTOBRE 2008): LO SPECIALE DEL BLOG

SINODO DEI VESCOVI - Far brillare i valori

La “Parola” e il “Messaggio al popolo di Dio”

Bruno Maggioni

Il messaggio al popolo di Dio del Sinodo dei vescovi – che porta il titolo “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa” – propone un viaggio spirituale che si svolge in quattro tappe “che dall’eterno e dall’infinito di Dio conduce fino alle nostre case e lungo le strade delle nostre città”.
Non ho esitazioni a definirlo un testo molto bello, ricco e compiuto. Nulla da togliere e nulla da aggiungere. È solo da leggere, meditare, e finalmente mettere in pratica. Se mi permetto qualche annotazione è soltanto per fermare l’attenzione su alcuni aspetti che considero di grande importanza.
“La Parola di Dio – si legge nel testo – precede ed eccede la Bibbia, che pure è ispirata da Dio e contiene la parola divina efficace... La nostra fede non ha al centro solo un libro, ma una storia di salvezza”. Così si evidenzia la centralità della Scrittura, ma anche una sua relatività. La Scrittura è parola scritta, e dunque fissata una volta per tutte, fedelmente trasmissibile, capace di ricordare a ogni generazione l’esperienza di Israele, l’insegnamento e la storia di Gesù, l’esperienza che di Lui ebbero i discepoli e le prime comunità cristiane. Per questo la Scrittura è un punto di riferimento irrinunciabile, in ogni tempo. Tuttavia la funzione della parola scritta è di essere utilizzata come strumento per ricreare e sviluppare di nuovo quella vita che in essa si è come sedimentata. Lo scritto ha valore unicamente se non imprigiona, se accetta il suo umile (e importante) ruolo di “inviare oltre”. È un passaggio, non un punto di arrivo. Ciò che importa non è (semplicemente) la Scrittura da capire, ma attraverso la Scrittura capire chi è Dio e qual è la sua presenza nel mondo.
Mi si permetta una seconda sottolineatura, strettamente collegata alla precedente. Si legge sempre nel Messaggio che “ogni lettore, anche il più semplice, deve avere una proporzionata conoscenza del testo sacro ricordando che la Parola è rivestita di parole concrete a cui si piega e adatta per essere udibile e comprensibile all’umanità”. Il testo biblico deve essere dunque studiato, decifrato e compreso.
Tuttavia è chiaro che per comprendere la Scrittura non basta un itinerario scientifico, storico e letterario. Occorrono anche regole che chiamerei teologiche e morali. Devo – ad esempio – tener conto dell’unità della Bibbia, della centralità di Gesù Cristo, del suo stretto e inscindibile legame con l’esperienza della Chiesa. Questa è la regola teologica. Ma ci sono anche atteggiamenti morali: il primo è che bisogna essere disponibili alla conversione. La Parola di Dio mette in questione (è il suo compito) e solo chi ha il cuore libero e disponibile finisce col comprenderla. Non ci si accosta la Parola per trovare conferma alle nostre posizioni o peggio per trovare argomento contro quelle degli altri. Si va alla Parola anzitutto per discutere noi stessi. E ancora: alla Parola di Dio si deve porre la domanda giusta, cioè la domanda su Dio, sull’uomo, sul senso ultimo delle cose. Domande che bisogna dunque possedere, sentire come importanti e prioritarie. Un uomo distratto, superficiale, sordo alla domanda profonda sull’esistenza, non è adatto alla lettura della Parola.
Un altro atteggiamento è ancora, se possibile, più impegnativo. È all’interno di una prassi corretta (cioè di una prassi in sintonia col Vangelo) che la Parola svela sempre più il suo senso e le sue risonanze anche nuove: “Chi fa la verità viene alla luce” (Gv 3,21). E in effetti leggere la Bibbia non significa accostare un testo, né una dottrina, ma un’esperienza. Ed è all’interno di una continuità dell’esperienza che il testo biblico si lascia comprendere.
Mi si permetta anche di sottolineare le poche parole, ma dense e significative, che il Messaggio dedica all’omelia, che ancora oggi per molti cristiani è il momento capitale dell’incontro con la Parola. “In questo atto – si legge nel Messaggio – il ministro dovrebbe trasformarsi in profeta”. Il suo linguaggio deve essere “nitido, incisivo e sostanzioso” e deve aprirsi all’attualizzazione. Insisto: non dunque considerare l’omelia come uno dei tanti doveri pastorali, ma come uno dei principali, a cui dedicare – costi quello che costi – tempo, studio e meditazione.
Da non sottovalutare anche le poche osservazioni dedicate alla “Lectio divina”, una pratica oggi diffusa, ma non sempre – secondo me – correttamente eseguita. Secondo i padri sinodali, la “Lectio divina” è tutta racchiusa in tre domande. La prima: che cosa dice il testo biblico in sé? La seconda: che cosa dice il testo biblico a noi? La terza: cosa diciamo noi al Signore in risposta alla sua Parola? Tre domande essenziali per un itinerario che – almeno a mio parere – non vale solo per la “Lectio divina”, ma per qualsiasi lettura significativa delle Scritture.
Infine – e qui la mia insistenza si fa ancora più pressante – si leggano con attenzione le ultime pagine del messaggio. Per esempio dove si proclama, quasi a modo di titolo, che la Parola “che esce dalla sua casa, il tempio, si avvia lungo le strade del mondo per incontrare il grande pellegrinaggio che i popoli della terra hanno intrapreso alla ricerca della verità”. Mi sembra una frase importante. La Scrittura non separa da questo pellegrinaggio, ma vi fa entrare, come un lievito che la fermenta, come una luce che lo rischiara. Occorre, come dice sempre il documento, far penetrare la Parola di Dio nella molteplicità delle culture ed esprimerla secondo i loro linguaggi, le loro concezioni, i loro simboli, le loro tradizioni religiose. È così che si fanno brillare i valori che la Parola di Dio offre alle culture, così che ne siano purificate e fecondate. In conclusione, la Parola di Dio non allontana dal mondo, non separa, ma apre al dialogo e alla comprensione. Un compito irrinunciabile.

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