27 ottobre 2008

Il Papa vuol ricomporre il divorzio tra esegesi e teologia. Un commento di Pietro De Marco


Vedi anche:

Distinguere tra religione e politica è una specifica conquista della Cristianità: così il Papa alla nuova ambasciatrice delle Filippine

Sinodo, le nuove vie: "La Parola nella multimedialità" (Deriu)

Vigilia di Forum cristiano-musulmano a Roma. Il punto di vista di un gesuita che vi parteciperà (Magister)

Vescovo caldeo: Appello per Mosul, svuotata dei cristiani (Asianews)

Dal Sinodo al mondo: dal Papa appelli e pensieri per chi soffre in India, Iraq, Africa e Cina (Zavattaro)

Nessuno ha voluto smentire Maga Maghella...

Annuncio a sorpresa del Papa: in Africa l'anno prossimo

Il Papa: "Basta persecuzioni contro i Cristiani". A marzo viaggio in Africa (Accornero)

Benedetto XVI non si è fatto condizionare dalle divisioni: Firenze, copione diverso...atto primo (Ermini)

Mons. Betori: "Lo scandalo sui piccoli e l'ora della purificazione" (Bravi)

Papa Ratzinger ha deciso: andrà in Israele e in Medio Oriente (Galeazzi)

Mons. Betori: "Anche la Chiesa pecca". E chiede scusa per i preti pedofili

Il Papa: insieme sotto la guida della Parola di Dio (Mazza)

Perché in Orissa e in Iraq perseguitano i Cristiani (Il Foglio)

L’appello del Papa: «Difendete i cristiani in Irak e India» (Tornielli)

Mons. Capovilla: "Quel giorno che elessero Roncalli" (Malavasi)

SINODO DEI VESCOVI 2008: VIDEO E PODCAST

Papa Ratzinger apre agli Ebrei: "Non usare mai il nome Jahvè". Il rabbino Di Segni: "Segno di grande rispetto" (Politi)

Sinodo, allarme Terra Santa «Persecuzioni in Iraq e India» (Accornero)

Il Papa: "Via al rinnovamento della Chiesa, senza arbitrii e soggettività" (Izzo)

Santa Messa conclusiva del Sinodo ed Angelus: i servizi di Salvatore Izzo

Il card. Scola: "Dal Sinodo è emersa la necessità di approfondire il rapporto tra Dio che parla, la Persona di Cristo, la Tradizione e la Scrittura"

Il Papa: "Nella liturgia appare che la Bibbia è il libro di un popolo e per un popolo; un'eredità, un testamento consegnato a lettori, perché attualizzino nella loro vita la storia di salvezza testimoniata nello scritto" (Omelia conclusiva del Sinodo dei vescovi)

Morto padre Michele Piccirillo, noto biblista e archeologo. I funerali mercoledì a Roma nella Basilica di San’Antonio (Radio Vaticana e Agi)

Il Papa: "Serve un metodo storico e teologico per la giusta lettura della Bibbia"

Il Papa: "Auspico che i Responsabili civili e religiosi di tutti i Paesi, consapevoli del loro ruolo di guida e di riferimento per le popolazioni, compiano dei gesti significativi ed espliciti di amicizia e di considerazione nei confronti delle minoranze, cristiane o di altre religioni, e si facciano un punto d’onore della difesa dei loro legittimi diritti" (Parole del Santo Padre alla recita dell'Angelus)

Benedetto XVI annuncia per marzo il suo primo viaggio in Camerun e Angola. Nell'ottobre del 2009 a Roma il Sinodo dell'Africa

Il Papa annuncia: "A marzo andrò in Angola e Camerun"

Arrigo Levi: "Pio XII nell'inverno del terrore" (La Stampa)

Suora indiana stuprata: «La polizia stava a guardare» (Zecchinelli e Barwa)

J. Ratzinger: "La liturgia è il centro della mia vita e della mia ricerca teologica" (dalla Prefazione all'Opera Omnia)

SINODO DEI VESCOVI SULLA PAROLA DI DIO (5-26 OTTOBRE 2008): LO SPECIALE DEL BLOG

Su segnalazione di Alessia leggiamo questo importante contributo del Prof. De Marco pubblicato su Settimo Cielo, il blog di Sandro Magister accessibile qui.
R.

Il papa vuol ricomporre il divorzio tra esegesi e teologia. Un commento di Pietro De Marco

All’Angelus di domenica 26 ottobre 2008, giorno conclusivo del sinodo dei vescovi su “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”, Benedetto XVI è tornato sulla stessa questione alla quale aveva già dedicato il suo intervento nella discussione sinodale, il 14 ottobre:

Un aspetto su cui si è molto riflettuto nel sinodo è il rapporto tra la Parola e le parole, cioè tra il Verbo divino e le scritture che lo esprimono. Come insegna il Concilio Vaticano II nella costituzione ‘Dei Verbum’ (al numero 12), una buona esegesi biblica esige sia il metodo storico-critico sia quello teologico, perché la Sacra Scrittura è Parola di Dio in parole umane. Questo comporta che ogni testo debba essere letto e interpretato tenendo presenti l’unità di tutta la Scrittura, la viva tradizione della Chiesa e la luce della fede. Se è vero che la Bibbia è anche un’opera letteraria, anzi, il grande codice della cultura universale, è anche vero che essa non va spogliata dell’elemento divino, ma deve essere letta nello stesso Spirito in cui è stata composta. Esegesi scientifica e ‘lectio divina’ sono dunque entrambe necessarie e complementari per ricercare, attraverso il significato letterale, quello spirituale, che Dio vuole comunicare a noi oggi.

Si deduce da questa sua insistenza che Benedetto XVI ritenga la questione da lui così affrontata di decisiva importanza.

A questo proposito, il professor Pietro De Marco ci ha trasmesso un suo commento. A giudizio di De Marco, è proprio il divorzio tra esegesi e teologia denunciato dal papa a produrre quelle teologie “libere” e dogmaticamente minimaliste che oggi sono diffuse anche in campo cattolico, con effetti già sperimentati nel protestantesimo e nel modernismo.

Il commento di De Marco è in questa pagina di www.chiesa: “Esegesi e dogmatica per il futuro della fede

Esegesi e dogmatica per il futuro della fede

Commento all'intervento di Benedetto XVI alla congregazione generale del 14 ottobre 2008 del sinodo dei vescovi su "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa"

di Pietro De Marco

1. La congregazione generale di martedì 14 ottobre 2008 del sinodo dei vescovi sarà ricordata negli anni per l’intervento di Benedetto XVI su posizione e compiti dell’esegesi moderna nella Chiesa. Citando la costituzione conciliare "Dei Verbum", il papa ha ricordato che la necessità del metodo storico-critico 1) discende dalla natura effettivamente storica della storia della salvezza, e, per ciò stesso, 2) trova il suo limite nel fatto che “le parole [della Scrittura] sono nello stesso tempo parole umane e Parola divina”. La Scrittura tutta è da interpretare secondo “lo stesso spirito nel quale è stata scritta” (“eo spiritu debet legi quo facta est”, la formula ormai canonica della "Imitazione di Cristo", I, 5), ovvero entro la sua “dimensione divina, pneumatologica”; che ha generato e accompagnato l’opera dei suoi redattori umani.

L’esegesi che operi nella fede e per la fede deve tenere presente 1) l’unità della Scrittura (esegesi canonica), 2) la viva tradizione di tutta la Chiesa; e 3) deve osservare l’analogia della fede, cioé il canone della fede creduta. Oggi però, ha osservato il papa, “il livello costituito dai tre elementi teologici indicati dalla 'Dei Verbum' appare quasi assente. E questo ha conseguenze piuttosto gravi”.

In effetti, l’assenza dell'analogia della fede, ossia del livello dogmatico nell’esegesi implica che per l’esegeta la Bibbia diviene una mera fonte, un libro del passato. La teologia viene sostituita da una filologia di teologie del passato. Prevale l’assunto grave e incontrollato della prospettiva immanentistica del metodo storico-critico: Dio nella Bibbia non opera poiché non opera nella storia. Di conseguenza l’ermeneutica della fede, praticata nell’intera storia dell’esegesi cristiana, cade e l’evento cristiano (che è kerygma di Realtà) si risolve in memoria di antiche visioni teologiche.

Il danno di questa che chiamo assenza di teologia di Realtà, che è poi assenza della verità dogmatica nel riferimento alla Scrittura, è insidioso. Infatti, secondo Benedetto XVI, “dove l’esegesi non è teologia, la Sacra Scrittura non può essere l’anima della teologia e, viceversa, dove la teologia non è essenzialmente interpretazione della Scrittura nella Chiesa, questa teologia non ha più fondamento”.

La formulazione fatta dal papa è profonda: se l’esegesi non è teologia (e quindi autorizza ogni “teologia” che derealizzi la divina rivelazione) la Scrittura quale risulta dalle sue ricerche non può alimentare la teologia. E se la teologia non può alimentarsi alla Scrittura, perché ritenuta distante ed estranea, di altri tempi, inutilmente vi farà riferimento, se non in modo retorico ed ideologico. Ma una teologia cristiana senza fondamento nella Scrittura non può, a sua volta, sussistere. Ne è colpita anche l’omiletica.

Benedetto, con una determinazione accentuata dalla brevità del dettato, ha concluso affermando l’unità di teologia biblica e di teologia sistematica e il proposito di ripensare in questa direzione la formazione dei futuri esegeti.
La secca, ferma diagnosi fatta dal papa dell’inaccettabile quanto diffuso dualismo di esegesi e teologia matura in lui dall’osservazione di oltre trent’anni di involuzione delle culture esegetiche cattoliche, non senza responsabilità della teologia fondamentale, da un lato, e della prassi pastorale e liturgica, da un altro. Né l’interpretazione “spirituale” della Bibbia, lasciata alla “religiosità” individuale o comunitaria, può supplire al vuoto di teologia.

2. Un esegeta italiano legato a “comunità di base”, Franco Barbero, ha scritto: “Dal Gesù di Ratzinger mi sono congedato da molto tempo. Il Gesù dei dogmi non mi interessa, quando esso viene a trovarsi in contrasto con il Gesù ebreo, che secoli di studi ci aiutano ad avvicinare e a comprendere un po’ meglio”. E ha proseguito: “Constato il mio ampio dissenso [dalla interpretazione del papa] e penso che sia assolutamente normale essere diversi nella stessa Chiesa. Non si è un’altra Chiesa [quando si è diversi], ma una Chiesa ‘altra’”.

In questi enunciati credo di riconoscere, come un tutto nel frammento, la sostanza del disastro subìto e compiuto dall’esegesi cattolica di questi ultimi decenni.

L’idea che vi sia un “Gesù ebreo” in contrasto con la cristologia dei Padri e dei Concili non definisce una “Chiesa altra”, in un felice pluralismo; arriva a colpire, invece, la più profonda e necessaria comprensione del kerygma. Infatti il Gesù di cui scrive Ratzinger – non il libro ma proprio Gesù in persona, il Figlio dell’Uomo, colui di cui Ratzinger dichiara: “Egli proviene da Dio. Egli è Dio” – è l’unico Cristo della professione di fede cristiana, degli evangelisti, di Paolo. Egli è il Gesù non dualistico (fede vs. storia) della divinità del Figlio di Dio fatto carne, il Gesù della tradizione cristiana vitale, proprio per non essere stato studiato come un “Gesù storico” a-teologico. Cosa comporta ritenere, e far credere, che il “contrasto” tra il Gesù dei dogmi e il Gesù ebreo (Gesù lo fu certamente; ma insistervi senza mediazioni rivela una strategia insidiosamente de-ellenizzante, non nuova, di cui occorre diffidare) autorizzi a ridurre, e in realtà a demolire, l’insieme del Credo e dell’intero quadro dogmatico?

Non si dica che questo atteggiamento è materia tecnica di professori e di aggiornamento scientifico. Se così fosse non troveremmo le friabili congetture della discussione dotta trasferite in enunciati come quelli del "Gesù" di Stephen J.Patterson che il citato esegeta cattolico italiano cita con approvazione. Patterson, com’è di moda fare, sviluppa la sua argomentazione affiancando, anzi opponendo, ai Vangeli canonici la pretesa “verità” emarginata di qualche testo apocrifo. Ci dice ad esempio che Gesù “non pretendeva affatto di essere Dio incarnato. Ma affermava la presenza del Regno di Dio”. Le fonti non conterrebbero altro. E aggiunge che se questa è “l’origine della fondamentale convinzione cristiana secondo cui Dio è presente nella condizione umana”, allora “questo è il significato dell’incarnazione”.

Conta osservare l’insensatezza cristiana della tesi di Patterson (e il suo volume, catechesi di una fede scettica, è pieno di enunciati simili).

Ma dalle ferme posizioni di Benedetto XVI si può ricavare che per la Chiesa l’Incarnazione non sarà mai questa o altre banalità.

Il significato dell’Incarnazione è quello dell’analogia della fede, del canone della fede regolatamente trasmesso, quello per cui anche Patterson e altri esegeti e teologi delle diverse Chiese possono oggi pretendere di parlare come cristiani. Che significa, senza il rigore della cristologia, dire che con Gesù “Dio è presente nella condizione umana”? Spiritualità del tutto classica o "spirituality" sincretistica? Misticismo evoluzionistico o vulgata hegeliana? Ennesimo connubio di Lebensphilosophie e teologia liberazionista? Ripugnano alla serietà teologica queste formule, per la loro futilità e, spesso, erroneità.
È agevole cogliere in tante sedi (dalle teologiche alle letterarie, dalle filosofiche alle artistiche) la proposta di un Credo impoverito, magari democraticamente disponibile, a partire dai pretesi risultati del “metodo scientifico” applicato alla Bibbia e alla storia del cristianesimo.

Per lo storico del cristianesimo moderno le conseguenze distruttive di un cattivo uso teologico delle scienze storiche appaiono scontate: protestantesimo liberale, modernismi. È la vicenda plurisecolare, e ormai drammatica, delle culture della Riforma,na vicenda cui la chiesa cattolica ha sempre opposto teologia e scienza rigorose. Questa resistenza critica è parte della sua grandezza.

3. Così non è più accettabile oggi che si accolgano acriticamente, a livelli teologici come pastorali e catechetici, tesi essenzialmente rivolte a “umanizzare”, anzi, “normalizzare” mimeticamente Gesù di Nazaret sui modelli dell’idiota di Dostoevskij, o del guru, o del marginale, cari alle spiritualità contemporanee. Queste tendenze e suggestioni rendono inintelligibile la stessa costituzione del cristianesimo, la sua legge, la sua verità. D’altronde, che l’opposizione alla cristologia dei Concili, connotata in quanto “posteriore”, “ellenizzante”, “ecclesiastica”, sia strumentale ai conflitti intraecclesiali, all’empowerment di teologi e laici, è palese.

Sembra, dunque, intenzione del pontefice sottrarre la riflessione cattolica sulla esegesi alla sorda presa della corrente secolarizzante che induce a leggere la Sacra Scrittura oscillando tra i due poli estremi di uno spiritualismo (e moralismo) e di una “demitizzazione” sempre più radicale, sovente incolta e affabulatoria.

Anche nel caso dell’esegesi, come in tutto il dramma secolaristico, la scelta di strumenti scientifici (qui filologici, altrove filosofici ecc.) ha oltrepassato, e infine ignorato del tutto, non solo l’edificio dei più sensi della Scrittura necessario alla teologia nella vita della Chiesa, ma persino le regole metodologiche del “distinguere per unire”, destinate a conservare integra e discreta la costellazione della diverse formalità scientifiche. Così si tende ad usare i risultati a-teologici (oltre che intrinsecamente labili) del metodo storico-critico come preamboli e vincoli di una fede e una teologia cattolica “nuove”, che prescindono dalle verità della professione di fede. Ma senza il canone della "fides quae", della fede creduta, una autentica "fides qua", la fede con la quale si crede, è possibile?

Né è raro sentire un esegeta dire che il Credo non ha fondamento biblico; enunciato in cui non si sa se sottolineare di più l’ingenuità ermeneutica (un fondamentalismo archeologizzante della "littera", che ignora la natura delle scritture sacre nelle tradizioni religiose) o la irreponsabile capziosità dottrinale. Così la lettura della Scrittura che si pretende pienamente e criticamente fedele alla sua lettera diviene la manipolazione teologica (modernizzante) di moncherini e lacerti sottratti alla tradizione che con le sue proprie ermeneutiche ha conservato vitale la Scrittura, e che alla Scrittura (con la sua unità di significato, con la sua divina ispirazione) si alimenta. "De divina traditione et scriptura", era la formulazione dei classici.

Insomma, in sede teologica, o catechetico-pastoralistica, o morale, o ecumenico-missionologica, l’adozione dei risultati di esegesi riduzionistiche appare perseguita o subìta per ottenere la “libertà” di decostruire il patrimonio cristiano, a costo di negare la dottrina della fede. Mi pare vero il contrario. In sede teologicamente rigorosa questi “risultati”, vecchi o nuovi, intrinsecamente a-teologici e a-dogmatici non hanno rilevanza in quanto tali per l’intelletto della fede, tanto meno lo obbligano; e non perché esso sia irrazionale, ma anzi perché l’intelletto di fede ha l’obbligo di esaminare col metodo che gli è proprio gli enunciati che lo riguardano.

4. Non è questa la sede per una proposta di superamento, che chiederà molto lavoro. Mi azzardo a suggerire:

– Qualsiasi ordinario (e per essenza congetturale e provvisorio) risultato del metodo storico-critico applicato al canone scritturistico non ha di per sé né potrebbe avere (per la sua peculiarità metodologica) alcuna immediata valenza teologica. È evidente l’uso eversivo del letteralismo riduzionisticonelle culture libertine, spinoziane, razionalistiche dell’età moderna. Non meno evidente è l’impiego arbitrario, surrettiziamente teologico, dell’argomento filologico-critico nel conflitto tra Chiese e interno alle Chiese, di cui la discussione protestante del primo Novecento è documento (come si ricava dal patrimonio di dati proposto dalla nuova traduzione italiana di "L'assolutezza del cristianesimo" di Ernst Troeltsch a cura di S. Miniati, Queriniana, 2007).

– I significati della Scrittura, l’ampiezza del mistero che la segna per ciò che essa è veramente, sono maturati e conservati dalla tradizione e crescono con la crescita stessa, non eversiva, della tradizione. L’attuale deriva, anche in subculture cattoliche, è cattiva mimesi del dramma protestante, ove affermata centralità ed effettiva perdita di senso dei testi sacri coesistono, certamente a partire dalla tarda età moderna, ma in nuce già nei grandi Riformatori.

– La ricerca storico-filologico-critica assume rilevanza teologica solo entro una rigorosa ermeneutica della "communicatio idiomatum" tra esegesi letterale moderna e patrimonio dei significati della tradizione cristiana (potremmo azzardare: tra natura umana e natura divina della Scrittura), sotto la guida dell’analogia della fede (ossia sotto la norma della fede creduta). Ossia: non si può fare nell'esegesi, dal momento in cui questa rivendica portata teologica, ciò che è illecito in cristologia (cioè prescindere dalla natura divina di Cristo): e in effetti le due derive scettico-secolaristiche, nell’esegesi e nella dogmatica, sono speculari.

– Una ermeneutica, o una metateoria, dell’esegesi non può prescindere dal contributo delle scienze fenomenologico-religiose, che hanno rappresentato, nel Novecento, un potente contravveleno di fronte all’immanentismo evoluzionistico e storicistico delle scienze religiose ottocentesche. Il metodo fenomenologico-religioso pone la dialettica, la costitutiva inseparabilità, di uomo e sacro, di storia e divino nella definizione di religione. Una analisi “storico-critica” che operi nell’indifferenza della costituzione del religioso non potrà neppure dare conto di ciò che è scrittura sacra in una tradizione religiosa. In questa indifferenza anche l’ermeneutica dell’esegeta diviene riduzionistica, come verificano sia i suoi risultati settoriali (dei quali, a ragione, lo storico delle religioni spesso diffida) sia le sue implicazioni “teologiche”, antropocentriche, oggettivamente chiuse alla trascendenza. Una “teologia” che non è vera teologia.

– L’ermenutica della "communicatio idiomatum" tra il senso letterale critico o post-critico, e i sensi propri della Scrittura è resa difficile nella modernità dalla pretesa del senso storico (o dai suoi sostituti strutturalistici) a costituirsi come unico e ultimo, nell’interpretazione come nell’azione. Oltrepassare questo ostacolo richiederà un’ermeneutica biblica esplicitamente radicata nella dogmatica, perché non basta il riferimento al “senso spirituale” della Scrittura, e una dogmatica capace di questa fondazione.

© Copyright www.chiesa consultabile online anche qui.

Nessun commento: