28 ottobre 2008
Card. Montini: "Giovanni XXIII ci ha dato la lezione di san Paolo: professare il vero con l'amore" (7 giugno 1963)
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L'eredità di un pontificato
Ci ha dato la lezione di san Paolo
Professare il vero con l'amore
Il 7 giugno 1963, al termine del solenne ufficio funebre in memoria di Giovanni XXIII, il cardinale arcivescovo di Milano, in duomo, commemorò la figura del Pontefice defunto.
Ne riproponiamo il testo.
di Giovanni Battista Montini
La morte del Papa Giovanni XXIII ha così addolorato la Chiesa, ha così commosso il mondo, che già mille voci l'hanno descritta, commentata e celebrata. La stampa, la radio, la televisione ci hanno fatto partecipare al grande e luttuoso avvenimento, quasi offrendolo al nostro sguardo e alla nostra riflessione. Da ogni parte della terra si è levata l'espressione del rimpianto, dell'elogio, della pietà, della memoria. Anche la preghiera, unanime e piangente, ma insieme serena e fiduciosa, si è levata da tutta la Chiesa cattolica e anche altre confessioni cristiane e partecipanti di altre fedi diverse le hanno fatto eco riverente. Noi pure, questa sera, uniamo al coro universale il tributo della nostra mestizia, della nostra ammirazione, del nostro suffragio, con l'animo compreso dalla maestà e dalla tenerezza che una tale morte ha per tutti rivestito: l'associazione dei due termini, maestà e tenerezza, che dall'umanità intera si sono levati a chiamare, a definire il Papa defunto, e cioè il "Papa buono", fanno vibrare con insolita vivacità i nostri cuori assorti e quasi sorpresi dalla visione della grandezza e della bontà finalmente insieme congiunte: e subito addolorati che la singolarissima e carissima figura sia rapita alla nostra terrena conversazione.
Noi milanesi poi abbiamo tante ragioni speciali, tutte nostre, per esaltarci e per commuoverci; ma anche di questo abbiamo già ascoltato diffuso discorso.
Tutto è stato detto sulla persona del Papa scomparso, sulla sua aderenza schietta, semplice, nativa alla nostra umana esperienza, sulla sua sempre cordiale affabilità, sulla sua acuta e divertente finezza, sulla sua profonda, autentica spiritualità. E tutto è stato detto anche sull'opera di Giovanni XXIII; da quella episodica e memorabile che lo ha avvicinato al popolo, ai piccoli, ai sofferenti in modo speciale e a quella magistrale e solenne delle sue Encicliche e della convocazione del secondo concilio ecumenico Vaticano. Sappiamo e ricorderemo.
Il raccoglimento religioso, che qui ora ci unisce, avverte tuttavia che resta ancora molto da dire e da meditare su questo Papa, troppo presto, secondo il nostro umano sentimento, tolto dalla scena del mondo. Vi sarebbero, ad esempio, da indagare e da precisare le ragioni d'un rimpianto così cordiale e così universale, come quello che accompagna al sepolcro Giovanni XXIII. Perché da ogni parte si piange la sua morte? E quale fenomeno di convergenza spirituale si produce sulla terra, non prima d'ora, almeno in questa misura e in questa forma, registrata dalla storia? E, chiedevo, per quali ragioni? Ognuno di noi ha sentito l'attrattiva di questo Uomo, e ha capito che la simpatia che lo ha circondato non era un inganno, non era un entusiasmo di moda, non era un futile motivo; era un segreto che ci si svelava, un mistero che ci assorbiva. Un altro semplicissimo binomio forse irradiava ai nostri occhi meravigliati e consolati la sua magica potenza, la combinazione cioè della verità con la carità. Ci ha dato la lezione elementare, ma così rara e così difficile a esprimersi nella realtà, dell'antica parola di san Paolo: professare il vero con l'amore, veritatem facientes in cantate; ci ha fatto vedere che la verità, quella religiosa per prima, così delicata, così difficile, così esigente, anche nelle sue inesorabili precisioni di linguaggio, di concetto e di credenza, non è fatta per sé per dividere gli uomini e per accendere fra loro polemiche e contrasti, ma per attrarli tutti ad unità di pensiero, per servirli tutti con premura pastorale, per infondere negli animi di tutti la gioia della conquista e della vita divina. Già sapevamo questo, ma Egli ce ne ha fatto godere l'esperienza, ce ne ha dato la speranza, ce ne ha promesso la pienezza.
Ed è seguendo questa traccia di pensieri, che raddoppiano il nostro rammarico - fu un baleno fugace la sua apparizione e la sua scomparsa! - ma che insieme fanno scaturire ineffabili consolazioni in fondo agli spiriti, è su questa traccia, io dico, che un'altra prospettiva ci si offre davanti, illuminata dalla candida figura di Papa Giovanni: non più indietro guardiamo, non più Lui, ma l'orizzonte che Egli ha aperto davanti al cammino della Chiesa e della storia. Se ancora volessimo tenere fisso lo sguardo sulla tomba, ormai suggellata, potremmo parlare della sua eredità, che quella tomba non può contenere, e dello spirito da Lui impresso alla nostra età che la morte non può soffocare; e saremmo obbligati non più a descrivere il suo passato, ma a presagire l'avvenire che da Lui scaturisce. Che cosa lascia Giovanni XXIII alla Chiesa e al mondo, che non potrà morire con Lui?
Difficile arte quella della profezia; ma in questo momento essa sembra rendersi più facile e quasi obbligante nell'evidenza di alcune premesse, poste dal Papa, di cui piangiamo la morte. Giovanni ha segnato alcune traiettorie al nostro cammino futuro, che sarà sapienza, non solo ricordare, ma seguire. Potremo forse dimenticare la dimostrazione ch'Egli ci ha dato in certa misura incarnata nella spontaneità umanissima della sua santa vita, della profonda, essenziale capacità della religione cristiana a rifornire di sempre nuova carica spirituale il mondo moderno? Lasciatemi citare di Lui almeno una parola. Egli disse una volta: "Nell'epoca moderna, di un mondo dalla fisionomia profondamente mutata, e sorreggentesi a fatica fra i fascini ed i pericoli della ricerca quasi esclusiva dei beni materiali, nell'oblio e nell'illanguidimento dei principii di ordine naturale e soprannaturale, che caratterizzavano il penetrare e l'espandersi lungo i secoli della civiltà cristiana, nell'epoca moderna, più che di un punto o dell'altro di dottrina e di disciplina, che convenga richiamare alle sorgenti pure della rivelazione e della tradizione, trattasi di rimettere in valore ed in splendore la sostanza del pensiero e del vivere umano e cristiano, di cui la Chiesa è depositaria e maestra nei secoli.
Per altro la deplorazione dei traviamenti dello spirito umano tentato e sospinto verso il solo godimento dei beni della terra, che la modernità della ricerca scientifica mette ora con facilità alla portata dei figli del nostro tempo, è certo grave e anche doverosa. Ma Dio ci guardi però dall'esagerarne le proporzioni, sino al punto da farci credere che i cieli di Dio sono ormai definitivamente chiusi sopra le nostre teste, che davvero tenebrae factae sunt super universam terram, e che non ci resti ormai altro da fare che cospargere di lacrime il nostro cammino. Dobbiamo invece farci coraggio".
Parole vive, parole che non muoiono!
E potremo ancora deviare dal sentiero da Lui aperto con tanto ardimento alla storia religiosa che viene, quello dell'universalità della fede cattolica? quello dell'ecumenismo romano? Papa Giovanni ha così personificato e così espresso questa proprietà essenziale della Chiesa cattolica, da farne scaturire le latenti energie nella sua duplice direzione, interna ed esterna della Chiesa medesima. Perché non soltanto Egli ha condiviso e favorito il processo già in atto di internazionalizzazione della Chiesa, sia con l'espansione delle missioni, sia con l'aumento dei rapporti con le nazioni antiche e nuove nel mondo, sia con l'ammissione nelle gerarchie superiori della Chiesa e negli organi centrali della Santa Sede di persone d'ogni provenienza; ma convocando spontaneamente il concilio ecumenico Egli ha riassunto il grande tema del diritto costituzionale della Chiesa, interrotto nella sua trattazione dottrinale con la cessazione in tronco del concilio Vaticano i, ed ha così predisposto le condizioni spirituali e pratiche per la consolante collaborazione del corpo episcopale non certo all'esercizio (che resterà personale ed unitario), ma alla responsabilità del governo della Chiesa. Ha cioè dato incremento canonico e coscienza spirituale all'ecumenismo interiore della cattolicità, anche qui valendosi di due termini, da secoli amici, l'urbe e l'orbe, i quali, così accostati, vanno anch'essi sprigionando sorprendenti virtualità, foriere di nuove storie per Roma, per il papato stesso forse, e per il mondo.
E poi all'ecumenismo interno Giovanni XXIII ha unito, nel cuore e nell'opera, quello esterno, quello cioè, duplice anch'esso, della ricomposizione delle tante frazioni cristiane separate nell'unità organica, di fede e di carità, della madre Chiesa, la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica; e quello della diffusione, quanto più larga e più stabile possibile, della pace fra i popoli e fra le classi sociali, della pace civile su tutta la terra.
Potremo noi mai lasciare strade così magistralmente tracciate, anche per l'avvenire, da Papa Giovanni? È da credere che no! E sarà questa fedeltà ai grandi canoni del suo Pontificato ciò che ne perpetuerà la memoria e la gloria, e ciò che ce lo farà sentire ancora a noi paterno e vicino.
(©L'Osservatore Romano - 27-28 ottobre 2008)
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