20 ottobre 2008

Pio XII e la fabbrica dei santi (Gotor)


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Su segnalazione di Seraphicus leggiamo:

Pio XII e la fabbrica dei santi

MIGUEL GOTOR

La Santa Sede ama i tempi lunghi e i passi felpati, in materia di santità e non solo. E dunque l’autorevole smentita di padre Lombardi delle parole del gesuita Gumpel, postulatore del processo di canonizzazione di Pio XII, merita di essere sottolineata, insieme con la volontà di Benedetto XVI di continuare a fare di quella causa «oggetto di approfondimento e riflessione».

Quest’increspatura non è solo il segno di una frizione estemporanea riguardante la diplomazia tra gli Stati e subito ricomposta, né il frutto dell’inopportuna quanto comprensibile reazione di un sacerdote che ha dedicato buona parte della sua esistenza a un obiettivo che vede forse allontanarsi per sempre dal proprio orizzonte di vita. In realtà, è anche il sintomo di un movimento più profondo che concerne la «politica della santità» della Sede apostolica negli ultimi quarant’anni, dal Concilio Vaticano II fino ai nostri giorni. In quella assise epocale fu deciso di delineare i contorni di una vocazione universale alla santità e si auspicò la possibilità di un suo esercizio multiforme e quotidiano che investisse non solo i sacerdoti, ma anche il mondo dei laici «tutti invitati a perseguire la santità e la perfezione del proprio stato».

A partire dalla svolta conciliare, due fenomeni contraddittori, ma bilanciati, hanno caratterizzato l’attività della cosiddetta «fabbrica dei santi», costituendo un’anomalia significativa se confrontata con la plurisecolare tradizione ecclesiastica precedente, molto cauta in materia di canonizzazioni. In primo luogo, Giovanni Paolo II ha deciso di proclamare da solo più della metà delle proposte agiografiche elaborate dal 1588 in poi dai suoi 37 predecessori: 1.338 beati e ben 482 santi. Inoltre, il Novecento è diventato il secolo in cui si sono avviati più processi di canonizzazione in onore di Pontefici: su 8 Papi, ben 6 hanno avuto una causa aperta e, a partire dal 1939, proprio da Pio XII, tutti i successori si trovano avviati all’onore degli altari o già beatificati, come Giovanni XXIII.

Insomma, l’apertura alla santità universale ha portato a una moltiplicazione mai vista prima di proposte agiografiche, che rischiano di svilirsi nella loro autorevolezza carismatica; ma questa spinta diffusa è stata controbilanciata da un parallelo investimento gerarchico e verticistico sulla sovranità pontificia. Si tratta dell’inevitabile conclusione di un processo di centralizzazione normativa e burocratica che ha consegnato, a partire dal 1588, con l’istituzione della Congregazione dei Riti, le chiavi di accesso della santità nelle mani del Papa. Gli esiti, oggi, possono essere paradossali: il Pontefice decide della santità del suo predecessore, con buone speranze di vedere il proprio successore fare lo stesso con lui, in una catena agiografica in cui sembra delinearsi qualche conflitto di interessi di troppo. Ovviamente, il fenomeno non è solo di natura normativa, ma anche di carattere culturale e finisce con l’offrire l’immagine di una Chiesa di Roma arroccata intorno alla figura del suo Pontefice e però impoverita della molteplicità e della ricchezza dei modelli esemplari di vita cristiana esistenti nella società.

Anche sotto questo profilo, il modo di procedere di Benedetto XVI in merito alla causa di Pio XII appare assai saggio. La santità è un modello universale di fede e di comportamento proposto pubblicamente ai fedeli, ma nel caso di papa Pacelli la volontà di canonizzarlo si è ormai trasformata in una battaglia in cui sembrano prevalere l’ideologia e la politica piuttosto che la dimensione religiosa e spirituale. Un atto che già sembra destinato non a unire, bensì a dividere. Nell’attuale temperie storica sembrerebbe più opportuno lasciare l’esperienza umana di Pio XII, con le sue complessità, difficoltà, ricchezze e tensioni, al libero giudizio degli studiosi e alla privata devozione dei fedeli. E, forse, accettare che non tutti i pontificati, proprio come le ciambelle, riescono necessariamente col buco, ossia con l’aureola. Meglio guardare avanti con fede e speranza a nuove proposte agiografiche perché, come ha scritto la poetessa Alda Merini in L’altra verità, «la santità è di tutti, come di tutti è l’amore».

© Copyright La Stampa, 20 ottobre 2008 consultabile online anche qui.

Mi pare opportuno fare qualche precisazione: Joseph Ratzinger ha criticato, gia' da cardinale, la cosiddetta "fabbrica dei Santi" e, da Papa, ha deciso di delegare ad un cardinale le beatificazioni (il beato deve essere venerato solo a livello locale) e riservare a se stesso solo le canonizzazioni (che investono l'infallibilita' pontificia visto che il Santo e' venerato in tutta la Chiesa Universale).
Inoltre, pochi mesi fa, e' stata emanata un'istruzione circa le inchieste diocesane, molto restrittiva e dettagliata.
Non mi pare che a Benedetto XVI si "possa imputare" una proliferazione di santi e beati.
Tuttavia credo che questo editoriale sia interessante perche' e' giusto che si approfondisca il tema: e' giusto che ogni Papa sia beatificato?
Mi pare opportuno segnalare un commento del nostro Seraphicus...e' una "interessante" provocazione.
Potete leggerla qui, commento n. 7.

R.

1 commento:

Anonimo ha detto...

ma l'attuale Pontefice, non era stato criticato, tempo fa, proprio per aver dato un "giro di vite" alle canonizzazioni e per aver "snobbato" le cerimonie di beatificazione? Forse ricordo male?