21 ottobre 2008

Un'immensa comunità che ha il suo centro a Pompei (Ruggiero)


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SPARSA PER IL MONDO COME PER IRRADIAZIONE

UN’IMMENSA COMUNITÀ CHE HA IL SUO CENTRO A POMPEI

GIOVANNI RUGGIERO

Ogni comunità che si senta unita nella fede in Cristo nutre nel profondo del cuore la speranza di incontrare il suo ul­timo Apostolo, per essere da lui confortata e incitata. E così Pompei, che ha atteso con gioia trepida e commossa la visita di papa Benedetto XVI, di Pietro l’ultimo successore. Ma il Pa­pa, incontrando domenica scorsa questa comunità, non ha in­teso far visita solo a tanti abitanti quanti ne conta l’anagrafe del­la città, ha voluto simbolicamente confermare nella fede quel­la vasta comunità concentrica e senza confini che ha il suo cen­tro a Pompei, per antonomasia, luogo del Rosario e dunque della preghiera, e luogo di conversione.
A partire dalla prima, quella di Bartolo Longo che pose la pietra angolare per l’altra Pompei, accanto ai resti della città antica: una realtà nuova sor­ta all’ombra del Santuario, «quasi come irradiazione della sua luce di fede e di speranza». Sul suo sagrato, dicono le cronache, domenica c’erano 50mila persone, ma in realtà il Papa da Pom­pei si è rivolto all’immensa comunità di preghiera che guarda a Pompei con il Rosario nelle mani, ed è sparsa per il mondo.
Il Santo Padre ha posto l’accento proprio su questo straordi­nario mezzo – lo chiamerà addirittura «arma spirituale» – che è vincolo spirituale con Maria: il Rosario, preghiera accessibi­le a tutti, ha detto il Santo Padre, per «rimanere uniti a Gesù, per confermarsi a Lui, assimilarne i sentimenti e comportarsi come Lui si è comportato». La Chiesa – pare però che sia dif­ficile capirlo – non ha nelle mani, come la giustizia di questa terra, la spada e la bilancia, ma soltanto il Vangelo spalancato, aperto a tutti i cuori. E quando il Papa dice – come ha detto a Pompei – che il Rosario è arma spirituale «nella lotta contro il male, contro ogni violenza, per la pace nei cuori, nelle fami­glie, nella società e nel mondo» fa riferimento a un male più profondo, più angosciante e grave di quanto le cronache quo­tidiane possono suggerire. Questo male che avvilisce la Pom­pei e la Campania, e che si chiama camorra, è una parte di questo male più profondo, una delle sue tante manifestazio­ni, ed è espressione, fondamentalmente, del rifiuto dell’amo­re di Dio che «rinnova il cuore dell’uomo, perdonando il suo peccato, lo riconcilia ed infonde in lui lo slancio per il bene».
Nel più è compreso il meno. La Chiesa non misura i compor­tamenti umani secondo categorie processuali. Non mostra il codice al peccatore, ma il Vangelo, e dice che è la conversione che purga i cuori da ogni male. Sono diversi le strade, i meto­di e il linguaggio. «La presenza del Signore – ha detto il Papa a Pompei – è fonte di gioia, perché dove c’è Lui, il male è vinto e trionfano la vita e la pace». La Chiesa ai cuori di chi minaccia questa vita e questa pace, chiede la redenzione, che – come è stato autorevolmente detto in queste ore – può realizzare «u­na silenziosa, assidua, quotidiana, duratura rivoluzione».
Bartolo Longo aprì le porte della carità a tutti quando, attra­verso la strada della personale conversione, le sue opere so­ciali vollero tradurre il Vangelo in aiuto concreto alle persone in difficoltà. «Qui a Pompei – ha sottolineato il Papa – si capi­sce che l’amore di Dio e l’amore per il prossimo sono insepa­rabili ». La Chiesa campana – ma la storia di tutta la Chiesa è ricca di queste esperienze – è vicina a questo prossimo e ne ha dato nel corso della sua storia ricche e significative testi­monianze. «Sono esperienze di fraternità – ha detto il Papa – che mostrano il volto di una società diversa, posta come fer­mento all’interno del contesto civile». Da questo fermento può nascere il riscatto della società e la conversione di quei tanti Paolo che – come dicono le spietate cronache – sono an­cora lontano, troppo lontano dalla strada di Damasco.

© Copyright Avvenire, 21 ottobre 2008

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