21 ottobre 2008
Il Papa: «Non abbandonare i malati terminali. Non lasciare mai nulla di intentato» (Accornero)
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«Non abbandonare i malati terminali»
Monito del Papa: «Non lasciare mai nulla di intentato Evitare che la tecnologia disumanizzi la sofferenza»
dall'inviato
Pier Giuseppe Accornero
Città del Vaticano
Tra medico e paziente «nessuna intromissione» ma «una vera alleanza terapeutica»; non abbandonare mai il paziente «anche quando è impossibile ottenere risultati apprezzabili»; se anche la guarigione non è a portata di mano, cioè l'infermo è in uno stadio terminale, «si può fare ancora molto alleviandone la sofferenza», soprattutto lo si può «accompagnare nel suo cammino» migliorandone la vita, «per quanto è possibile», ed evitando che la tecnologia «disumanizzi la sofferenza» e che il paziente «venga “cosificato”».
«La dignità del malato»
Papa Benedetto ieri mattina ha ricevuto i partecipanti al 110° congresso della Società di chirurgia, guidati dal presidente Gennaro Nuzzo. Affrontano il tema «Per una chirurgia nel rispetto del malato», argomento che il Papa apprezza perché «a ragione si parla, in un tempo di grande progresso tecnologico, della necessità di umanizzare la medicina, sviluppando quel comportamento medico che meglio risponde alla dignità del malato».
Ai chirurghi indica tre obiettivi: «Guarire la persona malata o almeno cercare di incidere in maniera efficace sulla malattia»; «alleviare i sintomi dolorosi che la accompagnano», specie nella fase avanzata e terminale; «prendersi cura del malato in tutte le sue aspettative». Se in passato ci si accontentava «di alleviare la sofferenza» perché scienza, medicina e chirurgia non erano in di grado «di arrestare il decorso del male e, ancor meno, di guarirlo», nel secolo scorso i progressi «hanno consentito di intervenire con crescente successo».
Così la guarigione, da «possibilità marginale» è diventata l'obiettivo principale perché ci si accorge che «è una prospettiva normalmente realizzabile», al punto da diventare l'obiettivo «quasi esclusivo della medicina contemporanea». Il Pontefice afferma queste cose in chiave positiva per i progressi ottenuti da scienziati e ricercatori, medici e chirurghi, e invita a proseguire su questa strada.
Ma mette in guardia da un pericolo: quello «di abbandonare il paziente» quando il medico si rende conto che clinicamente non è più possibile raggiungere la guarigione. Anzi è il momento in cui si può «fare ancora molto per il malato», ricorrendo alla terapia del dolore che «ne può alleviare la sofferenza migliorando, per quanto possibile, la qualità della vita».
Questo è un dovere per il sanitario perché «ogni singolo paziente, anche quello inguaribile, ha in sé un valore incondizionato, una dignità da onorare, che è il fondamento ineludibile di ogni agire medico». Rifacendosi all'etica cristiana ricorda che «il rispetto della dignità umana esige il rispetto incondizionato di ogni singolo essere, nato o non nato, sano o malato, in qualunque condizione si trovi».
Parlando ai chirurghi, il Papa si rivolge a tutti i medici e sanitari di qualunque specialità e ricorda che deve esserci un rapporto umano tra medico e paziente, deve esserci «mutua fiducia, stima reciproca, condivisione degli obiettivi da perseguire» in un «piano terapeutico» che può portare «ad arditi interventi salvavita oppure alla decisione di accontentarsi dei mezzi ordinari». Ciò che il sanitario comunica al paziente ha notevole influsso su di lui per il rapporto di fiducia e dipendenza che si instaura, «può motivarlo, sostenerlo, mobilitarne e potenziarne le risorse fisiche e mentali, o indebolirne e frustrarne gli sforzi, ridurre l'efficacia dei trattamenti».
Del sanitario l'infermo apprezza non solo la competenza professionale ma anche le qualità umane perché «vuole essere guardato con benevolenza, non solo esaminato; vuole essere ascoltato, non solo essere sottoposto a diagnosi sofisticate; vuole essere nella mente e nel cuore del medico, non vuole essere cosificato».
«No alla disumanizzazione»
In nome «della scienza, della tecnica e dell'assistenza sanitaria l'abituale stile di vita è stravolto e il paziente si ritrova dominato da regole e pratiche estranee»: è una disumanizzazione che va contrastata con «il rispetto del malato» da parte di medici e famiglie, richiamate «al senso di responsabilità per evitare l'alienazione che il malato subisce se affidato a una medicina tecnologizzata, ma priva di vibrazioni umane.
L'autodeterminazione del paziente va rispettata ma senza arrivare all'esaltazione individualistica dell'autonomia».
© Copyright Eco di Bergamo, 21 ottobre 2008
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