7 ottobre 2008

L'economista Zamagni: «Il Papa chiede il ritorno all’etica» (Lambruschi)


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Intervista

Zamagni: «Chiede il ritorno all’etica»

L’economista: «Il Pontefice ricorda che causa della crisi è il divorzio tra l’economia e il bene comune E il danaro è un mezzo, non il fine»

Critiche agli ultraliberisti: «Hanno teorizzato l’egoismo, l’arricchimento a ogni costo e questa globalizzazione Le parole di Benedetto XVI fanno chiarezza e aprono nuove prospettive al laicato»

DA MILANO PAOLO LAMBRUSCHI

Benedetto XVI ha più volte criticato l’ultraliberismo sul quale è stata impostata la globalizzazione dei mercati e dei capitali. Il puntuale richia­mo di ieri ad affidarsi alla Parola di Dio e alla sua solidità in tempi di tsunami fi­nanziari ha radici profonde nella storia del pensiero cristiano.

«Ma la novità – osserva l’economista Ste­fano Zamagni, membro della Pontificia ac­cademia di Scienze sociali – è che fino a ie­ri l’establishment e gli accademici di so­stegno facevano spallucce quando la Chie­sa parlava di etica ed economia. Oggi, che la loro reputazione è pari a zero per non a­ver saputo prevedere il disastro, le parole del Pontefice sono finalmente diventate di estrema attualità e interesse».

Le banche «crollano», i soldi «svanisco­no », l’unica realtà che resta è Dio e la sua parola. Professore, cosa voleva dire il Pa­pa «economista»?

«Che fin dal 1400, quando i frati france­scani ebbero l’intuizione di fondare i Mon­ti di pietà, la finanza ha avuto per la Chie­sa un duplice compito: oltre alla tradizio­nale finalità caritativa, doveva fare da mo­tore alle idee innovative per la creazione di lavoro e svilup­po. La riflessione teologica sulla ricchezza e la sua creazio­ne si è concentrata su queste due funzioni. Ed è andata co­sì fino all’inizio del secolo scorso, quando la finanza si è man mano staccata dall’economia reale, assumendo un ruolo au­toreferenziale e snaturandosi.
La globalizzazione, iniziata circa 25 anni fa, ha definitivamente slegato le banche dal fi­nanziamento delle imprese e delle idee innovatrici. Gli isti­tuti di credito commerciale si sono trasformati in organismi speculativi con l’appoggio delle istituzioni finanziarie inter­nazionali. Il Papa ha voluto ricordare le cause della crisi: quando il danaro e, in questo caso, le operazioni finanzia­rie, da mezzi per il bene di tutti diventano un fine, non van­no lontano. Ha indicato secondo me la via d’uscita in que­sto momento drammatico. E ha chiesto al mondo una svol­ta culturale».

Quale sarà?

«Il ritorno al matrimonio tra etica ed economia. Fino all’ini­zio del 1900 l’economia di mercato, nata nell’Europa me­dievale, aveva una dimensione etica perché finalizzata alla realizzazione del bene comune e non solo all’arricchimen­to individuale dell’imprenditore. Aveva una funzione di cre­scita sociale. Ed è quanto ha sempre continuato a sostene­re la Chiesa cattolica anche quando non era di moda. Ri­cordo che il primo gennaio del 2000, aprendo il Giubileo, Giovanni Paolo II fece un richiamo preciso a operatori eco­nomici e finanziari, economisti compresi, invitandoli a non disgiungere l’etica dall’economia. Invece il neoliberismo ha rotto l’unione creando il disastro di questi giorni. Che ha dei responsabili precisi premiati pure con il Nobel».

Allude alla scuola di Chicago?

«Precisamente. Mi riferisco agli economisti allievi di Milton Friedman che hanno teorizzato il divorzio tra economia ed etica inneggiando all’egoismo individuale, al cosiddetto i­stinto animale che porta ad arricchirsi senza limiti e con ogni mezzo a scapito degli altri. E che è il padre dei castelli specu­lativi miseramente crollati. La realtà ha dimostrato che quel­le teorie erano sbagliate. Eppure c’erano intellettuali che, quando nei convegni qual­cuno si azzardava a parlare di bene comu­ne o di dottrina sociale della Chiesa, lo trat­tavano come un chierichetto. Ma non ho sentito mea culpa. Penso ad esempio al Nobel Gary Becker, il quale, dopo aver so­stenuto teorie ultraliberiste dominanti nel Fondo monetario, in Banca mondialee in varie cancellerie, non ha avuto l’onestà in­tellettuale di ammettere i propri errori. An­zi, rilascia interviste dove consiglia corre­zioni di rotta. Credo che il Papa ha l’in­dubbio merito di aver fatto chiarezza in­tervenendo al momento giusto».

Quali scenari apre questo discorso?

«A patto di agire con umiltà, è un momen­to d’oro per il laicato cattolico. Dalla crisi non usciremo prima di un paio d’anni. Poi­ché la globalizzazione è stata sostenuta dal­la terza rivoluzione industriale, quella del­l’informatica, che consente di spostare i ca­pitali pigiando un tasto del personal com­puter. Non si torna indietro, ma abbiamo la possibilità di essere seriamente ascolta­ti quando proponiamo una nuova econo­mia basata sull’etica e a una finanza equa e motore dello sviluppo. Si può tornare a e­dificare sulla roccia, non più sulla sabbia».

© Copyright Avvenire, 7 ottobre 2008

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