18 dicembre 2007

L'informazione religiosa: come si banalizza una notizia (Zenit intervista Fabrizio Assandri)


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L'informazione religiosa: come si banalizza una notizia

Intervista a Fabrizio Assandri, autore di "Quando le parole sono rumore"

Di Mirko Testa

BARCELLONA, martedì, 18 dicembre 2007 (ZENIT.org).- A fronte di una informazione che punta spesso alla spettacolarizzazione e banalizzazione del messaggio religioso, l'opinione pubblica è chiamata a “educarsi” per poter leggere in maniera consapevole e critica le notizie.

Ad affermarlo in questo intervista a ZENIT è Fabrizio Assandri, autore di "Quando le parole sono rumore" (Secop edizioni, pp. 118, Euro 10,00), un saggio che analizza in maniera tecnica la ricezione giornalistica del discorso di Benedetto XVI a Ratisbona attraverso un'indagine condotta su sette quotidiani scelti in rappresentanza della stampa italiana (Avvenire, La Stampa, Il Corriere della Sera, Il Secolo d'Italia, Il Giornale, Il Manifesto).

Assandri mette in rilievo la tendenza dei media al sensazionalismo e alla semplificazione dell'informazione, attraverso omissioni che trascurano il cuore del messaggio da comunicare per dare risalto al valore conflitto o a contenuti più immediatamente espressivi.
Collaboratore del quotidiano Avvenire, Fabrizio Assandri scrive per il settimanale diocesano La Voce del Popolo e cura la rubrica “De Cupolone” per il mensile What's Up. Nel 2006 ha pubblicato, sempre presso la Secop edizioni, “Link@to a Dio”, una raccolta di lettere personali indirizzate a Giovanni Paolo II.

Quali sfide si trova ad affrontare la Chiesa di oggi nel relazionarsi con i media?

Assandri: Se i media sono davvero “il primo areopago dei tempi moderni”, come li definì Giovanni Paolo II nella Redemtoris Missio, la Chiesa non può esimersi dal parteciparvi come attore comunicativo compiuto.

Da un lato la Chiesa deve oggi fare i conti con le tendenze alla spettacolarizzazione e banalizzazione delle notizie operata dai media – pur con le eccezioni del caso. La domanda che ci si deve porre è questa: è meglio abbassare il messaggio evangelico a slogan da spot pubblicitario, rinunciando alla complessità, oppure correre il rischio di fraintendimenti e di alienarsi la comprensione di una fetta dell’opinione pubblica? È una domanda a cui è difficile dare risposte. E che però, a mio parere, ci è imposta sempre di più dalla realtà a cui assistiamo.

Quasi ogni giorno le dichiarazioni delle gerarchie sui temi della vita e della famiglia ottengono titoloni sensazionalistici sui giornali; quel che manca in Italia è però una lettura critica (non in senso necessariamente negativo) e meno istituzionalizzata della notizia religiosa: da un lato i media spesso danno delle parole del Papa solo una lettura politica, mentre il senso profondo e religioso della notizia resta nascosto. Dall’altro il mondo del volontariato religioso e della fede quotidiana delle persone rimane nel sommerso.

Può farci degli esempi?

Assandri: Un primo esempio è il diverso modo di dare la notizia della beatificazione dei martiri spagnoli da parte della stampa italiana e di quella spagnola. I media spagnoli mettevano in luce la polemica sorta sull’interpretazione politica della cerimonia – legandola alle memorie del franchismo. Forse così ne hanno orientanto la lettura, facendo sembrare la cerimonia un atto solo politico. Però i media hanno avuto il merito di inserire la cronaca della cerimonia in un contesto, suscitando un dibattito pubblico in cui anche la Chiesa aveva voce in capitolo per esprimere le sue ragioni.
In Italia, invece, il tg1 ha dato solo la notizia delle manifestazioni violente dei centri sociali contro la beatificazione, senza spiegare nulla della complessità del quadro in cui quelle manifestazioni erano inserite, negando così allo spettatore medio la comprensione dell’identità del fatto di cui stava dando la notizia. Ma questo tipo di giornalismo, che omette e non da strumenti di comprensione allo spettatore, è, a mio giudizio, controproducente per la Chiesa stessa, poichè essa rischia di trovarsi circondata da un consenso generale ma anche molto superficiale e passeggero.

Il secondo esempio è invece la ricezione giornalistica del discorso di Ratisbona di Benedetto XVI, che ho analizzato nel mio saggio, e che mette in luce come da un lato la spettacolarizzazione della notizia e dall’altro le letture politiche imposte dalla linea editoriale di ciascun giornale o televisione ne abbiano orientato o deformato la ricezione.
L’estetica dell’apparenza – come afferma il giornalista Mimmo Candito – violenta infatti l’identità del messaggio, al punto che le forme della comunicazione rischiano di impedire la reale conoscenza di un fatto. Tra l’altro, questo non vale solo per un discorso apologetico: il discorso del Papa è stato ad esempio criticato dai teologi terzomondisti per l’enfasi data da Benedetto XVI al legame tra logos greco e fede cristiana.

Però, concentrarsi, soprattutto a livello di titoli, solo su una citazione controversa, giocando sul fattore conflitto, semplificandola ed estremizzandola, ha fatto sì che sfuggisse l’identità più profonda del discorso del Papa e, di conseguenza, ha impoverito anche la voce delle possibili critiche.

Quale lezione possiamo trarre?

Assandri: Credo si possa dire che la ricezione data dai giornali al discorso del Papa a Ratisbona, seppure sia già passato più di un anno, è ancora paradigmatica del rapporto tra gli attori che compongono il triangolo dell’informazione religiosa.

La Chiesa, da parte sua, non deve limitarsi ad accusare i media ma deve saper cogliere le sfide quotidiane che questi le pongono, mentre i mass media devono sempre più riflettere sulla loro importanza e responsabilità.

Infine l’opinione pubblica può e deve essere educata (ed educarsi) sempre più ad attivare un processo di consapevolezza nel fruire l’informazione e a sviluppare una lettura plurale e critica delle notizie che riceve, decodificandole come delle possibili, ma non le sole, letture della realtà.

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Bellissima intervista...complimenti a Fabrizio Assandri :-)
R.

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