19 aprile 2007
Due anni di pontificato, riflessioni...
Presentiamo alcuni editoriali di commento al Pontificato di Papa Benedetto, che proprio oggi compie due anni. E' solo una prima parte cui seguiranno, nel pomeriggio, altre riflessioni.
Raffaella
Vedi anche:
Cronaca minuto per minuto di quel 19 aprile 2005
Auguri, Santità! La parola ai cardinali... con tutti i link ivi segnalati
Auguri a chi ci ha liberato dalla dittatura della consuetudine
di Giuliano Ferrara
La gente lo va ad ascoltare. Sono grandi numeri, crescenti. Stupefacenti, in un certo senso. Perché quell'ottantenne ha un corpo piccolo dotato di una grazia più accademica che pastorale.
Il suo modo ieratico c'è, ma è ordinato, rispettabile, lindo, bavarese, amichevole e molto serio, non ha nulla di autoritativo e di splendido nel senso della forza selvaggia dell'ammaestramento sovrumano, vicario e messianico, anzi, non perde mai una certa dolcezza impacciata, un'eleganza rarefatta e quasi mondana, un legame inesorabile, contemporaneo ma antimoderno, con il concetto, la ragione come antidoto agli abusi della logica (tutte cose che un'assemblea di socialisti dell'Ottocento riuniti in un'oasi termale un po' triste, sprezzanti verso il "papa filosofo", non può capire).
È un liberatore. Ci ha liberati dal dominio della chiacchiera, dalla «dittatura della consuetudine», come scrive a pagina 116 del suo nuovo libro su Gesù di Nazaret. Ci ha tolti da ogni forma di soggezione verso la rive gauche dei laicisti al barolo e dei maìtres-à-pen-ser, saldo sulla riva destra del Tevere. Da oltre mezzo secolo è un dominatore nel campo delle interpretazioni, gioca da dialettico di scuola tedesca con i significati e i significanti e la filosofia del linguaggio, si diverte nel labirinto del pensiero come un giocoliere dell'allegoria, ma propone una vocazione semplice, liturgica: cercare la verità, se non la si sia già accolta.
Quando parla d'amore, si sente la forza, e quando esercita la forza della parola, s'intende l'amore. Dialoga ma non annega nella conversazione, nel balletto mimico dell'ascolto perenne; della conversazione trattiene piuttosto ciò che serve alla conversione, che predica con istintiva capacità di persuasione, chiamando in causa il cuore di carne del cristianesimo senza mai tralasciare i diritti della testa.
Agli uomini e alle donne che pensano di salvarsi per conto proprio, e che anzi si fanno misura della salvezza del mondo in nome del moralismo della pace e della povertà, spiega che le Beatitudini sono immensi paradossi bisognosi di una lettura cristologica, ecclesiologica ma anche razionale, che in Cristo c'è un po' della gioiosa epopea omerica, compreso il tuono che disintegra la superbia. Ha l'aria di avere in pugno, umilmente come si addice a un servo dei servi, la lettura più interessante in circolazione della storia del mondo, nella perfetta sottomissione al mistero. Predica, insegna, e non ha paura della bellezza della norma, sebbene appartenga all'esercito bimillenario dei ribelli al vuoto della legge. Tratta Nietzsche da briccone e da disperato, per quante battaglie abbia vinto, e anche se di lui «molto è passato nella coscienza moderna e determina in gran parte il modo in cui oggi si percepisce la vita».
All'apertura del nuovo secolo, per non dire del millennio, niente è più rilevante di questo gigantesco assestamento del pensiero, di questo suo adeguamento alla realtà. Per il resto c'è tempo, ma con Ratzinger e quel che significa andiamo di fretta, e una mansueta papolatria non guasta anche per dei cani perduti senza collare. Auguri.
Il Foglio 17 aprile 2007
Ottant'anni di amicizia con Gesù
di Gianteo Bordero
Ieri, 16 aprile, Benedetto XVI ha compiuto ottant'anni. Egli stesso ha voluto parlarne durante l'omelia della messa celebrata domenica in piazza san Pietro davanti a più di cinquantamila fedeli. Uno dei passaggi del suo discorso che più ci aiutano a capire la figura di Joseph Ratzinger e la grandezza del suo pontificato è contenuto nelle espressioni con cui egli ha parlato del momento in cui, cinquantasei anni fa, fu ordinato sacerdote: «Nella festa dei santi Pietro e Paolo del 1951 - ha detto il Papa - quando noi ci trovammo nella cattedrale di Frisinga prostrati sul pavimento e su di noi furono invocati tutti i santi, la consapevolezza della povertà della mia esistenza di fronte a questo compito mi pesava».
Espressioni che riecheggiano quelle pronunciate al momento della sua elezione a Papa, il 19 aprile del 2005 («Dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare e agire anche con strumenti insufficienti») e nei giorni immediatamente successivi a tale evento. Incontrando i pellegrini tedeschi nell'aula Paolo VI, raccontando gli ultimi momenti del Conclave, disse Benedetto XVI: «Quando, lentamente, l'andamento delle votazioni mi ha fatto capire che, per così dire, la scure sarebbe caduta su di me, la mia testa ha incominciato a girare. Ero convinto di aver svolto l'opera di tutta una vita e di poter sperare di finire i miei giorni in tranquillità. Con profonda convinzione ho detto al Signore: non farmi questo! Disponi di persone più giovani e migliori, che possono affrontare questo grande compito con tutt'altro slancio e tutt'altra forza».
Queste parole del Papa sfatano in modo tranchant l'immagine, cara a tanti media, di una Chiesa e di un pontefice «muscolare», e ci riportano di colpo al nocciolo della questione, al motivo per cui Benedetto XVI attira attorno a sé, in maniera sempre crescente, l'attenzione dei credenti e dei non credenti. In sostanza, si tratta del fatto che la grande proposta che questo Papa sta rivolgendo ai cristiani e ai non cristiani non consiste, nonostante le apparenze, in una formula teologica, in una dogmatica, in una dottrina morale - tutte cose che potrebbero nascere, al limite, da uno sforzo umano a livello intellettuale, da una particolare capacità speculativa e immaginativa. No, il cristianesimo è una cosa diversa, altra. Non viene fuori come progetto umano, come atto di forza di un gruppo organizzato di persone capace di imporsi al mondo. Sgorga innanzitutto come dono. Ha il suo punto sorgivo in una chiamata che si rivolge alla libertà dell'uomo e alla sua capacità di accoglierla. In altre parole: il cristianesimo è innanzitutto l'offerta di un'amicizia che il Figlio di Dio fattosi carne mette nelle mani dell'uomo secondo un dinamismo della libertà che coinvolge a un tempo Dio e la sua creatura: liberamente Dio sceglie di chiamare a sé l'uomo, liberamente l'uomo può accettare o rifiutare questa chiamata, l'offerta di questa amicizia.
Sta qui il grande mistero dell'esperienza cristiana, quello che Benedetto XVI ci vuol testimoniare quando ci racconta la sua vicenda umana e i suoi ottant'anni. L'initium sta sempre, per così dire, in qualcosa che ci precede, in qualcosa che la persona riceve; sta, cioè - per usare le parole del Papa - nella «Misericordia Divina» che si piega sulle miserie dell'uomo per trarlo in salvo dal naufragio nel nulla, nell'insensatezza, nella confusione. «Sulla base dell'esperienza umana - ha detto Benedetto XVI ai fedeli accorsi in piazza San Pietro - mi si è schiuso l'accesso al grande e benevolo Padre che è nel cielo. Davanti a Lui noi portiamo una responsabilità, ma allo stesso tempo Egli ci dona la fiducia, perché nella sua giustizia traspare sempre la misericordia e la bontà con cui accetta anche la nostra debolezza e ci sorregge, così che man mano possiamo imparare a camminare diritti». E ancora: «Le misericordie di Dio ci accompagnano giorno per giorno. Basta che abbiamo il cuore vigilante per poterle percepire. Siamo troppo inclini ad avvertire solo la fatica quotidiana che a noi, come figli di Adamo, è stata imposta. Se però apriamo il nostro cuore, allora possiamo, pur immersi in essa, constatare continuamente quanto Dio sia buono con noi; come Egli pensi a noi proprio nelle piccole cose, aiutandoci così a raggiungere quelle grandi».
Quanto è diversa, questa prospettiva, dall'immagine del cristianesimo che sembra farla da padrona a livello mediatico e di opinione pubblica, l'immagine di un cristianesimo che è innanzitutto coerenza a una dottrina piuttosto che, come invece ci dice il Papa, corrispondenza a una persona, alla Persona del Dio fattosi uomo. E' letteralmente un rovesciamento dei termini consueti con cui parliamo di noi stessi e di Dio quello compiuto da Benedetto XVI, un rovesciamento che però sembra maggiormente capace di parlare alla vita degli uomini rispetto alle tante formule che cercano di racchiudere l'esistenza in gabbie dorate ma, in fondo, asfissianti. Con disarmante semplicità, attraverso il racconto della sua esperienza, il Papa ci riporta a un tempo alla radice della nostra condizione umana, al nostro bisogno carnale di un significato reale, e al mistero cristiano di un Dio «misericordia» che, come ci ricorda il Vangelo, è venuto nel mondo non per curare i sani, ma i malati.
Tutti gli ottant'anni di Joseph Ratzinger sono stati la maturazione di questa consapevolezza, che si riverbera oggi nel suo sguardo prima ancora che nelle sue parole, nel suo porsi con tenerezza discreta di fronte al mondo che lo osserva prima ancora che nel tenore dei suoi discorsi. Non si comprendono cioè, le parole e i discorsi di Benedetto XVI, se non innanzitutto guardando a quello che egli è e a quella proposta che attraverso il suo essere in amicizia col Dio di Gesù Cristo si irradia al di fuori di lui, raggiungendo chi lo ascolta. In sostanza, oggi non siamo di fronte soltanto agli ottant'anni di un grande teologo, di una figura importante per la storia della Chiesa del Novecento, di un intellettuale a tutto tondo. Lo stesso Ratzinger sembra chiederci di non guardarlo solo così, perché la prima e più importante questione è ciò che sta all'origine. Benedetto XVI non propone ai cristiani e al mondo di seguire la sua teologia, il suo pensiero, il suo modo di vedere le cose (nel libro su Gesù uscito ieri in libreria afferma addirittura che ciascuno è libero di contraddirlo), ma di accettare quell'amicizia di Gesù in cui lui ha trovato il senso più profondo dell'esistere come uomini, la sorgente del riscatto dalla forza del male, la fonte della vera gioia.
Ragione politica
RIFLESSIONI
Il terreno vicino di papa Ratzinger
Domenico Rosati
A due anni dalla sua elezione un semplice ingrandimento del fotogramma-Italia conferma che Benedetto XVI riserva alla Chiesa della penisola uno speciale compito di «servizio alla nazione, all’Europa e al mondo». Nella visione papale il caso italiano non presenta difetti diversi da quelli del restante Occidente: illuminismo e laicismo, culto individualistico dell’esperimento e del calcolo, esclusione di Dio dalla cultura e dalla vita pubblica e rinuncia ad ogni principio morale che abbia valore assoluto. Viceversa in Italia esiste uno stato di cose «meno sfavorevole» ad una testimonianza cristiana.
E ciò perché «la Chiesa qui è una realtà molto viva... che conserva una presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione» (discorso di Verona, ottobre 2006). Tra i caratteri distintivi della realtà italiana il Papa annovera la forza delle tradizioni cristiane, l’impegno di evangelizzazione e catechesi verso i giovani e le famiglie e la percezione (condivisa anche da intellettuali non praticanti, altrimenti detti «atei devoti») del «rischio di staccarsi dalle radici cristiane della nostra civiltà». L’idea è che, facendo leva su tali risorse la Chiesa in Italia potrà contrastare quell’«insidia del secolarismo», presente ovunque, che rende «universale... la necessità di una fede vissuta in rapporto alle sfide del nostro tempo». A differenza di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ha familiarizzato immediatamente con la realtà italiana, nella quale era del resto immerso per i decenni trascorsi ai vertici romani e soprattutto per l’apporto recato alla fondazione dottrinale del magistero del suo predecessore. Sotto la direzione di Joseph Ratzinger, le elaborazioni della Congregazione per la dottrina della fede hanno infatti assunto una organicità tale da qualificarle come una fonte autonoma del magistero, talvolta fino a mettere in sofferenza, su capitoli non secondari, il pensiero di Paolo VI, Giovanni XXIII e dello stesso Concilio. Bisogna poi aggiungere che il grande complesso delle comunità cristiane, almeno nelle sue espressioni gerarchiche, a partire dalla Cei, non ha fatto che offrire argomenti di sostegno al giudizio papale. Non è stata neppure ridotta la grande macchina dei raduni di massa, calibrata sul «governo carismatico» di papa Woityla. I prodotti del «progetto culturale», caro al cardinal Ruini, sono stati rappresentati come il frutto unitario di una ricerca che, purtroppo, è mancata per via di un’eccessiva selezione delle voci. Ed è stata infine incoraggiata una ricomposizione organizzativa delle associazioni e dei movimenti in modo da ottenere all’occorrenza una risposta omogenea agli appelli della presenza: dall’astensione referendaria sulle staminali alla manifestazione pro-famiglia del prossimo maggio, alla prefigurazione di una «rete protettiva delle opere» per la prossima Settimana Sociale. Il «dettaglio italiano», ovviamente, scompare di fronte ai passaggi che si intuiscono (il grande rimpasto della curia, ad esempio) nel governo della Chiesa universale. Ma l’immagine dell’insieme sarebbe più nitida se ciascuno contribuisse a far leggere meglio la propria immagine. Magari per aiutare a scoprire, tornando in Italia, che qui non si trascura di vivere la carità come «sinonimo di Dio» e che essa rimane la matrice più formidabile per testimoniare a tutti, nel dialogo e nella responsabilità sociale, che Cristo non è un sillogismo ma un fermento che umanizza la vita sulla terra.
Il Mattino, 18 aprile 2007
Ratzinger festeggia 2 anni da Papa
Il 19 aprile del 2005, al quarto scrutinio, Benedetto XVI saliva al soglio di Pietro quale successore di Giovanni Paolo II. In due anni di pontificato il Papa tedesco, invitato ufficialmente all'Onu dal segretario Ban Ki-moon in visita al Vaticano, ha definito con rigore il proprio magistero presentandosi come teologo e pastore: il recupero della fede riconquistata dall'uomo moderno attraverso la ragione.
"Cari fratelli e sorelle, dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore", furono le prime parole di Benedetto XVI dvanti a una folla di fedeli in piazza San Pietro.
I credenti hanno potuto apprezzare fin da subito lo stile del dotto Ratzinger: un maestro che sa parlare al cuore degli uomimi, invitandoli a credere in Dio perché soltanto attraverso di lui si possono costruire relazioni umane giuste, fratellanza, rispetto reciproco, amore. La fede cristiana, nell'ottica di Benedetto XVI, è una bussola per l'uomo e per le genti che supera la storia, una fede che si basa, e non può essere altrimenti, sul Dio-uomo. Come dimostra il suo "Gesù di Nazaret", diventato subito un best seller mondiale, ennesima prova della forza teologica e di studioso del Papa tedesco, dato alle stampe pochi giorni fa, in occasione dei suoi 80 anni.
Rivangelizzare l'Europa
La missione di Ratzinger è dare una scossa alla Vecchia Europa, bisognosa di tornare alle proprie radici. Non a caso i suoi viaggi hanno avuto fino ad ora come centro il Vecchio Continente: prima la sua Germania a Colonia con i giovani nell'agosto del 2005, quindi la Polonia di Wojtyla nel maggio del 2006, a luglio dello stesso anno il viaggio lampo a Valencia, in Spagna, quindi ad ottobre in Turchia, a Istanbul.
La lotta contro la secolarizzazione
L'altro grande impegno di Benedetto XVI è la lotta alla secolarizzazione, all'avanzata del materialismo, per cercare di contrastare il relativismo sulle ragioni dell'uomo, della morale, del senso della vita e della morte. La sua prima enciclica, infatti, è "Deus caritas est", dove si riafferma l'essenza di Dio e il suo amore verso gli uomini ma dove si evince anche una intransigenza dottrinale, della Chiesa che non fa politica ma fa sentire la sua voce, speso scomoda, sulle grandi questioni come la bioetica e la morale.
Le "riforme" in Vaticano
Ratzinger ha rimodellato in questi due anni la Curia vaticana con una serie di nomine importanti, cambiando il vertice della Cei, chiedendo ai sacerdoti e ai vescovi di vivere profondamente e semplicemente la fede, di trasmetterla in questo modo dedicandosi all'essenziale e non trasformandosi in burocrati o in agenzie sociali, ribadendo il suo "sì" al celibato sacerdotale.
Un pontificato che si segnala per le coraggiose "battaglie" contro la cultura materialista e laica, che ha cercato di mettere in guardia dal dominio della scienza sull'uomo, riaffermando la posizione della Chiesa su aborto, eutanasia, procreazione assistita, coppie di fatto.
Lo sguardo verso l'Oriente
Dal Papa si attende una enciclica sui temi del lavoro e della globalizzazione, poi la visita in Brasile a maggio, primo viaggio intercontinentale durante il quale affronterà una delle realtà ecclesiali più forti ma nello stesso tempo più vulnerabili, colpita dalla crisi della secolarizzazione e dalla sfiducia verso la Chiesa cattolica, come testimonia il successo della sette evangeliche.
Benedetto XVI è anche il Papa dell'ecumenismo, quello che più di ogni altro si sta avvicinando al Patriarca ortodosso di Mosca Alessio II. Con lo sguardo rivolto ad oriente Ratzinger sta cercando il dialogo - sempre difficile - con la Cina e con il Vietnam.
Proprio la Cina sarà al centro della lettera del Pontefice ai fedeli che si trovano nel Paese asiatico, un testo atteso per le prossime settimane, particolarmente "delicato", viste le condizioni di repressione e le continue tensioni a cui sono sottoposti i cristiani.
Tgcom
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