28 aprile 2007
Consigli per gli acquisti: "Il Dio della fede e il Dio dei filosofi" di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI
Di recente e' uscito un nuovo libro del Papa che racciglie il testo di una prolusione sul tema “Il Dio della fede e il Dio dei filosofi. Un contributo al problema della theologia naturalis” tenuta nel 1959 a Bonn.
Raffaella
Joseph Ratzinger
IL DIO DELLA FEDE E IL DIO DEI FILOSOFI
Marcianum, 100 pp., euro 8,50
Il 24 giugno 1959 il trentaduenne professore Joseph Ratzinger, appena nominato alla cattedra di Teologia Fondamentale nella facoltà dell’università di Bonn tenne una prolusione sul tema “Il Dio della fede e il Dio dei filosofi. Un contributo al problema della theologia naturalis” che, a distanza di 48 anni, viene ora pubblicata in Italia dalla Marcianum Press di Venezia dopo essere stata annunciata, quasi con ansia, dal cardinale Ruini il 2 marzo scorso in occasione dell’ottavo Forum del “progetto culturale” della chiesa italiana. La pubblicazione di questo libretto è davvero l’occasione per ripercorrere l’intero cammino filosofico del Papa-teologo e per comprendere come già in quel lontano 1959 erano presenti in nuce tutti i nodi che poi lo stesso cardinale e pontefice svilupperà in quasi mezzo secolo. Ma in questo testo è presente anche un tema precedente, elaborato
nella tesi di laurea del 1953, in cui lo studente Ratzinger affrontava una questione ad un tempo antica e attuale: la distinzione operata dagli stoici tra la teologia mitica (relativa alle favole degli dei), civile (il culto dello stato) e naturale (la domanda sull’essenza degli dei). Le prime due, più “popolari”,
sono “religioni senza divinità”, collegate tra loro e finiscono per prendere il posto della terza, più “filosofica”, la teologia naturale, “una divinità senza religione”.
Da qui nasce la critica che Ratzinger e Benedetto XVI ha spesso sollevato sul rischio della stato-latria, un rischio latente nel momento in cui Dio viene estromesso dall’orizzonte umano. Viene in mente la battuta di Chesterton, ripresa di recente dal cardinale Bertone: “Se gli uomini smettono di credere in Dio non cominciano a non credere in niente ma a credere a tutto.”.
Un testo-crocevia quindi questa prolusione che illumina il cammino precedente e successivo non solo di Ratzinger: come è ben messo in luce nell’appendice da Heino Sonnemans (successore di Ratzinger sulla stessa cattedra di Bonn e curatore del volume), la stessa enciclica wojtylana del 1998, Fides et Ratio, trova la sua antica radice nella prolusione del 1959.
“Nel rapporto di relazione e di tensione fra teologia e filosofia” scrive Sonnemans, “con l’enciclica Fides et Ratio di Giovanni Paolo II si richiama energicamente l’attenzione sul primato della verità stessa, che non separa fede e ragione, ma, al contrario, le rafforza e promuove nella loro dignità e nel loro reciproco richiamo”. Il filo rosso che tiene unito le diverse tappe di questo
lungo discorso è proprio il problema della verità: “Infatti, il problema di Dio è il problema della verità, e viceversa”, afferma Sonnemans citando il saggio di Raztzinger del 1972 “Il problema di Dio”: “C’è una verità?” si chiedeva 35 anni fa Ratzinger, “C’è in quanto riconoscibile per l’uomo? C’è come possibilità dell’uomo?”. Un Dio accessibile (interpellabile, è questo l’intenso termine della prolusione), di cui la ragione umana è “capace”, è un Dio molto più impegnativo e “scomodo” di un Dio Totalmente Altro, assolutamente distante dall’uomo, credibile solo se e in quanto assurdo.
Solo un Dio-Logos può essere padre, con tutto il “caloroso ingombro” che questo termine porta con sé. Qui è già in nuce tutto il discorso, a dir poco “frainteso”, di Regensburg, in cui Benedetto XVI affermò che “l’incontro tra il messaggio biblico e il
pensiero greco “non era un semplice caso”, ma aveva invece una sua “necessità intrinseca””.
Nella prolusione del 1959 il giovane professore di teologia aveva già osservato che “la sintesi operata dai Padri della chiesa tra la fede biblica e lo spirito ellenico fu non solo legittima, ma necessaria, per dare espressione alla piena esigenza e a tutta la serietà della fede biblica”. Tale necessità è intrinseca al cristianesimo in quanto, afferma Ratzinger: “è essenziale, per il messaggio cristiano, essere non una dottrina segreta esoterica per una limitata cerchia d’iniziati, ma il messaggio di Dio rivolto a tutti” e quindi diventa passaggio inevitabile quello di “tradurlo verso l’esterno nel linguaggio comune della ragione umana”.
Quel linguaggio comune era rappresentato dalla metafisica greca con cui si è dovuta confrontare la fede biblica: da qui il titolo sulla dicotomia tra il Dio della fede e il Dio dei filosofi per cui il primo sarebbe il Dio vivente e dei viventi (“Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”) contrapposto al Dio-concetto, puramente teoretico, il Dio “Causa sui” di cui parla Heidegger, al quale “l’uomo non può né rivolgere preghiere, né sacrificare. Davanti alla Causa sui l’uomo non può cadere in ginocchio per il timore, né può davanti a questo Dio suonare e danzare”.
Tra i due non ci sarebbe alcun contatto, soprattutto dopo che “la frantumazione della metafisica speculativa, operata da Kant, ed il trasferimento dell’elemento religioso nell’ambito extrarazionale e quindi anche extrametafisico del sentimento, operato da Schleiermacher, condussero per la prima volta al radicale inasprimento del problema”. Esplicito intento della prolusione
di Ratzinger (e di tutto il suo pensiero successivo) è la ricomposizione di quella dicotomia. La conclusione è che il cristianesimo è la sintesi tra fede e ragione, perché tra le due non c’è antitesi ma faticosa e feconda armonia.
Come dirà il cardinale nel 2004 rispondendo a Habermas: “La ragione senza la fede non guarisce, ma la fede senza la ragione diviene non umana”.
Al pensatore tedesco sta a cuore in particolar modo il rapporto fra la teologia cattolica e quella evangelica, rapporto che ha al
suo centro la “questione decisiva” della più o meno legittima sintesi tra pensiero greco e pensiero biblico e della più o meno legittima coesistenza di filosofia e fede. Ma la riflessione va oltre i problemi del dialogo ecumenico e oltre le questioni “sofistiche” solo per filosofi: è appunto una questione decisiva, oggi, per l’uomo non solo occidentale, chiuso tra pensiero debole, stato-latria e crisi delle religioni tradizionali.
(Andrea Monda)
Il Foglio, 28 aprile 2007
Joseph Ratzinger
IL DIO DELLA FEDE E IL DIO DEI FILOSOFI
di Giovanni Missaglia
“Fuoco. Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe”. E’ questo il testo del celebre Mémorial del grande filosofo e matematico del Seicento Blaise Pascal. Si tratta di un piccolo foglietto di pergamena che, a pochi giorni dalla morte dell’autore dei Pensieri, venne trovato cucito dentro la fodera della giacca del defunto.
Comincia da qui la prolusione che Joseph Ratzinger dedicò al rapporto tra il Dio della fede e il Dio dei filosofi nel 1959 e che ora viene per la prima volta edita in italiano.
Le parole di Pascal sono il segno dell’incontro con il Dio di vivente, con il Dio della fede, con il Dio di Gesù Cristo. Un Dio decisamente diverso da quello puramente teoretico della teologia filosofica. In particolare, Benedetto XVI contrappone la scoperta, anzi, l’esperienza, di questo Dio al Dio astratto di Descartes. Del resto, era stato proprio Pascal a liquidare il suo grande collega francese in uno dei suoi Pensieri: “Descartes […] inutile e incerto”. Non solo la dimostrazione cartesiana dell’esistenza di Dio è incerta nei suoi fondamenti teorici, ma il Dio a cui infine mette capo è del tutto inutile. Non è un Dio che parla all’uomo e che parla con l’uomo, ma un puro espediente filosofico per eliminare l’ipotesi scettica del genio maligno: possiamo essere certi della verità delle nostre conclusioni, perché non siamo l’oggetto dell’inganno di un genio maligno che si prende gioco di noi, ma creature di un Dio buono e garante del corretto funzionamento della nostra mente. Il Dio di Descartes è davvero un Dio da filosofi: garantisce la tenuta di un sistema metafisico, ma non risponde all’esigenza di senso dell’essere umano. Non è un Dio che irrompe nella storia, che offre a tutte e a tutti una prospettiva di senso, di salvezza. Non è un Dio che posa il suo sguardo d’amore su ogni uomo, riscattandolo dalle sue miserie, non riducendolo al suo peccato e, così, fondandone l’inestimabile dignità.
Ma, prosegue Benedetto XVI, è solo con Kant che il problema dei rapporti tra il Dio dei filosofi e il Dio della fede assume tutta la sua portata. Kant, infatti, ha liquidato la possibilità stessa della metafisica come scienza: l’unico discorso scientifico possibile è quello che si mantiene nei limiti dell’esperienza. Kant ha cercato di mostrare l’infondatezza teorica delle tante “prove” dell’esistenza di Dio elaborate nel corso della storia della filosofia. In questo modo, ha preparato il terreno del trasferimento del discorso religioso in un ambito extrarazionale. Non a caso, di lì a poco un altro filosofo, Schleiermacher, avrebbe relegato la religione alla sfera del sentimento: la religione e la fede in Dio esprimono il nostro sentimento di dipendenza, di finitezza.
Ma se così stanno le cose, prosegue Ratzinger, dovremmo ammettere la costitutiva impossibilità di ogni dogmatica, il dogma essendo un’asserzione che pretende di essere razionale sui contenuti religiosi. In questo modo, l’antitesi avvertita da Pascal tra il Dio della fede e il Dio dei filosofi si radicalizza in antitesi tra Dio della religione e Dio dei filosofi: la religione è un vissuto, come tale estraneo alla sfera della razionalità, la filosofia, invece, è un discorso rigorosamente razionale.
Ovviamente, Benedetto XVI non può accettare questa radicalizzazione: un conto è riconoscere che il Dio della fede eccede l’ambito della stretta razionalità, della logica formale, della calcolabilità matematica. Ben altra cosa è relegare nella sfera dell’irrazionale il discorso religioso in quanto tale. Bisogna combattere questo luogo comune, che, sul piano filosofico, è figlio di un certo scientismo positivista che riduce l’ambito della verità a quello della manipolabilità tecnica e dell’accertamento sperimentale.
Dal punto di vista filosofico, secondo Ratzinger, le armi migliori per combattere questa deriva sono offerte dal pensiero tomista. La posizione di Tommaso d’Aquino è sintetizzata dal Papa nel modo seguente: “per Tommaso, Dio della religione e Dio dei filosofi coincidono pienamente, mentre Dio della fede e Dio della filosofia sono in parte distinti: il Dio della fede supera il Dio dei filosofi, gli aggiunge qualcosa”. La coincidenza tra Dio della religione e Dio dei filosofi significa che, lungi dall’opporsi, religione e retta filosofia convergono nel riconoscere l’esistenza di un Dio unico. Più in generale, si ricorderà che proprio Tommaso insiste sulla piena dimostrabilità razionale dei preambula fidei, dei preamboli della fede, tra cui anche l’esistenza di Dio, raggiungibile attraverso le celebri cinque vie: Dio come Primo Motore immobile, come Causa prima incausata, come Ente necessario, come Perfezione somma e come Intelligenza ordinatrice. A puro titolo di esempio: la scoperta “religiosa” di Dio come causa prima incausata si ricava dall’applicazione del principio razionale di causa-effetto.
Ma non solo Dio della religione e Dio dei filosofi coincidono. Lo stesso Dio della fede è solo in parte distinto dal Dio dei filosofi, dal Dio a cui perviene la pura ragione nell’indagare la causa prima delle cose. Certo, il Dio della fede è oggetto del nostro amore, delle nostre preghiere e, in questo senso, si colloca oltre la dimensione della razionalità. Ma sarebbe sbagliato irrigidire questa distinzione trasformandola in un’opposizione di principio. Si pensi ancora a Pascal: “l’ultimo passo della ragione è riconoscere che ci sono infinite cose che la sorpassano”. O ancora: “la ragione non si sottometterebbe mai se non fosse lei a deciderlo”. Potremmo dire, senza tradire il pensiero di Ratzinger: è la ragione che decide, infine, di inchinarsi davanti al suo oltre.
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