25 ottobre 2007

Avvenire: la nuova bordata di Repubblica va, come sempre, a vuoto!


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Ora di religione, attacco fuori bersaglio

Nel mirino di «Repubblica. Ma la nuova bordata va ancora una volta a vuoto

DI UMBERTO FOLENA

L’insegnamento della religio­ne cattolica (Irc) non serve a nulla, se non a rimpin­guare la Chiesa, «un altro miliardo di obolo di Stato a san Pietro».
A que­sta tesi sbrigativa e grossolana va piegata la realtà, insinuando che l’I­talia sia un’anomalia in Europa, mentre invece è l’esatto contrario; e con supremo disprezzo degli inse­gnanti di religione e degli oltre nove studenti su dieci che nelle scuole sta­tali seguono le loro lezioni. 'I soldi del vescovo', parte quarta, è com­parsa ieri su Repubblica.

Il bersaglio? Probabilmente il Concordato; sicu­ramente la Chiesa e i cattolici tout court e ogni loro forma di presenza sociale - oratori, scuole, ospedali, centri d’ascolto, mense… tutto - la­sciandogli forse le sacrestie, purché ben chiuse.

I programmi ci sono

«Uno strano ibrido di animazione sociale e vaghi concetti etici desti­nati a rimanere nella testa degli studenti forse lo spazio di un mat­tino. Pochi cenni sulla Bibbia, qua­si mai letta, brevi e reticenti rias­sunti di storia della religione».
Questa è l’ora di religione secondo Repubblica. In realtà i programmi ­Osa, obiettivi specifici di apprendi­mento - ci sono, come per ogni di­sciplina. Se un docente li ignora, è un cattivo docente. Ma se un inse­gnante di matematica dovesse insegnar male, concluderemmo che la matematica è una porcheria?
Repubblica stessa poi si contraddi­ce pesantemente, quando nel tito­lo sentenzia: 'Religione, il dogma in aula'. Quale dogma?

Che cosa dice il Concordato

Repubblica evita di spiegare ai let­tori l’origine dell’attuale Irc: gli Ac­cordi concordatari del 1984, che definiscono in positivo, secondo un’idea inclusiva di laicità, i rap­porti tra Chiesa e Stato, non in concorrenza o in conflitto, ma collaboranti: «La Repubblica Italiana, riconoscendo il valore della cultu­ra religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad as­sicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di o­gni ordine e grado. Nel rispetto della libertà di coscienza e della re­sponsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avva­lersi di detto insegnamento». Un testo improntato al buon senso. Il resto sono giochi di parole. Scrive Repubblica: «L’ora di religione è un insegnamento facoltativo e come tale non dovrebbe prevedere do­centi di ruolo». Dell’Irc gli studenti, tramite i genitori se minorenni, hanno facoltà di avvalersene o me­no; ma le scuole hanno l’obbligo, non la 'facoltà', di assicurarlo. Vie­ne poi insinuato che a un inse­gnante separato verrebbe ritirata l’idoneità. Sciocchezze: i separati accedono ai sacramenti, e non possono invece insegnare religio­ne? I divorziati risposati no, non insegnano; ma lo sanno e i patti sono chiari fin dall’inizio.

Irc e fantasie

Il giornale di De Benedetti afferma con sicurezza che la Cei chiede (e lo Stato l’accontenta) «che l’ora di religione sia sempre inserita a metà mattinata e mai all’inizio o alla fine delle lezioni, come sareb­be ovvio per un insegnamento facoltativo ». Naturalmente non cita la fonte - quando mai la Cei avreb­be chiesto una cosa simile? - per­ché non esiste. Sono fantasie, tra l’altro impossibili da realizzare. Re­pubblica
dovrebbe sapere che, di media, un insegnante ha 16 ore al­la settimana; in cinque giorni, neanche il computer della Nasa riuscirebbe ad assegnargli soltanto seconde, terze e quarte ore; e il 73,9 per cento insegna 18 o più o­re. Falso è poi che la Cei boicotti le attività alternative. Tutto il contra­rio, come già emergeva nel conve­gno nazionale del 1995, presente l’allora ministro Berlinguer.

Se il 91,2% vi sembra poco

Repubblica non indica la fonte delle tabelle, anche se leggendo il lungo articolo si intuisce che è la stessa Cei. Ma i numeri vanno spiegati. Ad esempio gli avvalente­si dell’Irc: in totale, nel 2006-07 e­rano il 91,2 per cento, media tra il 94,6 delle primarie e l’84,6 delle secondarie di 2° grado. Sono in ca­lo, gongola il quotidiano di De Be­nedetti. Ma di quanto? Nel 1993­/94 erano il 93,5: un’oscillazione minima. E comunque è una stima compiuta monitorando l’83,5 per cento degli alunni (6.554.562 su un totale di 7.681.536). I dati del Nord sono quasi al completo (98,4), assai meno al Sud (77,5), dove la rinuncia all’Irc è molto più bassa (appena l’1,6, contro il 14,1 del nord). Quindi la stima è sicura­mente per difetto.

Insegnanti quasi tutti laici

Gli stipendi agli insegnanti sono «un miliardo alla Chiesa»? Chissà che cosa ne pensa l’85 per cento di insegnanti laici, tra cui il 57 donne e il 28 uomini. Cittadini e lavorato­ri con regolari titoli di studio. I sol­di vanno alle famiglie degli inse­gnanti, non ai vescovi.

È l’ennesi­ma contraddizione di chi rimpro­vera alla Chiesa di non adeguarsi all’Europa (coppie di fatto, fecon­dazione artificiale, eccetera). Eb­bene, nel caso dell’Irc (come è spiegato in un altro servizio in questa stessa pagina) siamo ade­guatissimi. Ed è l’ennesimo infor­tunio di chi, per faciloneria o di­sprezzo, riesce a sbagliare il cogno­me di Giovanni Paolo II: si scrive Wojtyla, insigne collega, non Woytjla.

© Copyright Avvenire, 25 ottobre 2007

Errori da matina blu, caro Maltese!
R.


Incampo: non sono docenti privilegiati e forniscono un servizio richiesto dallo Stato

DA MILANO

« Altro che posto di ruolo regalato. Con l’immissione in ruolo dei docenti di re­ligione lo Stato ci ha guadagnato». Ri­batte con forza alle tesi di Repubblica, il professor Nicola Incampo, esperto di normativa dell’insegna­mento della religione cattolica.

Come può essere diventato un guadagno per lo Sta­to il loro inserimento in ruolo?

«Perché prima non esisteva l’obbligo di avere u­na cattedra completa di 18 ore alle superiori, che diventano 22 alle elementari e 25 alla materna. Al contrario esistevano i cosiddetti spezzoni, cioè docenti solo con 6 o 10 ore. Il ruo­lo ha comportato l’accorpamen­to delle ore e la riduzione dei po­sti. E pure di docenti».

E all’accusa di aver regalato il posto fisso 'grazie a una rapida e farsesca serie di concorsi di massa'?

«Altra affermazione non vera. Al con­trario questi concorsi, previsti dalla legge sul ruolo ai docenti di religione cattolica, sono stati molto seri, tanto che il 15% di coloro che vi hanno par­tecipato non sono stati ammessi. Non mi risulta che in altri concorsi si raggiungano tali percentuali».

Sempre gli autori dell’inchiesta parlano di 'infinite diatribe legali' per questa immissione in ruolo, so­prattutto perché si tratta di una materia opzionale.

«E ancora una volta ci dimentichiamo che questo in­segnamento è offerto dallo Stato. È quest’ultimo che dice a chi vuole conoscere la sua storia che c’è anche l’insegnamento della religione cattolica. E allora lo Stato chiede alla Chiesa docenti formati per questo insegnamento. La Chiesa garantisce sull’autenticità dell’insegnamento, ma ad assumere questi docenti è lo Stato, non la Chiesa».

E se l’idoneità data dal vescovo viene meno cosa suc­cede al docente di religione?

«La legge di immissione in ruolo, la numero 186 del 2003, parla chiaro: chi perde l’idoneità finisce nella mobilità nazionale».

Ma resta nella scuola come docente?

«Può pensare di passare all’insegnamento di un’al­tra materia soltanto se in possesso dei requisiti richiesti per qualunque altro docente e cioè il ti­tolo di studio e l’abilitazione. Ma visto che lo Sta­to non ha ancora emanato il regolamento di que­sta mobilità nei 3 o 4 casi di idoneità ritirata in questi ultimi anni la conseguenza per questi do­centi è stata il licenziamento».

Per anni i docenti di religione sono stati dei preca­ri, ora si sarebbero trasformati in privilegiati rispet­to ai loro colleghi. Addirittura con u­no stipendio maggiorato. Ma come stanno davvero le cose?

«Chi fissa lo stipendio è il contratto nazionale di lavoro e non una circo­lare come viene detto. Il docente di religione, fino all’immissione in ruo­lo, è l’ultima figura di incaricato an­nuale rimasta. Il contratto del 1994 ha recepito questa figura, che è me­no pagata di un docente di ruolo. In­fatti quest’ultimo ogni 6 anni ha un gradone di avanzamento che com­porta l’aumento mensile medio di 200-300 euro, mentre l’incaricato an­nuale ha uno scatto biennale che comporta aumen­ti di 10 euro al mese. Comunque i docenti Irc di ruo­lo seguono la normativa dei loro colleghi, stipendi compresi».

Ultimo capitolo, l’ora alternativa. Davvero la Chie­sa non la vuole?

«Va detto che spetta allo Stato garantire questa ora al­ternativa. Ed è falso che la Chiesa la osteggi o che in­tervenga nella collocazione oraria dell’Irc. Anzi si chiede che davvero ci sia un’alternativa reale e non l’uscita anticipata o l’ingresso posticipato, come av­viene oggi».

© Copyright Avvenire, 25 ottobre 2007

Che figure...
R.


Campoleoni: ma nel Vecchio Continente è considerata una risorsa anche per i laici

DA MILANO ENRICO LENZI

« Certamente in Europa si discute dell’in­segnamento della religione nella scuo­la, ma non mi pare affatto nella direzio­ne indicata dall’inchiesta del quotidiano La Repub­blica ». Alberto Campoleoni, esperto di temi scolasti­ci e studioso dell’insegnamento della religione, ma anche coordinatore di una ricerca condotta a livello europeo dal Consiglio delle Conferenza episcopali europee (Ccee), replica così alle tesi sostenute dal quotidiano romano.

Ma il dibattito «vivace e colto» di cui parla l’inchie­sta?

«Il dibattito esiste, tanto che se ne può trovare eco anche nell’attività del Con­siglio d’Europa, dove si è parlato a più riprese in questi anni dell’insegna­mento della religione nella scuola».

Con quali risultati?

«Ad esempio, nell’ottobre 2005 pro­prio il Consiglio d’Europa ha appro­vato un rapporto sul tema, con alcu­ne raccomandazioni ai governi dei Paesi membri».

Per limitarne l’insegnamento?

«Tutt’altro. Quel dibattito vivace e col­to, capace di superare le risse ideologi­che, ha portato il Consiglio d’Europa a sostenere l’importanza dell’insegnamento della re­ligione all’interno della scuola. In un passaggio il do­cumento dice che 'l’educazione è essenziale per com­battere l’ignoranza, gli stereotipi e le incomprensio­ni delle religioni'. E invita espressamente i governi 'a fare di più per garantire la libertà di coscienza e di e­spressione religiosa, per incoraggiare l’insegnamen­to del fatto religioso, per promuovere il dialogo con e tra le religioni, e infine per favorire l’espressione culturale e sociale della religione'».

Insomma raccomandazioni in antitesi all’idea di u­na difesa dello Stato laico, come vorrebbe far inten­dere l’inchiesta?

«La prospettiva dell’insegnamento della o delle reli­gioni, come vorrebbe il Consiglio d’Europa, non è contraria allo Stato laico. Anzi. Si tratta di una risor­sa per lo Stato laico e per la sua scuola, tanto da ri­conoscere che la 'conoscenza delle religioni fa par­te integrante di quella della storia degli uomini e del­le civiltà'. Un insegnamento, sostiene il Consiglio, necessario per il completo sviluppo dei futuri citta­dini europei».

E i Paesi europei quali scelte hanno fatto nel concreto su questo tema?

«In generale l’insegnamento è presente in quasi tut­ti i Paesi, con una grande varietà di soluzioni. Nor­malmente sono le confessioni religiose a farsi carico dell’insegnamento. Inoltre in mol­te situazioni accanto a questo inse­gnamento confessionale esiste la presenza di un altro insegnamento alternativo che affronta temi etici».

E la storia comparata delle religio­ni che l’inchiesta di Repubblica vor­rebbe diffusa ormai come tenden­za generale nei sistemi continen­tali?

«Esiste una tendenza del genere, ma non la definirei generale. La situa­zione è in movimento. Ad esempio, in Europa esistono anche casi di co­conduzione dell’insegnamento tra le diverse Chiese cristiane, di cooperazione ecume­nica. Ma nella gran parte delle situazioni esistono in­segnamenti di religione gestiti separatamente dalle varie confessioni. Con approcci differenti, dettati dal­la storia e dalla cultura dei singoli Paesi».

Dal suo osservatorio presso il Ccee, quali prospetti­ve si possono intravvedere?

«Le Chiese cattoliche dei Paesi europei stanno lavo­rando proprio per raccogliere dati che forniscano u­na fotografia completa e aggiornata dell’insegna­mento della religione nella scuola, anche per co­glierne le eventuali preoccupazioni. Il rapporto do­vrebbe completarsi entro la fine dell’anno».

© Copyright Avvenire, 25 ottobre 2007

Maltese...Maltese...la prossima volta vogliamo un compitino con tutte le correzioni altrimenti la rimandiamo a settembre (del prossimo anno...).
Scriva anche cento volte sulla lavagna i nomi di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI...sa...sono stranieri :-)

R.

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