23 ottobre 2007

Il Papa a Napoli: due editoriali di "Avvenire"


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LA VISITA DI BENEDETTO XVI A NAPOLI / 1

Imparare a riconoscere i traguardi decisivi

CARLO CARDIA

Nella terra dove più forti si sono fatte le tensioni sociali il Papa ha detto parole di speranza e di fiducia per l’uomo e per i giovani. Nella città che si affaccia sul Mediterraneo con un’antica vocazione internazionale Benedetto XVI ha abbracciato molti esponenti della cristianità, ha incontrato i protagonisti della vita religiosa del Pianeta, ricordando che la religione deve portare messaggi di amore per tutti e bandire ogni guerra. Nel luogo dove il bisogno e la volontà di lavorare sono insidiati dal male oscuro della delinquenza organizzata, il Papa ha parlato delle doti naturali della persona, dei talenti che sono stati distribuiti a ciascuno di noi.
In questo modo il magistero universale del Vescovo di Roma si è incarnato in una realtà specifica, nella quale una grande tradizione umanistica e popolare convive con un degrado che è andato aumentando nei tempi più recenti.
Il nucleo delle parole del Papa è ancora una volta spirituale e morale, perché l’uomo deve formarsi e crescere in un quadro di valori e di aspirazioni che guardino in alto, che lo trascendano, diano fondamento più solido alla sua coscienza. Senza una dimensione che ampli il cuore e l’intelletto l’uomo può ripiegare in se stesso, può percepire l’avvilimento interiore, perde la forza e il coraggio di realizzare pienamente le sue potenzialità. A Napoli, poi, il Papa ha tratteggiato i compiti e i doveri di una società che voglia veramente aiutare le donne, gli uomini, i giovani, a compiere scelte di vita generose, per la propria famiglia, per gli altri, che riescano a sconfiggere quelle pulsioni di violenza e di sopraffazione che costituiscono oggi vere tentazioni dell’animo nella quotidianità dell’esistenza. La scuola ha trovato un posto centrale negli interventi del Pontefice. Senza una scuola che trasmetta conoscenza e moralità insieme, nei giovani prende forma lo sconcerto e il disincanto, si fa strada un cinismo che impoverisce la vita e il rapporto con gli altri, si provocano guasti profondi, difficili da superare.
Una scuola che trasmetta solo tecnica, o sia priva di valori forti e convincenti, non aiuta i giovani a crescere, ad impegnarsi con entusiasmo in un progetto di vita. Può invece spingerli ad agire sotto l’influenza di lusinghe ingannevoli, attenti all’interesse immediato, ma incapaci di affrontare le prove della vita perché non abituati a guardare in avanti ai traguardi decisivi dell’esperienza umana. A questi, e ad altri obiettivi, sono chiamati i cattolici che devono impegnarsi per cambiare tutto ciò che va cambiato, per ridare fiducia alle nuove generazioni, per convincerle che quando la realtà che ci circonda non convince può essere modificata, migliorata, con la partecipazione di ciascuno. Sono parole di speranza necessarie in un’epoca nella quale rischia di prevalere la sfiducia nel futuro.
L’intervento del Papa ha avuto il suo coronamento nelle parole rivolte ai rappresentanti delle Chiese cristiane e delle religioni di tutto il mondo. La religione deve tutelare e salvaguardare la persona, deve assolvere una funzione universale di pace di concordia tra gli uomini. L’odio motivato con la religione è una assurdità e un controsenso, si fonda sullo stravolgimento della fede, mentre la fede è anzitutto riconoscimento dell’altro, rispetto della sua identità, slancio per vivere e lavorare insieme. Il cristianesimo fa dell’amore per il prossimo una ragion d’essere fondamentale per l’uomo e lo propone a chiunque voglia costruire una società moralmente e materialmente ricca. Ma tutte le religioni sono chiamate ad un dialogo che dia frutti, che estirpi la violenza dall’animo, avvicini gli uomini, faccia loro sentire quella comune ascendenza spirituale che è la garanzia più grande per poter conseguire traguardi meritevoli dell’impegno e dell’entusiasmo di tutti, anzitutto dei giovani.

© Copyright Avvenire, 23 ottobre 2007


LA VISITA DI BENEDETTO XVI A NAPOLI / 2

L’amore e la ragione in quel bacio alla reliquia

DAVIDE RONDONI

È stato un bacio lungo. Come se per un attimo non volesse staccarsi. Dal calore secolare di quel sangue, che è anche il calore popolare di una devozione. Il papa teologo, il papa filosofo, che sta sfidando i grandi intellettuali e la mentalità dominante sull’uso retto della ragione era lì inchinato, a baciare, per un attimo a non staccarsi dalla reliquia. Dal cuore fedele di Napoli. Dalla presenza carnale del Santo. Il Papa della ragione, il grande colto che ogni cenacolo intellettuale del mondo invidia a noi cattolici, e dopo le diffidenze sta stimando come voce libera e aperta, il Papa che ama ragionare finemente, se ne stava lì come ho veduto mille volte fare mia nonna, le nostre nonne. Come ho fatto anch’io, che so ragionare poco, ultimo dei cattolici e dei peccatori. Il suo bacio di Papa, il suo onore di Papa, per così dire al pari del bacio delle nostre nonne, della nostra devozione e del nostro povero affidamento. Si è visto, non ha voluto staccarsi subito. Non ha voluto dare un omaggio formale, un bacio freddo. C’era tutto il suo affidamento di uomo, e di Papa, nel ripetere con forza il gesto che dal 1389 compiono tutti i semplici pellegrini, quelli con una grande fede, e quelli con una fede così così, quelli con l’anima linda e quelli con l’anima in tempesta. Il bacio al sangue del martire.
Gesto irrazionale da parte del Papa che parla di ragione? Gesto 'bigotto' da parte del Papa che ha con lungimiranza civile invitato a puntare su scuola e lavoro per rispondere alle sfide e ai pericoli sociali ?
Due Papi? Due volti diversi? O forse uno solo, il volto del mendicante, che riconosce la grandezza della Presenza all’origine del miracolo e di tutti i miracoli
. Che lo riconosce con piena ragione, con la ricca disponibilità delle sue risorse intellettuali. Le quali lo rendono semplice, e quasi bambinesco, umilmente attaccato con il bacio a quella reliquia. Che è segno, traccia, poco sangue che si è arricchito del sangue e della presenza carnale dei cristiani di Napoli, segno di un sangue del passato e di una umana presenza che giunge fino ad oggi. Fino al medico Moscati, e a quelli che come lui ancora incontrano senza riserve il bisogno dei vicoli, e rispondono alla grande domanda di senso che viaggia nei vicoli del cuore di ogni uomo, ricco o povero che sia. Il bacio del Papa teologo, il suo omaggio dato al miracolo amato dal popolo è un grande segno della Chiesa intesa come vita, come movimento di ragione e di cuore che tocca la concreta storia e riconosce l’azione del mistero. L’uso alto, aperto, radicale e sensibile della ragione trova nel gesto del bacio, non una smentita, ma il suo fuoco, il fiore di adesione al mistero che della ragione è culmine. Un ragionare che non sbocciasse in amore sarebbe un’arida analisi, sarebbe una comprensione monca. E non un amor qualsiasi. Non un amore a vanvera. Ma il bacio, l’omaggio dato a una presenza che nutre la storia con il richiamo al sacrificio e con la speranza. Per questo non voleva staccarsi. Affidando sé, le sue preoccupazioni di Papa, cose che ci fanno tremare i polsi, come ogni uomo affida le proprie, e tutte ci fanno tremare i polsi. È stato un bacio che resta come un segno forte in quest’epoca dura. Un bacio dato per un empito della ragione, per un riconoscimento, pieno di mendicanza e di tutta la nostra alta statura d’uomini.

© Copyright Avvenire, 23 ottobre 2007

1 commento:

paola ha detto...

Che bell'articolo! E' stato un pò come a Manoppello davanti al Volto Santo,un Papa incantato,per un tempo che mi è sembrato lunghissimo,gli azzurri occhi spalancati ed assorti fissi negli occhi del della sacra effige,Paola