22 ottobre 2007

Il Papa a Napoli: lo speciale de "Il Mattino"


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Premessa alla lettura dei giornali di oggi

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INTERVISTA AL PAPA SUL CONCILIO VATICANO II

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Riflessioni sulla Santa Messa di stamattina...

Napoli ha bisogno di credenti che ripongano piena fiducia in Dio, e con il suo aiuto si impegnino per diffondere nella società i valori del Vangelo

Il Papa a Napoli: "L'amore può vincere la violenza"

Napoli accoglie il Papa sotto una pioggia battente

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Il Papa: « Io, troppo timoroso con i progressisti»

Il Papa, la Chiesa e la politica: ipocrisie e doppiopesismi (ovvero: il Papa può parlare ma solo quando ci conviene...)

SPECIALE: IL MOTU PROPRIO "SUMMORUM PONTIFICUM"

CONSIGLIO DI LETTURA: IL SITO DI FRANCESCO

Ventimila in piazza sotto la pioggia per la messa. Benedetto XVI bacia l’ampolla con il sangue di San Gennaro

«Scuola e lavoro contro la camorra»

Il Papa a Napoli: appello per i giovani, elogio di Sepe. E ai capi religiosi: mai più guerre in nome di Dio

FABIO SCANDONE

È un richiamo alla tenacia, all’impegno, alla responsabilità dei singoli e delle istituzioni che assume la forza di un grido. E che reca con sè il monito e a un tempo la risposta per il riscatto di Napoli, dei suoi cittadini, dei suoi giovani. Perché i morti di camorra che insanguinano la metropoli simbolo del Mezzogiorno d’Italia e il suo hinterland sono anzitutto il segno di «una violenza che tende a farsi mentalità diffusa». Allora non c’è che la triplice via «della scuola, del lavoro e dell’aiutare i giovani» come percorso di un autentico «rinnovamento spirituale» contro la criminalità organizzata, ferita sociale di antica data e nuova ferocia. Scuote la piazza del Plebiscito sferzata dalla pioggia e dal vento, Benedetto XVI. E i napoletani che a migliaia si misurano con i rigori della prima vera giornata di un inverno tardivo riservano al Papa un lunghissimo applauso che appare davvero all’insegna della capacità di coinvolgimento e di calore umano attribuito a questa città. Per Joseph Ratzinger la sua prima volta da Papa a Napoli è una consegna d’impegno per mobilitare le coscienze a una «seria strategia di prevenzione». Ascoltano il pontefice, oltre alle massime autorità della Chiesa partenopea, in testa il suo cardinale arcivescovo Crescenzio Sepe e ai capi delle altre religioni convenuti da tutto il mondo per il meeting internazionale sulla pace della Comunità di Sant’Egidio, i responsabili di governo a livello cittadino, regionale e nazionale. E il papa tedesco che della sua origine bavarese mostra di conservare il tratto rigoroso e insieme gioviale, dedica a Napoli una riflessione di straordinaria intensità quando, nell’Omelia, ne traccia i nodi e i conflitti irrisolti ma insieme le prospettive. Il riconoscimento delle «energie sane, della gente buona e culturalmente preparata e con un senso vivo della famiglia», s’intreccia infatti con la sottolineatura delle «tante situazioni di povertà, di carenza di alloggio, di disoccupazione e sottocupazione, di mancanza di prospettive future». Un universo di degrado umano, sociale e culturale che dà linfa non soltanto «ai deprecabili delitti di camorra» ma a quella violenza generalizzata che Benedetto XVI addita soprattutto come «mentalità diffusa» capace di «insinuarsi nelle pieghe del vivere sociale, nei quartieri storici del centro e nelle priferie nuove e anonime con il rischio - avverte - di attrarre soprattutto la gioventù che cresce in ambienti nei quali prospera l’illegalità, il sommerso e la cultura dell’arrangiarsi». Una analisi che non concede sconti o zone franche. È alle piccole e grandi sopraffazioni quotidiane che corre il pensiero del Papa, ai diritti negati, alla sicurezza messa a repentaglio. Poco prima, del resto, il passo del Vangelo scelto per celebrazione eucaristica, aveva delineato la parabola di una vedova e della sue aspirazioni di giustizia. Ed è in questa chiave, come dovere di risposta alle carenze e al malessere sociale che il pontefice sollecita la continuità delle scelte di fondo quando richiama a quella «seria strategia di prevenzione che punti sulla scuola, sul lavoro e sull’aiutare i giovani a gestire il tempo libero». Ancora più netti risaltano qui il tono e le espressioni del Papa. Scandisce che «è necessario un intervento che coinvolga tutti nella lotta contro ogni forma di violenza partendo dalla formazione delle coscienze e trasformando le mentalità, gli atteggiamenti, i comportamenti di tutti i giorni». E in quel «tutti» pronunciato con accento volutamente calcato risalta l’assunzione di responsabilità individuale e collettiva che Joseph Ratzinger indica a garanzia di una svolta. Così come inequivocabile è l’invito rivolto ai cattolici «per un maggiore impegno in politica», pronunciato dopo la Messa. Con la sottolineatura che «molti sono i problemi e le sfide che stanno davanti a noi». Ventotto anni dopo la prima visita a Napoli di Karol Wojtyla proprio il 21 ottobre del 1979, la voce di un papa sprona la città a tutti i livelli nella consapevolezza, tanto più impegnativa, che non gli interventi di breve momento si rivelano utili per Napoli ma soltanto un orizzonte di lungo periodo. Prova ne sia che alla visita di Giovanni Paolo II «che promosse la rinascita della speranza» si richiama Joseph Ratzinger, e poi all’impegno del suo attuale arcivescovo Sepe citando il passo della sua ultima Lettera pastorale sul «seme della speranza, piccolo ma che può dar vita a un albero rigoglioso». Ragione di più per cogliere l’ultimo e impegnativo appello che papa Ratzinger affida prima di proseguire la sua visita: «Napoli ha certo bisogno di adeguati interventi politici ma prima ancora di un profondo rinnovamento spirituale».

© Copyright Il Mattino, 22 ottobre 2007


Ratzinger fa l’elogio del cardinale

PIETRO TRECCAGNOLI

Napoli e il suo cardinale, Crescenzio Sepe, hanno conquistato il cuore di Benedetto XVI. È mancato solo lo scioglimento del sangue del patrono della città per rafforzare la sintonia tra due cardinali che sono stati al fianco di Wojtyla per tanto tempo. «Ma il miracolo di san Gennaro è stata la neve sul Vesuvio» ha scherzato Sua Eminenza entrando al San Carlo, per la cerimonia inaugurale del Meeting della Pace della Comunità di Sant’Egidio. «Nonostante il freddo, il calore di Napoli l’ha conquistato» ha aggiunto Sepe. «Lo ha colpito tutta quella gente che lo acclamava nonostante la pioggia. Il Santo Padre conosceva Napoli e i napoletani, sapeva di questo calore, ma oggi lo ha toccato con mano, lo ha visto con i suoi occhi: l’entusiasmo, la volontà, la gioia nel fare le cose lo hanno colpito molto». Sepe, nei panni di padrone di casa, ha vinto la sua scommessa. Con un risultato che è andato al di là delle speranze. Ha concluso il suo saluto al Papa, a piazza Plebiscito con l’affettuoso e collaudato augurio «’A Maronna t’accumpagni». Ma ha anche sottolineato, in quella piazza dove i mille colori di Napoli erano quelli degli impermeabili di plastica e delle facce dei migranti, quanto la città sia complessa e difficile e meriti una particolare attenzione: «Il fenomeno della violenza, ancora più odiosa quando esercitata in forme organizzate, pur essendo un fatto generalizzato, ha trovato a Napoli un terreno fertile». Ha ricordato l’affetto di Wojtyla per la capitale del Sud, e rivolto al papa tedesco, ha concluso: «Napoli è la città della luce e non si fa certo oscurare da qualche nube che attraversa il suo cielo». La messa sembrava una scena del «Giudizio universale» di Vittorio De Sica, mancava solo Pietro De Vico a vendere ombrelli. «Napoli vuole guardare avanti, credere in se stessa, nei propri giovani, nelle proprie importanti risorse, testimoniate da una storia gloriosa». Ma il successo di ieri per l’uomo che organizzò il Giubileo del 2000 è stata l’intensità con la quale Ratzinger lo ha nominato nell’omelia. Ha cominciato salutandolo, con parole solenni: «L’ho inviato alla vostra Comunità conoscendone lo zelo apostolico, e sono contento di constatare che voi lo apprezzate per le sue doti di mente e di cuore». E questa grande legame che in appena un anno il cardinale ha saputo costruire con Napoli l’ha convinto ancor di più della efficacia della scelta. Cita esplicitamente dei passi della lettera pastorale «Il sangue e la speranza». E Ratzinger ha una parola di apprezzamento per Sepe anche durante il discorso tenuto al Seminario arcivescovile. Il loro rapporto molto confidenziale l’ha potuto vedere tutta la folla che li ha acclamati, assieme al segretario di Sua Santità, Georg Ganswein, nei 25 minuti che è durata la risalita verso Capodimonte a bordo della papamobile. «Un omaggio caloroso e rispettoso» ha commentato Sepe. Poi la gioia per la preghiera davanti alle reliquie di san Gennaro. Hanno parlato a lungo. Che cosa si sono detti? «Un segreto pontificio» ha tagliato corto con un sorriso Sepe che al Papa, davanti alle reliquie del vescovo martire, ha illustrato la tradizione e il mistero che i napoletani onorano. E le parole forti di Benedetto XVI contro la camorra? «Dobbiamo impegnarci. Come abbiamo fatto con la visita del Papa, dobbiamo farlo anche per il resto». Una grande giornata. E, off record, ci si può persino consolare con una variazione dell’adagio nuziale: papa bagnato papa fortunato. Sepe, l’arcivescovo del popolo che sa parlare alle istituzioni, al San Carlo, nella saletta alle spalle del palco reale s’è goduto alla fine il meritato successo personale. Davanti al semplice buffet, ha rispolverato il suo portoghese parlando con l’ex-presidente Mario Soares dei suoi anni in Brasile. Poi a salutarlo, insieme al capi ortodossi, al rabbino Metzger, allo scintoista Gijun Sugitai, al buddista birmano U Uttara, sono arrivati pure i capi di Stato della Tanzania e dell’Ecuador, il presidente emerito Oscar Luigi Scalfaro e, di corsa e per ultimo, il premier Romano Prodi che ha parlato fitto fitto con Kassym-Jomart Tokauev, il presidente del Senato kazako. Il giro del mondo, attorno a Sepe.

© Copyright Il Mattino, 22 ottobre 2007


Napoli e il Papa un abbraccio sotto la pioggia

TITTI MARRONE

Come in un grande rito penitenziale, la visita napoletana di papa Benedetto XVI ha avuto la sua apoteosi in una piazza del Plebiscito gremita da oltre 20mila persone sotto una pioggia battente resa più insidiosa da raffiche di vento siberiano. E tutti, autorità religiose e mondane, pellegrini e Papa boys, hanno affrontato l’attesa, il disagio e ascoltato l’omelia in uno stato d’animo di espiazione collettiva. La regia del padreterno sembrava aver programmato una giornata in perfetto stile Sturm und Drang, Tempesta e Impeto. Quasi in omaggio al papa tedesco, il tempo meteorologico si è come allineato allo spirito del movimento germanico preromantico che invocava le forze della natura a mo’ di manifestazioni della divinità, aggiungendo al freddo una pioggia incalzante fin dal momento dell’arrivo della papamobile nella piazza. Rispetto alle altre due piazze finite sotto i riflettori negli ultimi otto giorni - quella della manifestazione di An a Roma, l’altra romana della sinistra radicale contro il welfare - la piazza napoletana riempita dal Papa ha avuto una peculiarità: da un punto di vista simbolico non poteva esserci giornata più adatta a esprimere il disagio di una città che si sente come esposta alle intemperie, smarrita e priva di prospettive. Una giornata in cui non c’è stato il boato, l’applauso della condivisione spettacolarizzata consapevole di riflettori puntati sull’evento mediatico. Però quando la violenza e la camorra annidate nei comportamenti collettivi sono state evocate dalle parole del Papa, vittime, responsabili e capri espiatori, cittadini e istituzioni, religiosi, osservanti e tiepidi credenti hanno stemperato il disagio nel calore di una preghiera liberatoria. O almeno in una laica speranza possibile. La piazza della penitenza si è riempita alle prime luci dell’alba, in attesa di Benedetto XVI, e tra i primi ad arrivare sono stati i ragazzi di Ponticelli, sorridenti e freschi nonostante il gelo improvviso e la notte passata in preghiera. Srotolando striscioni controvento, si sono sistemati mansueti nei posti loro assegnati: settori come cerchi concentrici che si riempivano rapidamente e da cui s’inalberavano vessilli, immagini sacre, striscioni. Poi è arrivata una delegazione di carcerati, inavvicinabili dietro la loro transenna, poi via via nella piazza si è andato componendo il puzzle di un mondo variegato che catalizza religiosi, credenti, volontari di tutta la Campania: il gruppo della Comunità di Sant’Egidio, quello del movimento laicale di Don Orione, gli scout dell’Agesci, i gruppi venuti in processione dalle varie parrocchie di Napoli e provincia, con in testa quello della chiesa del Carmine, fiero di portare il quadro della Madonna Bruna. A colorare la piazza, con gran colpo di teatro, sono stati quindi i rappresentanti del melting pot di fedi invitati al Forum delle religioni: come la scenografica delegata del Burundi Marguerite Barankitse in peplo amaranto e turbante multicolore, o i prelati ortodossi di rito copto con i copricapi a tamburo, o ancora gli altissimi cavalieri dell’Ordine equestre del Santo sepolcro in liliale mantellina di panno. Più alla spicciolata sono arrivate, per occupare la prima fila, le autorità politiche e amministrative, Prodi, Mastella, Bassolino e Iervolino più tardi per aver ricevuto il Papa alla Stazione Marittima. Ed essendo, come quasi tutti i presenti in piazza, presi alla sprovvista dalla pioggia, ciascuno si è imbozzolato in un impermeabile dai colori pastello distrubuito dai volontari della diocesi, con il solo Bassolino a proteggersi anche con un cappellino blu da jogger previdente. Un brusio si è sollevato dalla piazza quando è stata sorvolata dall’elicottero papale in arrivo alla Stazione Marittima, e il coro sistemato alla sinistra del palco ha intonato «Tu sei Pietro», il canto con testo del vescovo Bruno Forte. «B16 atterrato»: nell’sms a un amico di Claudio, scout dell’Arenella, il Papa ha preso un nome che è una via di mezzo tra una battaglia navale e un Caccia Usa. E mentre i maxischermi ai lati del palco mostravano il corteo papale il servizio d’ordine intensificava la sorveglianza invitando tutti a sistemarsi nel settore assegnato dal biglietto. «Svelti, presto, dietro le transenne»: e la papamobile è arrivata lentissima, con effetto levitazione o scivolamento, e proprio allora il cielo apriva le sue cateratte, le suorine agitavano i fazzoletti, tra i fedeli stipati dietro le transenne si accendevano conflitti sugli sgocciolamenti degli ombrelli e le stecche a rischio accecamento. Come in una penitenza, resistere dalle 8,30 alle 12,15 sotto la pioggia è stato arduo per tutti, e non sono mancati un po’ di parapiglia durante le comunioni, malori per ipotermia, defaillances e qualche abbandono anche da parte di autorità: tra i primi a lasciare il loro posto, l’assessore comunale D’Abundo e l’eurodeputato Andria. Però essere in piazza è stato proficuo anche al di là dell’evento religioso: perché quando papa Ratzinger, il pontefice grande intellettuale, con geometrica precisione ha allineato i mali della città nella sua omelia, ha preso corpo una possibilità: che l’attenzione riservata alla città dalla visita papale funzioni da stimolo generalizzato e sia fatto proprio come militanza anche civile da una Chiesa capace di mobilitazioni di fede come quella vista ieri. A condizione che il motto «rilanciare la speranza» diventi moda contagiosa, capacità veicolata dalla religione al fare concreto della politica, saldandosi a un «piano per la città» finalmente vero, non fatto di un’enunciazione continua che è ormai solo flatus vocis.

© Copyright Il Mattino, 22 ottobre 2007


«Mai la violenza nel nome del Signore»

Il forte richiamo allo «spirito di Assisi»: bisogna continuare a lavorare per la pace le religioni non siano strumento di odio

VITTORIO DELL’UVA

Non è con le armi che si serve Dio. Né lasciando che le religioni «possano diventare veicoli di odio». Il messaggio, nello «spirito di Assisi», di Benedetto XVI arriva, inequivocabile, nella sala blu del seminario arcivescovile di Capodimonte che fu dedicato al cardinale Ascalesi vescovo di Napoli. È diretto ai rappresentanti delle comunità ecclesiali e agli esponenti di altri Credi convenuti per il grande meeting su «un mondo senza violenza», organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Indica, agitando gli spettri di devastanti scontri confessionali, una delle ferite del pianeta «lacerato da conflitti, dove talora si giustifica la violenza nel nome di Dio». Il Pontefice ha di fronte patriarchi, primati e autorità religiose che vengono anche da terre in cui le forti contrapposizioni di natura politica e sociale possono essere alimentate dai pulpiti. Ma non è soltanto all’Islam, che al suo interno sta covando le più avanzate forme di radicalismo, che va il pensiero pontificio. «Oggi - dice - siamo tutti chiamati a lavorare per la pace e a un impegno fattivo per promuovere la riconciliazione tra i popoli». «Nel rispetto - tiene a sottolineare - delle differenze delle varie religioni». Si va oltre la richiesta, che potrebbe apparire di per sé agnostica, di non stimolare crociate e controcrociate. A tutte le fedi viene chiesto «di offrire preziose risorse per costruire un’umanità pacifica e di parlare di pace al cuore dell’uomo». Ridando vigore all’impegno che fu preso nel 1986 quando «Giovanni Paolo II invitò i rappresentanti religiosi a pregare per la pace sul colle di San Francesco». Ma ancora una volta, la Santa Sede si affida anche alla forza della preghiera richiamando le parole di Papa Wojtyla che «nel 2002 dopo i drammatici eventi dell’11 settembre riconvocò ad Assisi i leader religiosi». «Per chiedere a Dio - ricorda Benedetto XVI - di fermare le gravi minacce che incombevano sull’umanità, specialmente a causa del terrorismo». L’appello ai religiosi ad evitare che «si possa arrivare a giustificare il male e la violenza», carica di per sé il Vaticano della responsabilità di ampliare il solco che durante il pontificato del Papa polacco è stato tracciato. Di questo Benedetto XVI si fa garante affermando che «la Chiesa cattolica intende continuare a percorrere la strada del dialogo per favorire l’intesa tra le diverse culture, tradizioni e sapienze religiose». L’auspicio è che «questo spirito si diffonda sempre più, soprattutto là dove più forti sono le tensioni e là dove le libertà e il rispetto dell’altro vengono negati e uomini e donne che soffrono per le conseguenze dell’intolleranza e dell’incomprensione». È un richiamo alla «civiltà dell’amore» quello che conclude l’intervento del Papa al seminario arcivescovile di Capodimonte e che verrà ripreso nei brevi colloqui con i leader spirituali che siederanno a pranzo con lui sotto una grande tenda, ben protetta dalla pioggia e dal vento, allestita sulla grande terrazza che domina Napoli. Benedetto XVI parla con i rabbini arrivati da Israele e da molti altri Paesi europei, con i protestanti, i metodisti, gli evangelici. Stringe le mani ai buddisti, agli induisti e ai mullah. Al suo fianco, come impone il rispetto delle gerarchie, prende posto il «papa» degli ortodossi, Bartolomeo I patriaca di Costantinopoli, massimo esponente di una Chiesa che con il Vaticano non ha ancora trovato il pieno dialogo «sul piano ecclesiale», ma che ritiene sia tornato il tempo di lavorare con più concretezza al superamento delle divisioni. «Dopo la fase fredda che ha seguito la scomparsa di Giovanni Paolo II, si può riprendere il cammino» è il pensiero, che contiene anche speranza, espresso da Bartolomeo I. Altri sul cammino della buona volontà proprio non riescono ad inciampare anche mentre si dividono il pane. Nel corso del pranzo ufficiale il patriaca armeno Aram I e il rabbino capo di Israele Yova Metzger, indotti a una disputa sulle condizioni del Libano, hanno provocato - con un botta e risposta - qualche momento di gelo e un po’ di imbarazzo.

© Copyright Il Mattino, 22 ottobre 2007

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