7 ottobre 2007

Rosso Malpelo: evidentemente Ezio Mauro dà per scontato che i Cattolici non reagiscano mai!


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Ieri ("Repubblica", p. 31: "La Chiesa e la libera stampa") il direttore Ezio Mauro si è stupito per la "reazione senza precedenti": "'Avvenire' e 'Famiglia Cristiana' si sono scagliati contro l'inchiesta giornalistica di 'Repubblica' di Curzio Maltese sui costi della Chiesa cattolica agli italiani".

Lo dava per scontato: tanto quelli non reagiscono mai! Ma allo stupore non segue altro: infatti per lui "l'inchiesta di Maltese non ha bisogno di difesa"!

A leggere le "reazioni" di "Avvenire" e "Famiglia Cristiana" non pare.

Quello scrive e ripete che la Cei tiene "segreti" i bilanci dell'8 per mille? Falso! Sono pubblici sui giornali " anche su "Repubblica"! " e su Internet! Quello protesta che nella ripartizione dell'8 per mille contano solo le scelte espresse? È regola di ogni scelta democratica: altrimenti in Parlamento il 30% dei seggi resterebbe vuoto.

Di più: "Repubblica" scende in attacchi personali in nome di un passato letto a modo proprio! Discorso serio? Possiamo indagare tutti sul passato dei colleghi di "Repubblica"? In realtà contano fatti e numeri. Senza teorie: sicuri che, rispetto a quanto dà, ciò che la Cei riceve è troppo: in tutto un miliardo di euro? Sempre ieri per "Repubblica" (p. 1, 25 e 26) è l'esatto incasso di un solo anno di multe! E per "Panorama" (4/10, copertina) un solo ministro "ci costa 40 miliardi". Bastano a ripianare l'esborso Cei di 40 anni! Da ultimo: ieri, proprio accanto al suo lamento, Mauro pubblica una lettera cordiale di mons. Javier Echevarría, prelato dell'Opus Dei. Che nel caso non c'entra niente. Un sorriso. Di solito lì, in pagina, l'Opus è bistrattatissima.

© Copyright Avvenire, 7 ottobre 2007


Ecco la lettera di cui parla Rosso Malpelo:


La lezione di Escrivá

JAVIER ECHEVARRiA

Caro direttore, sono passati cinque anni dalla canonizzazione di San Josemaria, fondatore dell' Opus Dei. Ricordo ancora quel 6 ottobre del 2002 quando Giovanni Paolo II proclamava la santità del fondatore dell' Opus Dei in un' affollatissima Piazza San Pietro, brulicante di persone provenienti da tutto il mondo. In quei giorni il Santo Padre definì San Josemaria il santo dell' ordinario, sintetizzando il nucleo dei suoi insegnamenti: le cose della vita di tutti i giorni sono la strada che conduce in Cielo. San Josemaria diceva: «C' è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire». Una fabbrica, un ufficio, le pareti domestiche, tutto può divenire lo scenario di un dialogo fra Dio e l' uomo, fra il Creatore e la creatura. Fondere la vita di fede con quella ordinaria è una questione di amore che si riflette nelle relazioni interpersonali: quando si nutre un vero amore per Dio, si sente l' esigenza di impregnare con il balsamo della carità i rapporti familiari, sociali, e professionali. Oggi, in un mondo in cui sono crollate le vecchie ideologie e dove sono sotto gli occhi di tutti le conseguenze negative delle azioni ispirate dalla logica del potere, questo ideale di carità cristiana è di straordinaria attualità. Vivere la carità nella vita di tutti i giorni, dice San Josemaria, richiede «cuore grande, sentire le preoccupazioni di quelli che ci circondano, saper perdonare e comprendere, sacrificarsi in unione a Gesù Cristo per tutte le anime». La carità è l' opzione fondamentale della vita del cristiano, come ha scritto Benedetto XVI nella Deus caritas est. In questo quinto anniversario della canonizzazione di San Josemaria il mio pensiero va ai tanti fedeli e cooperatori della Prelatura dell' Opus Dei i quali, assieme ad amici e colleghi, spendono la propria vita in iniziative sociali e assistenziali di profonda radice cristiana, in molti Paesi dei cinque continenti. Queste iniziative nascono dagli insegnamenti di San Josemaria che sempre incoraggiò i suoi figli a compiere opere di evangelizzazione e di promozione umana in favore dei più poveri, come ebbe a ricordare Giovanni Paolo II nel suo discorso il giorno successivo alla canonizzazione. Eppure, la carità cristiana non si limita ad essere esercitata solo in attività di tipo assistenziale. La carità è qualcosa che deve essere vissuta personalmente, ciascuno nella sua situazione, in famiglia, con i colleghi di lavoro e nelle amicizie. Per il cristiano, la carità è amare gli altri nella vita quotidiana con manifestazioni visibili. San Josemaria affermava che l' evangelizzazione è un compito proprio di persone con il cuore grande e le braccia spalancate. In questi tempi di conflitti nelle famiglie, nella società e tra le nazioni è urgente sottolineare che mettere in pratica la carità significa, in gran misura, offrire e accettare il perdono. Il perdono e la comprensione sono la base per costruire la pace: per mantenere unita la famiglia, per favorire la coesione sociale, per illuminare le relazioni internazionali. Il Concilio Vaticano II ha indicato nel divorzio fra la fede e la vita quotidiana uno dei più grandi mali del mondo moderno (cfr. Gaudium et spes, 43). Cinque anni dopo la canonizzazione di San Josemaria, il santo dell' ordinario, supplico Dio affinché, con la sua intercessione, aiuti in modo speciale noi cristiani a unire nella nostra anima l' amore di Dio all' amore verso tutti gli uomini, per costruire un mondo migliore. L' autore è prelato dell' Opus Dei.

© Copyright Repubblica, 6 ottobre 2007

1 commento:

Anonimo ha detto...

Qualcuno che sia in Italia faccia qualcosa. Guardate che hanno combinato i vescovi svizzeri:

Lettre apostolique Motu proprio Summorum Pontificum
Directives des évêques suisses

6.Pour qu’un prêtre puisse célébrer selon la forme extraordinaire du rite (cf. SP art. 5 § 4), sont nécessaires les qualifications prescrites ci-dessous.

-Autorisation de l’évêque;

-Réception de l’entière liturgie de l’Eglise dans sa forme ordinaire et extraordinaire (cf. Lettre d’accompagnement du pape Benoît XVI);
-Familiarité avec la forme extraordinaire du rite;
-Connaissance de la langue latine.

http://www.sbk-ces-cvs.ch/ressourcen/download/20071004084701.pdf

Quando mai nella Summorum Pontificum c'è bisogno di autorizazione dei vescovi per dire la Messa con il messale di 1962?
Cosa hanno fatto questi prelati con l'autorità del Romano Pontefice?
Facciamo qualcosa!!!!!!!

Pontificia Commissione Ecclesia Dei
Pontificia Commissio Ecclesia Dei
Palazzo della Congregazione per la Dottrina della Fede, Piazza del Sant'Uffizio, 11 - 00193 Roma
Tel. (06) 69.88.52.13 - 69.88.54.94 - Fax 69.88.34.12 - posta elettronica: eccdei@ecclsdei.va
Presidente: Sua Em. Rev.ma Cardinale Darìo Castrillòn Hoyos (Piazza della Città Leonina, 1, 00193 Roma - tel. 68.30.70.88)
Segretario: Rev.mo Mons. Camille Perl (Via di Porta Angelica, 63 - 00193 Roma - tel. 687.48.30)

SUMMORUM PONTIFICUM

I Sommi Pontefici fino ai nostri giorni ebbero costantemente cura che la Chiesa di Cristo offrisse alla Divina Maestà un culto degno, “a lode e gloria del Suo nome” ed “ad utilità di tutta la sua Santa Chiesa”.

Da tempo immemorabile, come anche per l’avvenire, è necessario mantenere il principio secondo il quale “ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede”.

Tra i Pontefici che ebbero tale doverosa cura eccelle il nome di san Gregorio Magno, il quale si adoperò perché ai nuovi popoli dell’Europa si trasmettesse sia la fede cattolica che i tesori del culto e della cultura accumulati dai Romani nei secoli precedenti. Egli comandò che fosse definita e conservata la forma della sacra Liturgia, riguardante sia il Sacrificio della Messa sia l’Ufficio Divino, nel modo in cui si celebrava nell’Urbe. Promosse con massima cura la diffusione dei monaci e delle monache, che operando sotto la regola di san Benedetto, dovunque unitamente all’annuncio del Vangelo illustrarono con la loro vita la salutare massima della Regola: “Nulla venga preposto all’opera di Dio” (cap. 43). In tal modo la sacra Liturgia celebrata secondo l’uso romano arricchì non solo la fede e la pietà, ma anche la cultura di molte popolazioni. Consta infatti che la liturgia latina della Chiesa nelle varie sue forme, in ogni secolo dell’età cristiana, ha spronato nella vita spirituale numerosi Santi e ha rafforzato tanti popoli nella virtù di religione e ha fecondato la loro pietà.

Molti altri Romani Pontefici, nel corso dei secoli, mostrarono particolare sollecitudine a che la sacra Liturgia espletasse in modo più efficace questo compito: tra essi spicca s. Pio V, il quale sorretto da grande zelo pastorale, a seguito dell’esortazione del Concilio di Trento, rinnovò tutto il culto della Chiesa, curò l’edizione dei libri liturgici, emendati e “rinnovati secondo la norma dei Padri” e li diede in uso alla Chiesa latina.

Tra i libri liturgici del Rito romano risalta il Messale Romano, che si sviluppò nella città di Roma, e col passare dei secoli a poco a poco prese forme che hanno grande somiglianza con quella vigente nei tempi più recenti.

“Fu questo il medesimo obbiettivo che seguirono i Romani Pontefici nel corso dei secoli seguenti assicurando l’aggiornamento o definendo i riti e i libri liturgici, e poi, all’inizio di questo secolo, intraprendendo una riforma generale”. Così agirono i nostri Predecessori Clemente VIII, Urbano VIII, san Pio X, Benedetto XV, Pio XII e il B. Giovanni XXIII.

Nei tempi più recenti, il Concilio Vaticano II espresse il desiderio che la dovuta rispettosa riverenza nei confronti del culto divino venisse ancora rinnovata e fosse adattata alle necessità della nostra età. Mosso da questo desiderio, il nostro Predecessore, il Sommo Pontefice Paolo VI, nel 1970 per la Chiesa latina approvò i libri liturgici riformati e in parte rinnovati. Essi, tradotti nelle varie lingue del mondo, di buon grado furono accolti da Vescovi, sacerdoti e fedeli. Giovanni Paolo II rivide la terza edizione tipica del Messale Romano. Così i Romani Pontefici hanno operato “perché questa sorta di edificio liturgico [...] apparisse nuovamente splendido per dignità e armonia”.

Ma in talune regioni non pochi fedeli aderirono e continuano ad aderire con tanto amore ed affetto alle antecedenti forme liturgiche, le quali avevano imbevuto così profondamente la loro cultura e il loro spirito, che il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, mosso dalla cura pastorale nei confronti di questi fedeli, nell’anno 1984 con lo speciale indulto “Quattuor abhinc annos”, emesso dalla Congregazione per il Culto Divino, concesse la facoltà di usare il Messale Romano edito dal B. Giovanni XXIII nell’anno 1962; nell’anno 1988 poi Giovanni Paolo II di nuovo con la Lettera Apostolica “Ecclesia Dei”, data in forma di Motu proprio, esortò i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero.

A seguito delle insistenti preghiere di questi fedeli, a lungo soppesate già dal Nostro Predecessore Giovanni Paolo II, e dopo aver ascoltato Noi stessi i Padri Cardinali nel Concistoro tenuto il 22 marzo 2006, avendo riflettuto approfonditamente su ogni aspetto della questione, dopo aver invocato lo Spirito Santo e contando sull’aiuto di Dio, con la presente Lettera Apostolica stabiliamo quanto segue:

Art. 1. Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della “lex orandi” (“legge della preghiera”) della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa “lex orandi” e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due espressioni della “lex orandi” della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella “lex credendi” (“legge della fede”) della Chiesa; sono infatti due usi dell’unico rito romano.

Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa. Le condizioni per l’uso di questo Messale stabilite dai documenti anteriori “Quattuor abhinc annos” e “Ecclesia Dei”, vengono sostituite come segue:

Art. 2. Nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il Messale Romano edito dal beato Papa Giovanni XXIII nel 1962, oppure il Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno, eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l’uno o l’altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario.

Art. 3. Le comunità degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano, che nella celebrazione conventuale o “comunitaria” nei propri oratori desiderano celebrare la Santa Messa secondo l’edizione del Messale Romano promulgato nel 1962, possono farlo. Se una singola comunità o un intero Istituto o Società vuole compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti particolari.

Art. 4. Alle celebrazioni della Santa Messa di cui sopra all’art. 2, possono essere ammessi – osservate le norme del diritto – anche i fedeli che lo chiedessero di loro spontanea volontà.

Art. 5. § 1. Nelle parrocchie, in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962. Provveda a che il bene di questi fedeli si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, sotto la guida del Vescovo a norma del can. 392, evitando la discordia e favorendo l’unità di tutta la Chiesa.

§ 2. La celebrazione secondo il Messale del B. Giovanni XXIII può aver luogo nei giorni feriali; nelle domeniche e nelle festività si può anche avere una celebrazione di tal genere.

§ 3. Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco permetta le celebrazioni in questa forma straordinaria anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi.

§ 4. I sacerdoti che usano il Messale del B. Giovanni XXIII devono essere idonei e non giuridicamente impediti.

§ 5. Nelle chiese che non sono parrocchiali né conventuali, è compito del Rettore della chiesa concedere la licenza di cui sopra.

Art. 6. Nelle Messe celebrate con il popolo secondo il Messale del B. Giovanni XXIII, le letture possono essere proclamate anche nella lingua vernacola, usando le edizioni riconosciute dalla Sede Apostolica.

Art. 7. Se un gruppo di fedeli laici fra quelli di cui all’art. 5 § 1 non abbia ottenuto soddisfazione alle sue richieste da parte del parroco, ne informi il Vescovo diocesano. Il Vescovo è vivamente pregato di esaudire il loro desiderio. Se egli non può provvedere per tale celebrazione, la cosa venga riferita alla Commissione Pontificia “Ecclesia Dei”.

Art. 8. Il Vescovo, che desidera rispondere a tali richieste di fedeli laici, ma per varie cause è impedito di farlo, può riferire la questione alla Commissione “Ecclesia Dei”, perché gli offra consiglio e aiuto.

Art. 9 § 1. Il parroco, dopo aver considerato tutto attentamente, può anche concedere la licenza di usare il rituale più antico nell’amministrazione dei sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della Penitenza e dell’Unzione degli infermi, se questo consiglia il bene delle anime.

§ 2. Agli Ordinari viene concessa la facoltà di celebrare il sacramento della Confermazione usando il precedente antico Pontificale Romano, qualora questo consigli il bene delle anime.

§ 3. Ai chierici costituiti “in sacris” è lecito usare il Breviario Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962.

Art. 10. L’Ordinario del luogo, se lo riterrà opportuno, potrà erigere una parrocchia personale a norma del can. 518 per le celebrazioni secondo la forma più antica del rito romano, o nominare un cappellano, osservate le norme del diritto.

Art. 11. La Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, eretta da Giovanni Paolo II nel 1988, continua ad esercitare il suo compito. Tale Commissione abbia la forma, i compiti e le norme, che il Romano Pontefice le vorrà attribuire.

Art. 12. La stessa Commissione, oltre alle facoltà di cui già gode, eserciterà l’autorità della Santa Sede vigilando sulla osservanza e l’applicazione di queste disposizioni.

Tutto ciò che da Noi è stato stabilito con questa Lettera Apostolica data a modo di Motu proprio, ordiniamo che sia considerato come “stabilito e decretato” e da osservare dal giorno 14 settembre di quest’anno, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, nonostante tutto ciò che possa esservi in contrario.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 7 luglio 2007, anno terzo del nostro Pontificato.