6 ottobre 2007

Don Paolo Pezzi, nuovo arcivescovo di Mosca


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Un missionario italiano a Novosibirsk cresciuto nel carisma di Cl nominato arcivescovo di Mosca. Don Pezzi e la sfida dell'ecumenismo.

Chi guiderà la Chiesa cattolica russa

di Dell'asta Adriano**

«Si può dire che la memoria dell'amore di Cristo è il contenuto che mobilita la vita. Questo struggimento è ciò che mobilita ogni attività; perciò ogni riflessione, anche teologica, ci fa partecipare allo scopo per cui Cristo è venuto: che tutti non vivano più per se stessi, che è poi l'ecumenismo nel senso stretto della parola. Questo struggimento è anche ciò che dà valore alla coscienza con cui si guarda il destino di un uomo, la sua vita. Proprio per questo mi pare che la stessa passione, lo stesso struggimento si possano rinvenire alle radici dell'incontro tra occidente cristiano e ortodossia russa». Così don Paolo Pezzi introduceva nel 2004 l'annuale convegno della fondazione Russia Cristiana, allora organizzato in collaborazione con la Commissione teologica sinodale del Patriarcato di Mosca. Oggi quel don Paolo è arcivescovo metropolita di Mosca: una nomina per certi versi sorprendente, un italiano vescovo della Chiesa cattolica in Russia, un semplice sacerdote quarantasettenne (sia pur con incarichi importanti come quello di rettore del seminario di San Pietroburgo) che diventa di colpo metropolita, un missionario (monsignor Pezzi è membro della Fraternità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo) che viene elevato a questa dignità in un contesto in cui a volte i cattolici sono stati accusati di "fare proselitismo". In realtà, tutti i motivi di sorpresa acquisiscono una portata ben diversa se si pesano quelle parole pronunciate tre anni fa.
Si tratta di un uomo che non solo conosce perfettamente la storia e le tradizioni della Chiesa ortodossa russa e della sua cultura, ma le stima e le ama, al punto di considerare l'incontro tra le due tradizioni come «la possibilità di vivere nel presente l'unica tradizione, di offrire all'uomo del XX secolo la stessa verità del cristianesimo immutabile nei secoli: Cristo salvezza dell'uomo». In questo convincimento, radicato in una profonda e raffinata ricostruzione della storia e del pensiero russo, c'è evidentemente qualcosa di più di un puro discorso teorico e anche di una ormai ricca esperienza pastorale (il primo incarico russo di monsignor Pezzi fu in Siberia e risale al '93): c'è una pratica di vita che nasce dalla formazione del giovane Pezzi nell'ambito di Comunione e liberazione.
Non va dimenticato infatti che don Luigi Giussani ha sempre sottolineato come al cuore del movimento da lui fondato ci fossero tra le altre cose due idee che lui aveva attinto dalla tradizione russa: l'idea di trasfigurazione e quella della sobornost' o comunionalità, cioè l'idea di un cristianesimo capace di illuminare e trasformare ogni aspetto della vita dell'uomo e del mondo, e poi la coscienza della dimensione fondamentalmente comunitaria della vita personale stessa, così che nessuno «vive più per se stesso». Lo stesso Giussani era così innamorato di questa tradizione che in un'intervista del 1992, subito dopo la fine del sistema sovietico, per spiegare il senso della presenza allora iniziale di Cl in Russia e nei paesi dell'Europa orientale disse: «La presenza di Cl nei popoli dell'Est realizza il diritto umano di confidare loro quello che ha salvato noi. Non sostituendoci a loro. Ma umilmente sostenendoli attraverso l'esempio presente di come la Chiesa può essere vissuta. Non vogliamo sopraffare, ma essere compagni, immedesimandoci il più possibile con la loro storia e con i loro bisogni. In fondo è tentare di ricompensare i nostri fratelli dell'Est di quello che la loro esperienza ha dato a noi, culturalmente e come esempio di vita: la testimonianza cioè di una tenace fedeltà alla tradizione e di un'ammirevole capacità di resistere per tanti anni all'attacco sistematico dell'ateismo». In questo «struggimento» per un'unità che dà senso alla vita, in questa testimonianza resa innanzitutto all'essenza della propria fede, in questo approfondimento personale di cosa significhi, innanzitutto per ciascun uomo, essere discepolo di Cristo sta tutto il senso, il contenuto e la possibilità del lavoro ecumenico che, prima di ogni altra cosa, è un lavoro di approfondimento dell'esperienza cristiana di ciascuna Chiesa e di ciascuno dei suoi membri.

La fede come offerta

Intesi in questo modo, la testimonianza cristiana e il lavoro ecumenico si ampliano ben al di là dei confini di una singola Chiesa o di una singola nazione e diventano un'offerta per tutto il mondo, perché riscopra una ragione che non si oppone alla fede, ma trova in essa le possibilità del suo esercizio più pieno, perché la modernità secolarizzata non si opponga più alla tradizione ecclesiale, ma vi ritrovi le radici della propria libertà. La Chiesa si presenta così come il luogo in cui è possibile per l'uomo compiere realmente e concretamente l'esperienza dell'incontro con quel Cristo che è la verità dell'uomo stesso e la vittoria sulla sua solitudine e su tutte le divisioni.
Nell'alveo di questa esperienza di fede si situa, ad esempio, un'altra delle iniziative che in questi anni ha visto la fattiva partecipazione di don Pezzi: la Biblioteca dello Spirito. Creata a Mosca in collaborazione tra Russia Cristiana, Caritas diocesana e Facoltà teologica ortodossa di Minsk, essa è proprio un luogo di incontro tra cattolici e ortodossi per testimoniare questa luce offerta per tutto il mondo. Non a caso sempre nel convegno di tre anni fa, ad un certo punto don Pezzi citò, con un senso di profonda condivisione, un giovane sacerdote ortodosso che aveva detto: «La cosa principale è che in chiesa si radunano persone che non si limitano semplicemente a credere in un Dio che vive chissà dove, ma che credono che la Chiesa è stata fondata da Dio. Non è stato l'uomo a inventarsela perché ne aveva bisogno, ma è stato Dio a crearla per l'uomo». Commentando queste affermazioni, il nuovo vescovo di Mosca concludeva: «Ciò di cui c'è più bisogno non è tanto riproporre analiticamente le questioni, quanto mostrare dentro il contesto odierno come Cristo è presente e risponde all'uomo di oggi, e far sì che quest'ultimo verifichi la validità della risposta».

**docente di Lingua e letteratura russa all'Università Cattolica di Brescia

© Copyright Tempi num.40 del 04/10/2007

1 commento:

Blog creator ha detto...

Approfitto per ricordare che Domenica 7 ottobre 27^ del Tempo Ordinario è la Memoria Liturgica della Madonna del Santo Rosario.

La Vergine Patrona della cristianità nella battaglia di Lepanto.
Mi permetto aggiungere questo breve testo.

Lorenzo CAPPELLETTI
Storia della festa del Rosario
tratto da 30 Giorni, anno XVIII, maggio 2000, p. 52.

Dopo la vittoria di Lepanto, avvenuta proprio nella prima domenica di ottobre (7 ottobre 1571) che già da tempo costituiva il giorno di raduno e di preghiera delle confraternite del Rosario, san Pio V che, dicono le cronache, era già sicuro della vittoria prima ancora di averne ricevuto notizia, decretò che ogni prima domenica di ottobre si sarebbe dovuta commemorare con rito semplice Nostra Signora della Vittoria. Da Gregorio XIII, nel 1573, fu elevata a solennità di rito doppio, ma sotto il titolo della Beata Maria Vergine del Rosario. Inizialmente limitata all'Ordine domenicano e a quelle chiese e oratori dove era istituita una confraternita del Rosario, fu estesa a poco a poco a intere diocesi in occasione del centenario di Lepanto e dopo la liberazione di Vienna dai Turchi nel 1683. Sarà resa solennità di rito doppio maggiore per tutta la Chiesa da Clemente XI solo dopo un'altra grande vittoria contro i Turchi, a Peterwaradin in Croazia, nell'agosto 1716.
La festa, fino allora mobile, fu assegnata alla data fissa del 7 ottobre da san Pio X. Attualmente il 7 ottobre si celebra una memoria semplice intitolata alla Beata Maria Vergine del Rosario.
Nelle litanie lauretane Maria è invocata come «Auxilium christianorum» a partire dalla vittoria di Lepanto. E «Regina sacratissimi rosarii» solo dall'epoca di Leone XIII in forza della sua lettera apostolica «Salutaris ille» della vigilia di Natale del 1883.
Vale forse la pena rilevare che l'originaria intitolazione della festa alla Regina delle Vittorie si è conservata per molti secoli in liturgie e località particolari quasi clandestinamente. Ed è stata rimessa in auge almeno in Italia dal beato Bartolo Longo, il fondatore laico del santuario di Pompei.