25 ottobre 2007

Lettera dei 138 leader islamici al Papa: dura polemica fra Carlo Panella e Giuliano Ferrara


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Per giorni mi sono chiesto con stupore la ragione di tanto malriposto entusiasmo del Foglio per l’ambiguo appello dei 138 ulema musulmani ai cristiani. Un appello venato di antisemitismo, pieno di ipocrisia, che fa finta che la pace dipenda da tensioni tra cristiani e musulmani, mentre invece è messa in pericolo dalla Fitna, da una lacerazione tutta interna al mondo musulmano. Una classica non notizia, perché di iniziative simili, a decine – anche molto migliori – è pieno il dialogo interreligioso (basti ricordare l’eccellente seminario della Fondazione Agnelli del 2002). Un appello che potrebbe benissimo essere firmato anche da Tariq Ramadan e persino da Yusuf al Qaradawi, così come è firmato dal loro sodale Ahmed al Kubaisi (ambiguo leader degli ulema iracheni, coinvolto in tutte le mediazioni per i rapimenti, gran dignitario di Saddam Hussein, sfrenatamente antisemita). Infine ho capito la radice dell’equivoco: qualcuno, al Foglio, non lo sa leggere, di sicuro non lo sa leggere Giulio Meotti, come ben risulta dalla sua risposta a Magdi Allam.
Non solo, incredibilmente, qualcuno al Foglio, di sicuro Giulio Meotti, considera che sia tollerabile la pregiudiziale antisemita e antiebraica palese in quel testo – subito da me sottolineata – e pensa che nonostante essa informi tutto l’appello, la si possa considerare un elemento secondario.
E’ questa una discriminante – come si intuisce – non piccola e che
avanzo con forza, pienamente consapevole del fatto che concerne la più ampia questione del rapporto tra chiesa, chiese, antisemitismo e dialogo con l’islam. Come ho già rilevato, questo appello espulge gli ebrei quali destinatari e si rivolge solo e unicamente ai cristiani. Una forzatura evidente e offensiva del testo coranico
e della stessa teologia islamica che, in tutte le sue versioni ribadisce l’unitarietà assoluta dei “popoli del Libro” esattamente come della Rivelazione.
Una inammissibile scelta discriminatoria, una mano tesa ai cristiani e contemporaneamente una sferzata sul viso agli ebrei, dalle evidenti e misere motivazioni politiche, quando non antisemite. So bene che la chiesa cattolica, in questi ultimi quarant’anni, non ha considerato ostacolo sviluppare il dialogo interreligioso con ulema musulmani violentemente antisemiti, oltre che antisionisti, non considerando questo un ostacolo discriminante. Ma credevo che quella fase fosse superata, che fosse relegata al lungo periodo di influsso sul tema delle opere di Hans Küng, che fosse chiusa, in particolare con il pontificato di Benedetto XVI.
Constato con dolore, invece, che quell’era di tolleranza nei confronti di posizioni islamiche antisemite non è chiusa e con stupefazione registro che si è aperta – credo inconsapevolmente, ma questo non ne attenua la gravità – anche al Foglio. Tutte le interviste ai teologi sull’appello dei 138 a firma di Giulio Meotti – a mia memoria- non avanzano minimamente questo tipo di pregiudiziale o di questione.
Che invece è dirimente, come ben potrebbe comprendere lo stesso Giulio Meotti, quando cita – giustamente – con ammirazione il “grande saggio al Ansari”, ma poi non arriva a chiedersi come mai la firma di al Ansari non compaia tra i 138. La ragione è semplice, tolta la pregiudiziale antiebraica, Hamid al Ansari potrebbe sicuramente firmare quell’appello(tanto è volutamente generico e ambiguo), ma con tutta probabilità molti
dei firmatari ritirerebbero la loro firma perché al Ansari ha fatto proprio della fine della discriminazione antiebraica e della lettura antisemita del Corano la sua coraggiosa bandiera di teologo musulmano e per questo è considerato da molti ulema sull’orlo dell’apostasia.
Ma non c’è solo questo. Dando prova di non conoscere il lessico islamico, il dibattito interreligioso, le decine e decine di documenti similari usciti in questi anni, Giulio Meotti, entusiasta
sostenitore di quest’appello, non si è accorto, ad esempio, che i 138 ulema musulmani, non solo non condannano il Jihad di Hamas in Iraq e in Israele, ma addirittura lo legittimano, inclusi i kamikaze. Pure, nella logica del pensiero islamico contemporaneo, che è tutta fatta di casistica di normativa, il testo è chiarissimo: “Come musulmani, noi diciamo ai cristiani che non siamo contro di loro e che l’islam non è contro di loro – a meno che loro non intraprendano la guerra contro i musulmani a causa della loro religione, li opprimano e li privino delle loro case,
in conformità con il versetto del Sacro Corano”
. Non è possibile non vedere – ma Meotti non vede – che questa relativizzazione, questo “a meno che”, questo rifiuto di impegnarsi con un secco “diciamo ai cristiani che non siamo contro di loro”, punto, ha un rilievo sostanziale. Siccome molti musulmani – compreso il 99 per cento degli ulema firmatari – ritengono che in Iraq, in Afghanistan, in Israele e Palestina i cristiani – e gli ebrei – hanno proprio intrapreso una “guerra contro i musulmani a causa della loro religione li hanno oppressi e privati delle loro case”, il Jihad contro di loro è lecito (posizione espressa sin dal 1920 dal Gran muftì di Gerusalemme e oggi ribadita da Hamas, da Ahmed al Kubaisi e da tutta la Fratellanza musulmana).
Quando Magdi Allam richiama alla condizione preliminare a qualsiasi
dialogo – la difesa assoluta del valore della vita, senza “a meno che” – pone una questione centrale e ineludibile.
Eluderla, tollerare come ininfluenti gli “a meno che” impedisce al dialogo, su tutti i piani, di dispiegarsi su un terreno comune. Quello citato è appunto uno dei tanti esempi di “dissimulazione” di cui è maestro Tariq Ramadan, di cui sono esperti i 138 ulema che ha avvelenato da quarant’anni in qua il dibattito interreligioso.
Si ricordi che la taqyyia, il nicodemismo, il marranesimo, sono leciti nell’islam, come nel cristianesimo e nell’ebraismo, solo e unicamente per salvare la vita del fedele. Oggi invece, e questo testo ne è la prova magistrale, la taqyyia diventa imbroglio e avvelena qualsiasi possibilità seria di dialogo.
Tanto basta per smentire l’affermazione centrale del ragionamento di Giulio Meotti: all’opposto di quanto sostiene, questo appello ha proprio il demerito “di attenuare ogni elemento identitario e conflittuale” impostando così il dialogo su basi assolutamente false, giocando sulle parole e sui versetti e quindi lo rende sterile e impercorribile.
Questa operazione, che ho definito “falso ideologico”, si concretizza proprio nell’appello quando ricerca l’incontro universale tra cristiani e musulmani che tanto entusiasma Meotti. Ma la contraddizione reale, quella che ha portato all’11 settembre,
ai kamikaze, a Hamas e Ahmadinejad, non è tra islam e occidente, tra islam e cristianesimo. Come ben ha spiegato Giorgio Israel è invece tra islam e modernità. Osama bin Laden, come Hassan al Banna, Sayyd Qutb, Ruollah Khomeini, Abu Ala al Mawdudi e sodali hanno aperto una contraddizione abissale dentro l’islam. Il loro nemico principale sono i “falsi musulmani” e cristiani ed ebrei sono combattuti solo in quanto loro alleati (esattamente dentro lo schema medinese del Profeta, che ha per nemici principali gli idolatri della Mecca e per avversari secondari gli ebrei della
Medina, loro alleati).
Ma nell’appello non una riga, non un cenno viene fatto a questa pure evidente lacerazione.
La lettera propone una incredibile e egemonica ricerca di accordo tra cristiani e musulmani, come se i primi avessero mosso guerra ai secondi (anche questa lettura è evidente, ma ignorata da Meotti). L’appello dunque ignora – ma come si fa a non accorgersi
che questo gli toglie ogni valore? – che lo scontro in atto non è quello dello slogan – “fra civiltà” – ma è tutto dentro una interpretazione “reazionaria”, antimoderna sempre più aggressiva
(e antisemita) del testo coranico
.
Tanta tanta buona volontà, dunque, ma poi non una parola, non una, contro l’islam fondamentalista. Tante tante citazioni, dunque (l’unica novità positiva – ma a che punto siamo ridotti! –
è che citano Bibbia e Vangelo e non gli stravolgimenti coranici di Bibbia e Vangelo) ma nessuna contrapposizione all’islam fondamentalista e neanche – come si fa a non accorgersene? – a quello terrorista.
Chiudo con una considerazione ovvia.
E’ fondamentale non “stare sempre in attacco” (ma allora perché tanti entusiasmi per la oltranzista islamofoba Ayaan Hirsi Ali?). E’ fondamentale trovare degli interlocutori, costruire ponti con l’islam, sulla piattaforma di Ratisbona (che è anche un appello all’islam perché ripercorra il sentiero abbandonato che fu segnato da Averroé). Ma non interlocutori che
ti prendono in giro, come in questo caso. Il Foglio chieda a Tariq Ramadan e a Yusuf al Qaradawi se sottoscrivono l’appello. Vedrete che avanzeranno solo richieste di modifiche marginali – solo per marcare un loro apporto originale – ma che non avranno nulla da dire contro l’impianto complessivo del testo. Provate e vedrete.
Carlo Panella

© Copyright Il Foglio, 23 ottobre 2007



Caro Carlo, se fossi supponente come te in questa letterina, e decidessi di ritorcere contro il mittente il suo metodo polemico, liquiderei la faccenda nel modo seguente. “Eccitato islamista dilettante sfoga il proprio senso di colpa per il suo passato khomeinista trasformandosi in professionista dell’anti-islam; prende autolesionisticamente a bersaglio il giornale a cui collabora e che pubblica da anni le sue idee e ricerche (e purtroppo un certo numero di non-notizie da lui proposte, non sempre classiche); gli imputa di essere fuori linea, con cedimenti creduloni all’antisemitismo, per aver pubblicato la lettera dialogante dei 138 saggi musulmani ed averla commentata, oltre che con un pregevole scritto dell’islamista dilettante in questione, anche con qualche opinione di filosofi professionali, gesuiti professionisti di un’islamistica a prova di bomba e altra gente a conoscenza della lingua coranica, cardinali e patriarchi la cui voce era interessante ascoltare almeno quanto quella di C. Panella; spiega ingenuamente la Fitna, il dissidio interno all’islam, con argomenti petroliniani (i fondamentalisti non ce l’hanno con cristiani ed ebrei ma con la modernità, cioè Petrolini a un fischiatore di loggione: “Io nun ce l’ho co’ te, ma co’ quello che te sta vicino e nun te butta de sotto”); si accanisce in modo bisbetico e ridicolo contro il collaboratore più giovane del Foglio, che forse lo fa soffrire perché gli ruba la scena come autore della più lunga, argomentata, seria campagna antifondamentalista che il giornalismo occidentale registri da anni, ma senza infliggere una intera collana editoriale di libri neri ai suoi lettori; risparmia per viltà il direttore del giornale, che ovviamente ha preso da solo la decisione di pubblicare integralmente la lettera e di farla commentare, ciò che ha prodotto una notizia internazionale registrata dalla Reuters e dal vaticanista americano John Allen, affidando poi una garbata e insieme appassionata replica alla civile obiezione di Magdi Allam proprio al reprobo, Giulio Meotti”.
Mancandomi la tua supponenza, e peccando di altro tipo di superbia, il testo tra virgolette è abrogato virtualmente e con simpatia per la tua momentanea ebbrezza, e sostituito da altre brevi considerazioni sulla tua fatwa, che prende di mezzo per “islamofobia” anche l’apostata e testimone occidentale del dissenso islamico Ayaan Hirsi Ali, caduta di stile tariqramadaniana e qaradawesca in una perfetta concorrenza per il premio alla spregevolezza. La tua logica non tiene. Se tutto si risolve in uno scontro tra radicalismo e moderatismo modernista nell’islam, in cui l’occidente è una comparsa nella funzione di alleato dei reprobi, come nello schema meccano da te sempre meccanicamente ricordato, allora niente è più moderno del giurista coranico televisivo Qaradawi e del profeta dell’islam europeo Ramadan, e tutto dovrebbe risolversi nel consolidare l’alleanza precaria con la parte moderata della umma contro i radicali. Ho invece l’impressione che sia vero precisamente il contrario: noi siamo i più cari nemici di bin Laden e di molti altri fondamentalisti in cerca di identità califfale e di molto sangue occidentale, anche perché la modernità siamo noi e i sauditi ne sono soltanto l’opulento riverbero legato allo storico equilibrio del petrolio, e l’islam di palazzo che si compromette con noi e ci è infido alleato entra nella loro linea di tiro e in quella di una umma che tifa per loro contro di noi. I 138 sono in parte gente che tira e in parte gente sotto tiro, nei gruppi affollati c’è sempre quello che fa il furbo, ma il senso della lettera è di cauta apertura mentale e teologica, e hanno ragione quanti sulle nostre colonne hanno astutamente suggerito, e sarebbe una prova dell’otto se non del nove, di far conoscere bene il testo in lingua araba in ogni moschea musulmana del mondo, ciò che naturalmente non avverrà, e non avverrà precisamente perché quella proposta di parola tra noi e voi per l’islam radicalizzato, non solo per le correnti fondamentaliste più strutturate, suona scandalo oggi. Questa è l’importanza politica di quella lettera, per questo l’abbiamo pubblicata e commentata, sottraendo un po’ di spazio alle dichiarazioni in cui Mastella si domanda se faccia schifo insieme alla sua coalizione o debba farsi schifo da solo. Politica: comprendi il significato di questa parola, strettamente intrecciata con cultura e informazione?
Una postilla. Giochicchi anche con un nostro cedimento inconsapevole all’antisemitismo e una scarsa attitudine a comprendere il tema della sacralità della vita. Penso che i lettori del Foglio, anche embrionali, abbiano riso. Giochicchi anche con la propensione al dialogo del Vaticano, imputando al mio ratzingerismo e al ratzingerismo di Ratzinger eresie ireniste alla Hans Küng, un teologo che mi pregio di avere mandato a quel paese in diretta. I lettori se la ridono. Manuele Paleologo se la ride da lassù. Io no. Una parola di più, un bicchierino di più, e ti decapito: tanto non conosci la formula di fede con cui convertirti all’islam in lingua originale all’ultimo istante, per evitare il colpo di scimitarra. Io sì.

Giuliano Ferrara

© Copyright Il Foglio, 23 ottobre 2007

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