29 maggio 2008

L'eugenetica e il pensiero liberale: "Il miraggio della perfezione" (Osservatore Romano)


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L'eugenetica e il pensiero liberale

Il miraggio della perfezione

di Adriano Pessina

La questione della "casualità" dell'origine della vita umana è oggi riproposta dentro una nuova cornice teorica. La cosiddetta "lotteria genetica" che starebbe alla base del nostro venire al mondo, potrebbe essere in gran parte modificata da un progetto tecnologico che disporrebbe dei mezzi - il condizionale è sempre d'obbligo - per "perfezionare" la natura umana, annunciando, per così dire, una nuova stagione dell'evoluzione. Così oggi si presenta, con il richiamo persuasivo alla "perfezione", la questione eugenetica nel contesto del pensiero liberale: non più, quindi, l'imposizione di una selezione della razza, non più una discriminazione dei deboli e dei malati, secondo la triste e tragica pratica che ha condotto, nel Novecento, dal darwinismo sociale alle pratiche di sterminio nazista, ma una consapevole scelta che i genitori dovrebbero fare, ricorrendo alla fecondazione extracorporea, per dotare i propri figli di nuove qualità fisiche e psichiche. Questo argomento, che ormai ricorre in molte pagine della filosofia contemporanea, e che contrappone chi, come il filosofo inglese James Harris, sogna una nuova razza di superuomini, a chi, come il filosofo tedesco Jürgen Habermas, paventa la fine dell'uguaglianza e dell'autonomia degli uomini, ingabbiati nelle decisioni eteronome dei nuovi produttori dell'umano, trova oggi un ulteriore elemento di riflessione nelle pagine di un saggio del filosofo americano Michael J. Sandel, tradotto per i tipi di Vita e Pensiero con il titolo Contro la perfezione. L'etica nell'età dell'ingegneria genetica. I casi concreti descritti da Sandel, tratti dalla cronaca americana, sfociano in un'ipotesi di scuola, cioè in una finzione metodologica, che pone il problema dell'eugenetica come possibilità di perfezionare l'uomo senza dover passare attraverso la selezione e l'uccisione, che egli stesso giudica ingiusta e inaccettabile, degli embrioni e dei feti che portano nel loro corpo il segno dell'umana imperfezione, ma anche, aggiungerei, della loro appartenenza alla nostra concreta condizione umana. Che cosa ci sarebbe di male nel sostituire la lotteria genetica con il progetto biotecnologico? Questa domanda è il senso stesso del titolo originale del saggio, The Case against Perfection, che rende meglio l'idea della contrapposizione tra il modello della casualità dell'origine e quello della programmazione biotecnologica. Inoltre Sandel affronta altri due temi: quello dell'incremento, con mezzi biochimici, delle nostre prestazioni fisiche e psichiche - cioè di quello che chiamiamo doping - e quello della possibilità di usare gli embrioni umani per la ricerca sulle cellule staminali. Tra il "caso" e la "perfezione" indotta biologicamente, che cosa scegliere, e in nome di che cosa? Sandel ritiene che ci si debba astenere da tutto ciò in nome della categoria del "dono", mentre ritiene che si possa accettare l'uso degli embrioni umani per la ricerca sulle cellule staminali in nome del fatto che non si possa stabilire un criterio di demarcazione per il riconoscimento della dignità umana nello sviluppo dell'uomo: ciò che appare chiaramente nell'adulto non sarebbe evidente nell'embrione umano. Sandel ricorre alla nozione di dono per rimarcare una sorta di indisponibilità delle nostre doti naturali ad ogni forma di manipolazione tecnologica: soltanto preservando la categoria del dono - e quindi della casualità - gli uomini potrebbero continuare ad apprezzare le doti naturali di ciascuno, coltivare l'amore incondizionato per i propri figli, sviluppare quel senso della solidarietà che permette di accogliere anche chi è meno dotato. Ovviamente la categoria del dono non va intesa in chiave fatalistica: Sandel non contesta la dimensione terapeutica (cioè correttiva) della medicina, ma la pretesa "perfettiva", che trascende perciò la dimensione della cura e diventa progetto e padronanza della vita. E secondo Sandel questa idea del dono potrebbe essere accolta anche fuori da una prospettiva religiosa ed assunta in chiave puramente laica o, per così dire, mondana. La metafora del dono, per quanto affascinante, non sembra però risolutiva. In primo luogo perché è difficile mantenere la nozione di dono senza pronunciarsi sull'esistenza di chi è il donatore. Perché chiamare dono un semplice fatto, e cioè il possesso di qualità naturali, fisiche o psichiche, più o meno accentuate? In secondo luogo, perché non definire dono anche le qualità progettate dai genitori per i propri figli? Per chi riceve, se vale la nozione di dono, il dono resta tale anche se il donatore è Dio, il caso, la natura, o l'intervento biotecnologico indotto dai genitori. In fondo, l'indisponibilità delle proprie qualità originarie resta tale e quale anche per chi è stato progettato, per così dire, in laboratorio. A ciò si aggiunga che, almeno in linea di principio, non esiste alcuna contraddizione tra il progetto e l'amore incondizionato e accogliente, che potrebbe sussistere anche qualora il figlio fosse frutto di una modifica biotecnologica. Nel testo, tra l'altro, emerge, con discrezione, ma con chiarezza, il fatto che spesso il desiderio del figlio perfetto rischia di essere la copertura delle frustrazioni psicologiche e fisiche di chi è insoddisfatto della propria umanità e cerca un surrogato ai propri insuccessi.
Sandel, purtroppo, sfiora soltanto la questione più radicale, e cioè quella del significato stesso di perfezione. In che modo tutte le possibili modifiche e trasformazioni biochimiche corrispondono al concetto di perfezione? Se si resta sul piano delle biotecnologie non è affatto chiaro in che cosa consista la perfezione dell'uomo e quale sia il termine di un progetto di perfezionamento per un essere contingente e finito come l'uomo stesso, in linea di principio sempre ulteriormente modificabile e trasformabile. Qual è il modello umano in base al quale perfezionare e perfezionarci? Possiamo davvero pensare in termini di perfezione senza rispondere alla domanda "chi è l'uomo?". Come diceva Agostino, noi siamo problema a noi stessi. Inoltre Sandel sembra dimenticare che ricorrere alla provetta per progettare l'umano perfetto significa trasformare l'origine come relazione tra persone che comunicano, anche nella finitezza dei loro corpi, la loro storia, con la procedura impersonale di una tecnica che fa cadere la barriera tra zootecnia e procreazione, segnando irrimediabilmente il senso della convivenza umana. Nell'epilogo, forse per rimarcare l'idea che un contro è essere contro la perfezione e un altro rinunciare al progresso terapeutico, Sandel tenta di coniugare la sua tesi del dono con la difesa della ricerca sulle cellule staminali embrionali - che pure ne comportano la distruzione. Ma l'argomento a cui ricorre non risulta adeguato - mentre son ben descritte le ragioni contro l'uso degli embrioni umani per la ricerca. Egli ricorre alla celebre figura sofistica del sorite (dal greco sòros: cumulo) per affermare che non c'è contraddizione tra il negare che l'embrione umano sia una persona umana con piena dignità e sostenere, nel contempo, che invece l'adulto lo è. Il paradosso del sorite è noto e Sandel lo ricorda così: quando posso stabilire che c'è un mucchio di grano, visto che non bastano uno o due chicchi di grano per fare un mucchio? Quanti ce ne vogliono allora? Il fatto che non esiste un numero arbitrario di chicchi per stabilire quando c'è un mucchio di grano non significa che non esista una differenza tra un chicco e un mucchio, ma basta per dire che il chicco non è un mucchio. Così, secondo Sandel, la "continuità evolutiva dalla blastocisti all'embrione impiantato, al feto, al neonato, non significa che il bambino e la blastocisti siano, moralmente parlando la stessa cosa". Perciò, riassumiamo, secondo Sandel, così come il chicco non è un mucchio di grano, l'embrione umano non è una persona, mentre lo è l'adulto. Ora, al di là di altre considerazioni di contenuto, al celebre filosofo sfugge l'inconsistenza totale dell'analogia a cui ricorre. Nel paradosso del sorite la continuità non è altro che la giustapposizione nello spazio di molti enti - in questo caso dei chicchi di grano - mentre nel caso dell'embrione abbiamo il medesimo ente che si sviluppa nel tempo e nello spazio. Non comprendere la differenza tra lo sviluppo del medesimo organismo e l'accostamento di molti enti significa precludersi la comprensione tra una definizione che riguarda la struttura di un ente - essere persona umana - e la definizione che riguarda l'unità numerica di una pluralità di enti identici - il mucchio di chicchi, o una classe di studenti. Il testo di Sandel resta comunque molto interessante e ricco di spunti, ma conferma il convincimento che se si vuole governare seriamente il nostro accresciuto potere tecnologico dobbiamo osare di più in termini di pensiero e uscire dal piano delle metafore per affrontare in termini razionali le questioni ultime dell'esistenza, anche sfidando il dogmatismo antimetafisico e antireligioso che ci impedisce di cogliere la bellezza della stessa finitezza umana, chiamata a perfezioni che resistono al fascino dell'immediato.

(©L'Osservatore Romano - 29 maggio 2008)

1 commento:

gemma ha detto...

da repubblica.it:

Londra, 12:07
GB: SESSO "SBAGLIATO" COPPIA 60ENNE NON RICONOSCE GEMELLE
Una coppia britannica ha abbandonato in ospedale le due figlie appena nate -una coppia di gemelline, concepite in vitro- perche' i due puntavano ad avere un maschio. La coppia -entambi in eta' avanzata, lei 59 anni, lui 72- aveva concepite le piccole in India grazie alla fecondazione assistita (in Gran Bretagna la procedura e' vietata oltre una certa eta'). Ma quando due settimane fa le due bimbe sono nate, grazie a un parto ceasreo in un reparto del New Cross Hospital, a Wolverthampton, hanno detto candidamente ai medici scandalizzati che il sesso era "sbagliato". Non solo: l'uomo si e' subito premurato di chiedere quando la moglie sara' di nuovo in grado di affrontare un'altra gravidanza, nella speranza di avere quel maschio che assicurebbe la discendenza di famiglia. I due genitori, nati in India, sono cittadini britannici che vivono ina birmingham. In India accade spesso che le femmine siano abbandonate appena nate, ma e' al prima volta che la cosa accade in Gran Bretagna. Dal giorno in cui sono nate, le piccole non hanno ricevuto alcuna visita.

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