7 aprile 2007
Aggiornamento rassegna stampa del 7 aprile 2007
ASCOLTI TV: RAI, OLTRE 5 MILIONI PER VIA CRUCIS,CHE VINCE LA SERATA TELEVISIVA
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BENEDETTO XVI: IL NOSTRO DIO HA UN CUORE DI CARNE con tutti i link ivi contenuti
BENEDETTO XVI COSÌ TORNA IL TIMORE DI DIO
Gianni Baget Bozzo
Da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI è passato non qualche anno, ma come un nuovo tempo della Chiesa nel mondo. Il Papa polacco viveva ancora nella visione del mondo del Concilio Vaticano II, cioè un concetto progressista della storia umana: il moderno trionfante nella democrazia e nel comunismo, l’uomo che entrava in possesso della sua storia. E la Chiesa non poteva che conciliarsi in quest’umanità maggiorenne «adulta», che prendeva in mano la realtà della natura e conduceva l’uomo a una signoria delle cose della natura e della società in una figura che aveva il significato di compimento escatologico. I «segni dei tempi» furono una categoria con cui il Vaticano II volle interpretare la società a lui contemporanea quasi come un evento degli ultimi tempi, applicando l’espressione del Vangelo «segni dei tempi», che ha un chiaro significato di avvento del regno e di compimento escatologico, alla dinamica progressiva della storia contemporanea.
Giovanni Paolo II mutò lentamente registro sul piano delle indicazioni spirituali, ma la sua apertura alle nazioni e ai mezzi di comunicazione sociale, la sua figura di star mondiale della televisione, espresse ancora una volta il messaggio della fiducia nei tempi espresso nel suo primo ammonimento papale: «Non abbiate paura». Spinse l’ecumenismo sino a chiedere alle Chiese separate dalla Chiesa cattolica le condizioni possibili per una loro accettazione di una qualche dimensione del primato romano; promosse, sino ai limiti dell’ortodossia, il dialogo con le altre religioni, sino agli incontri di Assisi con la preghiera comune, nel comune luogo ma in distinte comunità, per la pace nel mondo. In un certo modo bilanciò con la sua insistenza sulla vita e sul sesso le indicazioni fortemente conciliari che egli dava in altre direzioni. E si può dire che la parte frenante contro il senso del progressismo fu dovuta soprattutto all’azione del cardinale Ratzinger come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Con Benedetto XVI l’eone conciliare e postconciliare, il linguaggio escatologico dei «segni dei tempi» applicato alla civiltà moderna sparisce del tutto: e le parole del Papa ricordano più la stagione della Chiesa dei Pii e l’ultima figura di essa, Pio XII. La Chiesa non è più per Benedetto il sacramento della storia come appariva nell’eone conciliare e postconciliare. Ma sta di fronte alla storia come unica portatrice della grazia e della libertà del regno di Dio che opera e conclude la storia, ma è altro dalla vicenda dei poteri mondani e delle loro culture. Ratzinger non ha cercato i segni del regno nel tempo storico come codificazione di esso ma ha visto i messaggi storici del tempo come espressione della crisi del mondo, del pericolo che incombe sopra di esso. Papa Benedetto non dice «non abbiate paura», dice piuttosto «abbiate timore». Timore di Dio. Egli così può reggere efficacemente e laicamente la storia contemporanea perché non la ritiene compenetrata di una densità escatologica, non la vede come sacramento del regno. E la coscienza degli uomini manda segni del timore escatologico. Il riscaldamento del pianeta terra fa sì che le più raffinate analisi mondiali, espresse dalle Nazioni Unite, prevedano lo sconvolgimento della geografia e della storia del pianeta nei prossimi cent’anni, mentre le migrazioni dal Sud al Nord del mondo pongono in dubbio la permanenza delle nazioni europee. E inoltre l’Islam si addensa ancora una volta come sfida alla Cristianità sul piano della concezione della vita e della morte: una sfida politica e civile, giocata sul sentimento dell’eternità e della sorte beata dei combattenti per la propria fede.
Ratzinger è un buon profeta, se profeta vuol dire leggere il timore di Dio negli eventi e non le «magnifiche sorti e progressive». Un criterio che ci viene dalla Bibbia ebraica è che non si deve credere ai profeti che annunciano vittorie mentre si deve credere a quelli che annunciano il giudizio divino sulla storia. E incitano dunque al timor di Dio. Forse per questo, Papa Benedetto ha più uditori che Giovanni Paolo II e soprattutto li ha in modo diverso. Da lui non aspettano la speranza della storia, ma ascoltano il linguaggio del timore di Dio.
La Stampa, 7 aprile 2007
La Via Crucis del Papa dedicata alle donne
«Le madri coraggio non abbandonarono Gesù. Il nostro Dio non è lontano, ha un cuore di carne»
ALCESTE SANTINI
Città del Vaticano. Nella Via Crucis di ieri sera al Colosseo - guidata da Benedetto XVI che ha portato la croce alla prima e all'ultima stazione mentre nelle altre si sono alternati Ruini e giovani del Congo, Angola, Corea e Cile - è prevalso il racconto dell'evangelista Luca perché, secondo il biblista Gianfranco Ravasi che ha scritto i testi, è il più vicino ai fatti scritti nel Vangelo. Ma questa impostazione ha confermato pure che la ricerca sul «Gesù storico», rispetto a quello della fede e del dogma, rimane aperta, come stanno dimostrando molti saggi e film ispirati dall'esigenza di ricostruire la vita del Cristo vicina alla gente comune. Infatti, delle 14 stazioni solo l’ultima è rimasta immutata. Mentre nella prima stazione che rappresenta «Gesù condannato a morte», ha presentato «Gesù nell'orto degli ulivi» per sottolineare la notte di sofferenza e di preghiera vissuta con i suoi discepoli. C'è, quindi, uno sviluppo logico oltre che storico per cui alla seconda stazione è stato presentato «Gesù tradito da Giuda, ed è arrestato», al posto del «Gesù processato e condannato dal Sinedrio». Abolita anche la scena della Veronica e sostituita da «Gesù caricato della croce». Nella quinta stazione «Gesù giudicato da Pilato» al posto del Cireneo che lo aiuta e spostato più avanti, per far risaltare l'ignavia del governatore romano. Quattordici soste, presentate come altrettante icone dove la bestialità si contende con la misericordia con chiaro riferimento ai drammi del nostro tempo, consentendo a Benedetto XVI, una volta giunto sulla collina del Palatino di tornare a riflettere sulla figura di Gesù che, in quanto portatore di «amore», ha potuto condannare i mali che tormentano oggi i popoli. Papa Ratzinger ha detto che, in questa Via Crucis riviviamo non solo «la Passione di Gesù ma ci facciamo carico di tutti i sofferenti del mondo». Ed è questa «la parte centrale della preghiera della Via Crucis che ci spinge ad aprire i nostri cuori». Dopo aver ricordato che i Padri della Chiesa hanno considerato come «il più grande peccato del mondo pagano la loro insensibilità e la durezza del cuore», ha citato il profeta Ezechiele: «vi toglierò il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne». E ha aggiunto che «convertirsi a Cristo, farsi cristiano voleva dire ricevere un cuore di carne, sensibile per la passione e la sofferenza degli altri». Ecco perché c'è da chiarire che «il nostro Dio non è lontano, intoccabile nella sua beatitudine, ma ha un cuore di carne per poter soffrire con noi. Si è fatto uomo per darci un cuore di carne e risvegliare in noi l'amore per i sofferenti». Toccante è stata, poi, la riflessione fatta alla nona stazione dove «Gesù incontra le donne di Gerusalemme» perché hanno permesso al Papa di valorizzarle, attualizzandone il significato, condannando «le tante donne offese, umiliate e violentate, le donne ebree e palestinesi e quelle di tutte le terre in guerra, le vedove e le anziane dimenticate dai loro figli, mentre esse ci insegnano la bellezza dei sentimenti». Lo stesso tema era stato trattato nel pomeriggio nella Basilica di San Pietro, dove il Papa si era prostrato davanti all’altare durante il rito dedicato alla Passione, dal predicatore del Papa, padre Raniero Cantalamessa, che si è soffermato sulle «donne coraggiose e sapienti che sono andate dietro a Gesù sulla via dolorosa». Esaltate le le «pie donne» che accompagnarono Gesù sulla croce - «madri coraggio» ante litteram, «le uniche che non si sono scandalizzate di lui», un condannato a morte rifiutato dai suoi stessi discepoli, e «le prime a vederlo risorto» - ma criticando poi gli eccessi del femminismo moderno. Una grande folla ha seguito la Via Crucis, diffusa in mondovisione da 67 tv e radio di 41 Paesi. Si è voluto far risaltare, riproponendo il Vangelo secondo Luca, che «la croce e il sepolcro non sono stati l'estuario ultimo» di Gesù, «bensì lo è stata la luce della sua Risurrezione e della sua gloria». Una storia avvenuta tra il 30 e il 33 della nostra era che consente, a credenti e non credenti, di riflettere sui vari Golgota e le piaghe sociali della nostra epoca nella speranza che un sussulto delle coscienze spinga i popoli a «rispettarsi e ad amarsi». Temi che Benedetto XVI riprenderà domani nel suo messaggio pasquale.
Il Mattino, 7 aprile 2007
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