6 aprile 2007
Aggiornamento rassegna stampa del 6 aprile 2007
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Rassegna stampa del 6 aprile 2007
Rassegna stampa del 6 aprile su "Gesu' di Nazaret"
L’ultima cena senza agnello, il Papa risolve il giallo ed esorta: via la sporcizia dalla nostra vita
CITTA’ DEL VATICANO - Papa Ratzinger vuole mettere la parola fine alla disputa che divide gli esegeti sulla datazione dell’Ultima Cena. Disputa alimentata da una «apparente contraddizione» tra il Vangelo di Giovanni e i sinottici. Se Marco, Matteo e Luca informano che Gesù prima della sua cattura aveva già celebrato con gli apostoli la Cena, lasciando intendere che Cristo fu preso, processato e crocifisso nel giorno della Pasqua ebraica, Giovanni appare discorde e precisa che la mattina in cui Pilato giudicò Gesù gli ebrei non avevano ancora mangiato la Pasqua. «La scoperta degli scritti di Qumran ci ha condotto ad una possibile soluzione convincente che, pur non essendo ancora accettata da tutti, possiede tuttavia un alto grado di probabilità. Siamo ora in grado di dire che quanto Giovanni ha riferito è storicamente preciso» ha detto il Papa teologo nell’omelia pronunciata nella basilica di San Giovanni in Laterano durante la Messa in Cena Domini dove ha preso il via il cosiddetto Triduo Pasquale, il culmine di tutto l’anno liturgico in cui si commemorano, da oggi fino a domenica, passione, morte e resurrezione di Cristo. Il Papa a ricordo del suo mandato a servire ha lavato, come è tradizione, i piedi a dodici sacerdoti poi, parlando della Pasqua ebraica, è entrato a gamba tesa nella discussione esegetica avvalorando di fatto la tesi di Annie Joubert, la grande specialista francese che nel 1953 risolse il busillis della datazione sostenendo (tra non poche polemiche) che i fatti avvennero non tanto seguendo il calendario lunare ma quello degli esseni. «Gesù ha celebrato la Pasqua coi suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima, l’ha celebrata senza agnello come la comunità di Qumran che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio. Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello» perché, ha spiegato Ratzinger, al posto dell’agnello «ha donato se stesso». In mattinata Benedetto XVI è stato protagonista di un altro rito di tradizione pasquale. Alla messa crismale ha parlato della cecità che alberga nel cuore dell’uomo. «Senza l’amore la persona è buia dentro» ed è proprio questo amore, ha aggiunto, che «può rendere candide le nostre vesti sporche». Stasera Benedetto XVI sarà al Colosseo per la pia pratica della Via Crucis. Quest’anno le meditazioni delle stazioni le ha volute affidare alla sapienza biblica di monsignor Gianfranco Ravasi, prefetto della biblioteca ambrosiana.
F. Gia.
Il Messaggero, 6 aprile
Ieri la lavanda dei piedi a S. Giovanni
di MARINO COLLACCIANI
IL PAPA riannoda il filo del discorso aperto due anni anni fa e ieri, nell’immediata vigilia del Venerdì Santo, è tornato ad ammonire: la prima cosa da imparare è amare e servire, per vincere la «sporcizia della propria vita» e imitare veramente Gesù. E questo vale soprattutto per i sacerdoti. È la riflessione del Papa, che si fa messaggio concreto quando Benedetto XVI, ripetendo il gesto di Gesù nell'Ultima Cena, lava i piedi a dodici uomini, in San Giovanni in Laterano, per la messa «in Coena Domini» nella quale la Chiesa ricorda l'ultima cena di Gesù con i discepoli, a Gerusalemme. Un Giovedì Santo cominciato a San Pietro: nel corso della Messa Crismale delle 9,30, Papa Ratzinger aveva ricordato che senza amore non si entra nel regno dei cieli. Gli abiti del sacerdote, poi, «sono una profonda espressione simbolica di ciò che il sacerdozio significa», del dover «parlare e agire in persona Christi». Ma, ha osservato Benedetto XVI, proprio celebrando «ci accorgiamo tutti quanto siamo lontani da lui, quanta sporcizia esiste nella nostra vita». Davanti al Papa, sia nella messa del mattino sia in quella del pomeriggio, era presente quasi tutto il collegio cardinalizio e una miriade di vescovi e sacerdoti: è ai vertici della Chiesa, dunque, che Papa Ratzinger ricorda il comandamento dell'amore e i rischi della caduta. È una meditazione forte, anche se non ha i toni di severità di quando, ancora cardinale, disse durante le meditazioni della via crucis del 2005, alla fine del pontificato di Wojtyla. «Quanta sporcizia - disse - c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui. Quanta superbia, quanta autosufficienza». La durezza di quelle parole fece il paio in quelle settimane con la condanna della «dittatura del relativismo» che Ratzinger formulò nella «missa pro eligendo pontifice» all'apertura del conclave. All’epoca apparve ad alcuni troppo critica la decisione con la quale stigmatizzò le «correnti ideologiche» che hanno agitato «la piccola barca dei cristiani»: «marxismo, liberalismo, libertinismo, collettivismo, individualismo radicale, vago misticismo religioso, agnosticismo, sincretismo...»: Ad altri la pronuncia indicò che il cardinale bavarese non faceva sconti al proprio rigore neppure per conquistarsi benevolenza: si presentava con la propria identità chiara. E forse questa franchezza spinse molti, il giorno successivo, ad eleggerlo Papa. Per far rivivere anche drammaticamente l'amore di Gesù per i discepoli e invitare allo spirito di servizio, Benedetto XVI, nella cattedrale di Roma gremita di fedeli, ecclesiastici, membri del corpo diplomatico ha, dunque, ripetuto la lavanda dei piedi a 12 uomini in rappresentanza dei gruppi laici della diocesi di Roma. Durante la colletta della messa di ieri sera, detta «In Coena Domini» sono stati raccolti fondi a sostegno del dispensario medico di Baidoa, in Somalia. Nell'omelia papa Ratzinger - che ha ricordato come quella che la Chiesa celebra domanica per la resurrezione di Cristo era «una festa di primavera dei nomadi» - ha confrontato la cena pasquale del mondo ebraico con quella che è diventata la messa del giovedì santo per i cristiani. Ha anche ricordato come nel vangelo di Giovanni la datazione dell'ultima cena differisca da quella degli altri vangeli, i cosiddetti sinottici: secondo Giovanni, Gesù morì in croce il giorno in cui venivano immolati gli agnelli pasquali e quindi non potè personalmente celebrare la cena pasquale, secondo i sinottici invece la cena di Gesù fu una cena pasquale. Ebbene, il Papa suggerisce una soluzione a questa difformità, «una possibile soluzione convincente che, pur non essendo ancora accettata da tutti, possiede tuttavia un alto grado di probabilità»: il racconto di Giovanni è «storicamente preciso», Gesù è morto nell'ora dell'immolazione degli agnelli, ma ha ha anche celebrato una cena pasquale, perché «probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima» e senza agnello: «in luogo dell'agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il suo sangue».
Il Tempo, 6 aprile 2007
Al Colosseo la tradizionale Via Crucis
Il Pontefice la guiderà oggi a partire dalle 21,15 davanti a 67 televisioni di 47 Paesi
IL TRIDUO pasquale ha avuto inizio ieri con la Santa Messa nella Cena del Signore celebrata dal Papa nella Basilica di San Giovanni in Laterano, a Roma: tre giorni che la Chiesa cattolica considera «il culmine di tutto l'anno liturgico» poiché commemorano la morte e risurrezione di Cristo. Con la celebrazione eucaristica di ieri pomeriggio Benedetto XVI ha fatto memoria dell'ultima cena di Gesù con i suoi discepoli. Oggi alle ore 17 il Papa presiderà la celebrazione della Passione del Signore nella Cappella Vaticana alle ore 17 alle 21,15 guiderà la tradizioale Via Crucis al Colosseo. Quindi, domani, a partire dalle 22, il Pontefice darà inizio alla tradizionale veglia: è questa la seconda tappa del Triduo pasquale e segna il momento in cui i cattolici restano in attesa della resurrezione di Gesù. Domenica, infine, si annuncerà la presenza del risorto. La mattina, sempre nella basilica vaticana, Benedetto XVI celebrerà la Santa Messa (10,30) e impartirà la benedizione «Urbi et Orbi» (alla città e al mondo). Subito dopo, Ratzinger si trasferirà per una settimana di riposo nella residenza di Castel Gandolfo. Sul piano mediatico c’è da dire che saranno almeno 108 le reti televisive di 67 Paesi si collegheranno via-satellite per il messaggio pasquale di Benedetto XVI e per la benedizione «Urbi et Orbi»ì di domenica prossima alle 12. L'evento sarà preceduto dalla messa di Pasqua che il Pontefice presiederà nella basilica di San Pietro a partire dalle 10,30 e che sarà anch'essa trasmessa a un’audience globale. Lo ha reso noto il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali. Un totale di 67 televisioni di 41 paesi trasmetterà oggi anche la Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo, guidata da Benedetto XVI (inizio ore 21,15). I tradizionali collegamenti di Natale e Pasqua, trasmessi in tutto il pianeta in Mondovisione, sono resi liberamente disponibili attraverso una rete di satelliti dai quali i network tv rilanciano gli eventi al pubblico locale e nazionale: i costi delle tariffe sono coperti da un fondo dei «Cavalieri di Colombo», associazione benefica con membri in Canada, Stati Uniti, Messico e Filippine. Gli eventi televisivi della Settimana Santa in Vaticano sono una coproduzione del Centro Televisivo Vaticano (Ctv) e della Rai. Il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali offre un commento in cinque lingue, tra cui quello in inglese fornito dal presidente dello stesso dicastero vaticano, l'arcivescovo John P. Foley. Mar. Coll.
Il Tempo, 6 aprile 2007
VERSO LA PASQUA
Colosseo, una «Via Crucis» nella luce della Scrittura
Da Roma Mimmo Muolo
Un viaggio nel dolore, nella solitudine, nella crudeltà, nel male e nella morte». Ma anche e soprattutto «un percorso nella fede, nella speranza e nell'amore, perché il sepolcro dell'ultima tappa del nostro cammino non rimarrà sigillato per sempre». Così nella preghiera iniziale viene riassunto il senso della Via Crucis che questa sera il Papa presiederà al Colosseo, le cui meditazioni sono state scritte da monsignor Gianfranco Ravasi. Il noto biblista, prefetto della Biblioteca-Pinacoteca Ambrosiana di Milano, conduce in effetti per mano i fedeli lungo la via dolorosa, attualizzandone i diversi momenti e illuminando con profonde riflessioni gli aspetti della vita di tutti i giorni. Così, a leggere le sue parole, sempre perfettamente aderenti al testo evangelico, si ha quasi l'impressione di essere direttamente presenti e personalmente coinvolti in quegli eventi svoltisi «in una tarda mattinata primaverile di un anno tra il 30 e il 33 della nostra era». Monsignor Ravasi, seguendo la Passione secondo Luca, non utilizza il percorso tradizionale della Via Crucis. Non ci sono, ad esempio, le tre cadute di Gesù (anche se alla settima stazione - Gesù è caricato della Croce - l'autore ricorda che la «tradizione ha voluto simbolicamente costellare quell'itinerario di tre cadute). Tuttavia non è la prima che una simile scansione delle tappe della via dolorosa viene utilizzata nella Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo (successe ad esempio anche nel 1991). E alla fine l'effetto d'insieme fine risulta ugualmente efficace.
Si parte con la preghiera nel Getsemani. Nel Cristo «in lotta con l'angoscia - scrive l'autore delle meditazioni - ritroviamo noi stessi quando attraversiamo la notte del dolore lacerante, della solitudine degli amici, del silenzio di Dio». Si passa quindi al tradimento di Giuda «simbolo nei secoli di tutte le infedeltà, di tutte le apostasie, di tutti gli inganni». Gesù sperimenta così un'altra solitudine, che è quella di tante persone che «sono sole i n una stanza, davanti a una parete spoglia o a un telefono muto, dimenticati da tutti perché vecchi, malati, stranieri o estranei».
La scena si anima nella terza stazione, quella giudizio davanti al Sinedrio. Un giudizio dall'esito scontato, annota Ravasi, mentre di fuori sta per consumarsi un altro dramma, quello del triplice rinnegamento di Pietro (quarta stazione) Anche qui siamo di fronte a un tradimento, ma nella vicenda del principe degli apostoli, «si condensano tante storie di infedeltà e di conversione, di debolezza e di liberazione». Il biblista commenta con le parole di un convertito, François-René de Chateaubriand: «Ho pianto e ho creduto» (e non sarà questa l'unica citazione letteraria: da Charles Péguy a Marie Noel) e ammonisce i fedeli: «Anche a noi che ogni giorno consumiamo piccoli tradimenti, come per l'apostolo è aperta la strada dell'incontro con lo sguardo di Cristo». La stazione di Pilato (la quinta) fa dire a Ravasi: «Egli incarna un atteggiamento che sembra dominare nei nostri giorni, quello dell'indifferenza, del disinteresse, della convenienza personale». E la sua espressione («che cos'è la verità?») è l'eterna domanda tipica di ogni scetticismo e di ogni relativismo etico».
La flagellazione (sesta stazione) è l'occasione per riflettere sul dramma della tortura in tante carceri del mondo. Il Gesù caricato della croce (settima stazione) viene collegato all'immagine di «tante donne e uomini prostrati nella miseria o nella fame: bambini gracili, vecchi sfiniti, poveri debilitati». L'aiuto del Cireneo (ottava stazione) è «simbolo di tutti gli atti di solidarietà per i sofferenti, gli oppressi e gli affaticati», ma anche dell'«agguato» che Dio compie «sui sentieri della vita quotidiana», bussando alle nostre parte quando meno ce lo aspettiamo. Il pianto delle donne di Gerusalemme (nona stazione) diventa l'occasione per un inno al dolore delle tante «donne umiliate e violentate, quelle emarginate e sottoposte a pratiche tribali indegne, le don ne in crisi e sole di fronte alla loro maternità». E anche la crocifissione (decima stazione) mostra in controluce le contraddizioni della nostra epoca. «Sotto quel corpo agonizzante - annota Ravasi - sfila la folla che vuole «vedere» uno spettacolo macabro. È il ritratto della superficialità, della curiosità banale, della ricerca di emozioni forti. Un ritratto nel quale si può identificare anche una società come la nostra che sceglie la provocazione e l'eccesso quasi come una droga per eccitare un'anima ormai intorpidita, un cuore insensibile, una mente offuscata». La croce campeggia anche nelle meditazioni delle successiva tre stazioni: il buon ladrone; la madre e il discepolo; Gesù muore sulla croce. Da questa tredicesima stazione il prefetto della Biblioteca Ambrosiana coglie lo spunto per ribadire l'importanza del Crocifisso negli ambienti della vita di ogni giorno. Il Cristo che muore sul Golgota, ricorda, «non è più il Dio greco-romano impassibile e remoto». In Gesù crocifisso «si rivela ora il Dio appassionato, innamorato delle sue creature fino al punto di imprigionarsi liberamente nella loro frontiera di dolore e di morte. È per questo che il Crocifisso è un segno umano universale della solitudine della morte e anche dell'ingiustizia e del male. Ma è anche un segno divino universale di speranza per le attese di ogni centurione, cioè di ogni persona inquieta e in ricerca». Anche nell'ultima stazione, la deposizione, la luce di questa speranza è più forte del buio della morte. Perché già si pregusta la risurrezione.
Avvenire, 6 aprile 2007
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