13 aprile 2007
Che cosa vi avevo detto? Rassegna stampa del 13 aprile 2007
Cari amici, penso che ormai io debba indossare costantemente il cappello da maga maghella.
O forse no? Eh si',avete ragione...non occorre essere una profetessa per prevedere i titoli dei giornali del giorno successivo su una determinata notizia.
La rinuncia del nunzio apostolico in Israele a partecipare alla commemorazione dell'Olocausto occupa le prime pagine di tutti i giornali ed i titoli non si discostano da quelli immaginati ieri sera.
Provare per credere:
La decisione del nunzio apostolico in Israele e i titoli dei giornali di domani
Qualcuno tenta di dare la "colpa" direttamente a Papa Benedetto per la defezione del nunzio. Non ci sono prove che sia cosi', ma, io me lo auguro perche' sarebbe la prima volta che uno dei successori di Pio XII prende una posizione cosi' netta a difesa della dignita' di Papa Pacelli! Il dialogo si fa su posizioni di parita' e non nascondendosi dietro ad un dito in nome del quieto vivere.
E' troppo comodo che, seduti sulla comoda poltrona del 2007, ci si permetta di giudicare Pio XII o, addirittura, si pretendano, ancora, le scuse della Chiesa.
Ben venga un dialogo onesto e sincero fra Vaticano e Stato ebraico.
Piu' tardi verra' pubblicato un editoriale di Repubblica. Avverto fin d'ora che si tratta di un articolo gravemente offensivo nei confronti del Papa, ma e' necessario leggerlo per farsi un'idea del clima in cui viviamo.
Raffaella
Vedi anche:
Come screditare un Papa per decenni...
La didascalia
Questo è il testo della didascalia sotto la foto di Pio XII allo Yad Vashem.
«La reazione di Pio XII all'uccisione degli ebrei durante l'Olocausto è una questione controversa. Nel 1933, quando era Segretario di Stato vaticano, si attivò per ottenere un Concordato con il regime tedesco per preservare i diritti della Chiesa in Germania, anche se ciò significò riconoscere il regime razzista nazista.
Quando fu eletto Papa nel 1939, accantonò una lettera contro il razzismo e l'antisemitismo preparata dal suo predecessore. Anche quando notizie sull'uccisione degli ebrei raggiunsero il Vaticano, il Papa non protestò né verbalmente né per iscritto. Nel dicembre 1942, si astenne dal firmare la dichiarazione degli Alleati che condannava lo sterminio degli ebrei. Quando ebrei furono deportati da Roma ad Auschwitz, il Papa non intervenne. Il Papa mantenne una posizione neutrale per tutta la guerra, con l'eccezione degli appelli ai governanti di Ungheria e Slovacchia verso la fine. Il suo silenzio e la mancanza di linee guida costrinsero il clero d'Europa a decidere per proprio conto come reagire».
Corriere della sera, 13 aprile 2007
Shoah, Vaticano e Israele divisi su Pio XII
Il nunzio diserta il museo dell'Olocausto: «Offeso dal testo sotto la foto di papa Pacelli»
Davide Frattini
GERUSALEMME — Una didascalia sotto la foto di Pio XII. Definisce «una questione controversa» la reazione del Papa al massacro degli ebrei durante l'Olocausto. Una didascalia sotto una foto che ha spinto monsignor Antonio Franco, nunzio apostolico in Israele, a scrivere allo Yad Vashem per annunciare di non voler partecipare domenica alla cerimonia per la commemorazione della Shoah. «Mi fa male andare al museo dell'Olocausto — spiega l'inviato del Vaticano — e vedere Pio XII così presentato. Il Pontefice non può essere messo in mezzo a uomini che dovrebbero vergognarsi per quanto compiuto contro gli ebrei. Forse si potrebbe togliere il ritratto o cambiare quel testo».
La foto di Pio XII è esposta nel nuovo museo a Yad Vashem, inaugurato nel 2005.
Una decina di righe racconta che «eletto nel 1939, il Papa mise da parte una lettera contro l'antisemitismo e il razzismo preparata dal suo predecessore. Anche quando i resoconti sulle stragi degli ebrei raggiunsero il Vaticano, non reagì con proteste scritte o verbali. Nel 1942, non si associò alla condanna espressa dagli Alleati per l'uccisione degli ebrei. Quando vennero deportati da Roma ad Auschwitz, Pio XII non intervenne». Gli studiosi del memoriale concludono: «Il suo silenzio e l'assenza di direttive costrinsero i sacerdoti in Europa a decidere personalmente come reagire».
Il Nunzio è «sorpreso per come una lettera privata sia stata pubblicizzata» (il messaggio è stato rivelato dal sito
Ynet). Ripete che, nel contesto in cui è stata messa, la foto di Pio XII «offende la Chiesa cattolica, con tutto quello che è stato fatto per gli ebrei». «Non andare alla cerimonia è una rinuncia dolorosa. La mia assenza non significa mancanza di rispetto per il ricordo e per le vittime di questa tragedia. La mia lettera, e ne avevamo inviata una simile già lo scorso anno, chiedeva un'attenzione al problema. Nella risposta, lo Yad Vashem sostiene che non si può cambiare la verità storica. Ma ai fatti viene data un'interpretazione contraria a molte altre verità storiche».
Dal museo dell'Olocausto fanno notare che «alla cerimonia partecipano tutti i rappresentanti stranieri ed è la prima volta che un inviato decide di boicottarla». «Siamo sconcertati e delusi dalla scelta di non rispettare la memoria dell'Olocausto — scrive la portavoce Iris Rosenberg, nella replica a monsignor Franco —. Questo contraddice il discorso del Papa, durante la sua visita (Giovanni Paolo II è andato al museo nel marzo del 2000, ndr). Ci sembra inconcepibile usare pressioni diplomatiche sulla ricerca storica». Gli studiosi di Yad Vashem chiedono al Vaticano di aprire gli archivi «dell'era di Pio XII per esaminare la questione ed eventualmente ottenere nuove e diverse informazioni da quelle note oggi».
Nella crisi, è intervenuto anche il ministero degli Esteri israeliano: «La cerimonia vuole onorare la memoria delle vittime della Shoah, l'evento più traumatico nella storia del popolo ebraico e tra i più traumatici nella storia dell'umanità. Per quanto riguarda la partecipazione, ciascuno si comporti secondo quello che gli dice la sua coscienza».
Corriere della sera, 13 aprile 2007
IL RETROSCENA
Un gesto «ultimativo» dopo un'inutile protesta
Luigi Accattoli
CITTA' DEL VATICANO — Sul nuovo incidente con l'ufficialità israeliana le fonti vaticane hanno mantenuto ieri un prudente riserbo, che in via confidenziale viene interpretato come «attesa» degli sviluppi della vicenda e «attenzione, se possibile, a non ingrandirla». Ma la prudenza non vuol dire che l'iniziativa del nunzio Antonio Franco non fosse autorizzata e la questione non sia «ben nota» alla Segreteria di Stato. Negli uffici competenti ricostruiscono con abbondanza di particolari la storia del caso. Quella foto e quella didascalia «non c'erano quando il Museo fu inaugurato nel 2005». È comparsa «qualche tempo dopo» ed è stata segnalata al nunzio precedente, Pietro Sambi, da visitatori cattolici. L'arcivescovo Sambi aveva presentato una «protesta ufficiale» ricevendo a più riprese «risposte dilatorie». Il nuovo nunzio Antonio Franco ha riproposto in maniera «ultimativa» la richiesta di una «modifica» della didascalia — o della rimozione della foto — ponendo il problema della propria presenza alla commemorazione. Lo stesso atteggiamento avevano adottato, lungo l'ultimo anno, i rappresentanti di «diverse conferenze episcopali cattoliche in visita in Terra Santa», che avevano rinunciato a visitare il museo della Shoah a motivo di quella didascalia.
L'incidente non ha nulla a che fare con la mancata riunione della Commissione bilaterale permanente tra Santa Sede e Stato di Israele che era prevista per il 28 marzo e che avrebbe dovuto dare attuazione alla parte economica e giuridica dell'accordo fondamentale del 1993.
Va ricondotto piuttosto all'interminabile disputa sul ruolo di Pio XII in relazione alla Shoah, che si era ravvivata il maggio scorso in occasione della visita di papa Benedetto ad Auschwitz e che ha avuto un «focherello» romano il 24 gennaio scorso quando in Campidoglio fu presentato il libro «I Giusti. Gli eroi sconosciuti dell'Olocausto» dello storico inglese Martin Gilbert. In quell'occasione il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone ebbe ad affermare che lo stesso Pio XII va considerato un «giusto» in quanto «fu seguendo le sue direttive che la Chiesa cattolica come istituzione prese parte all'opera di salvataggio degli ebrei».
Corriere della sera, 13 aprile 2007
Gli storici Napolitano e Miccoli a confronto sulla controversa figura del Pontefice, cui hanno dedicato saggi contrapposti
«In realtà salvò gli ebrei». «No, scelse il silenzio»
Dino Messina
«Il Papa che salvò gli ebrei». «No, fu il Papa del silenzio». La contrapposizione tra Vaticano e Israele sulla figura di Eugenio Pacelli, Pontefice dal 1939 con il nome di Pio XII, riproduce una discussione avviata nel 1963 dal drammaturgo Rolf Hochhuth con il dramma Il vicario e continuata nel 1964 dallo storico Saul Friedländer con il volume Pio XII e il Terzo Reich. Da un lato c'è chi usa l'atteggiamento verso gli ebrei perseguitati da parte di Pio XII per sostenerne la beatificazione. È il caso di Matteo Luigi Napolitano, autore con Andrea Tornielli del libro Il Papa che salvò gli ebrei (Piemme). Dall'altro chi sottolinea le ambiguità del Papa. Lo ha fatto Giovanni Miccoli, docente di storia della Chiesa, nel saggio I dilemmi e i silenzi di Pio XII (Rizzoli).
«Credo che l'approccio di Yad Vashem — esordisce Napolitano — riproduca la posizione dell'ex diplomatico e storico Sergio Minerbi, consulente del museo, che giudica controverso l'atteggiamento di Pio XII. Ciò mi pare strano perché Minerbi è autore di una biografia di Raffaele Cantoni, esponente ebraico impegnato a soccorrere le vittime della Shoah, che quando scoppiarono le polemiche, nel 1964, scrisse un articolo memorabile: si tratti di Pio XII o di Giovanni XXIII, la cosa importante è che hanno salvato degli ebrei». Del resto, continua Napolitano, «l'assistenza di Pio XII agli ebrei e la sua critica del nazismo sono documentate anche da fonti estranee al Vaticano. L'incaricato d'affari inglese presso la Santa Sede, Ivone Kirkpatrick, chiese per esempio all'allora segretario di Stato conto del concordato con il regime nazista. Pacelli rispose: almeno avremo in mano qualcosa quando Hitler violerà i patti. Per non parlare del soccorso agli ebrei perseguitati: gli assegni mandati ai vescovi che chiedevano aiuto, l'ordine alle suore di clausura di aprire i conventi dopo il rastrellamento nazista nel ghetto di Roma. Si dice che papa Pacelli sapeva delle Fosse Ardeatine e non fece niente per fermare il massacro. Non esiste nessuna prova. Si dice poi che il Papa, informato sin dal 1942 da monsignor Giuseppe Burzio sul massacro nei Lager nazisti, non protestò in pubblico con sufficiente vigore. Ma nessuno allora conosceva la portata del genocidio. Non si può giudicare il passato con gli occhi di oggi».
Giovanni Miccoli guarda la figura di Pio XII da una prospettiva diversa: «Premesso che le tesi sul "Papa di Hitler" sono una sciocchezza, bisogna dire che il problema ebraico non era la priorità di papa Pacelli, più preoccupato di non rompere con il Terzo Reich e di tutelare il clero tedesco. È vero poi che tutti i rapporti della Gestapo definiscono Pacelli un nemico, ma non si può giudicare con lo stesso metro la politica degli Alleati, che magari sapevano del massacro e non intervennero subito, con l'atteggiamento del Pontefice, che ha un dovere morale superiore».
Bisogna partire dagli anni Trenta, sostiene Miccoli, e chiedersi «perché l'enciclica contro gli antisemiti già pronta venne messa in un cassetto alla morte di Pio XI. Evidentemente erano prioritari i rapporti con la Germania». Miccoli legge diversamente anche il rastrellamento al ghetto a Roma: «Se la razzia continuerà, disse il cardinale Luigi Maglione all'ambasciatore Ernst von Weizsäcker, il Vaticano sarà costretto a parlare. Evidentemente era forte la volontà di non rompere le relazioni con il Terzo Reich, baluardo contro la Russia comunista. La Santa Sede era poi informata da più parti dei massacri nei Lager nazisti. Pio XII parlò nel Natale 1942 e nel giugno 1943 ma senza pronunciare mai la parola "ebreo". La Gestapo capì benissimo, ma perché il Papa non andò mai oltre la deplorazione e la compassione?».
Corriere della sera, 13 aprile 2007
Monsignor Franco protesta contro la descrizione di papa Pacelli nelle sale di Yad Vashem. La replica: "Ciascuno ha la sua coscienza"
Pio XII, crisi Vaticano-Israele
Il nunzio diserterà la cerimonia al Museo della Shoah
silenzio sul razzismo Quando nel 1939 fu eletto Papa, nascose una lettera contro il razzismo e l´antisemitismo preparata dal suo predecessore
nessuna direttiva Il suo silenzio e l´assenza di linee guida obbligarono in tutta Europa gli uomini della Chiesa a decidere da se stessi come comportarsi
MARCO ANSALDO
DAL NOSTRO INVIATO
GERUSALEMME - «La reazione di Pio XII all´uccisione degli ebrei durante l´Olocausto è materia controversa. Quando nel 1939 fu eletto Papa, nascose una lettera contro il razzismo e l´antisemitismo preparata dal suo predecessore. Il suo silenzio e l´assenza di linee guida obbligarono in tutta Europa gli uomini della Chiesa a decidere da se stessi come comportarsi».
Sono 13 righe di fuoco quelle che appaiono nella grande sala dello Yad Vashem, il museo della Shoah, sotto la foto di Eugenio Pacelli. Una semplice didascalia, scritta su un pannello posto sotto l´immagine di Papa Pio XII, ma il cui contenuto è stato capace ieri di scatenare una nuova crisi fra Israele e Vaticano.
Per protestare contro quelle parole, ritenute altamente offensive per la Chiesa, il nunzio apostolico presso lo Stato ebraico, monsignor Antonio Franco, ha deciso di non partecipare alla cerimonia annuale in ricordo della Shoah, alla quale è presente l´intero corpo diplomatico straniero in Israele, in programma la prossima settimana a Gerusalemme.
È lo stesso nunzio a parlare di una «rinuncia dolorosa». «Mi fa male andare allo Yad Vashem e vedere Pio XII così presentato - afferma - Forse si potrebbe togliere la foto o cambiare la didascalia. Ma certamente il Papa non può essere messo in mezzo a uomini che dovrebbero vergognarsi per quanto compiuto contro gli ebrei. Pio XII non dovrebbe vergognarsi per tutto quello che ha fatto per la loro salvezza, come le fonti storiche hanno messo in risalto. Tuttavia tengo a precisare che la mia assenza alla cerimonia non significa mancanza di rispetto per il ricordo e le vittime di questa tragedia. Questo è fuori discussione. Ma mi rifiuto categoricamente di dire che ci furono responsabilità della Chiesa cattolica e della Santa Sede nel non aiutare gli ebrei, con tutto quello che è stato fatto. Quella foto offende tutta la Chiesa cattolica».
Molto secca la reazione del ministero degli Esteri israeliano. «La cerimonia allo Yad Vashem - dice un portavoce - ha il fine di onorare la memoria delle vittime della Shoah, l´evento più traumatico nella storia del popolo ebraico e fra i più traumatici nella storia dell´umanità. Per quanto riguarda la partecipazione alla cerimonia, ciascuno si comporti secondo ciò che gli dice la sua coscienza».
Allo Yad Vashem, nella sala aperta al pubblico, la foto di Pio XII è appesa vicino a quella di capi di Stato dell´epoca, responsabili di aver avviato campagne razziste. Ci sono le immagini di Hitler, e quella di Mussolini.
Continua il testo scritto in inglese, sotto il titolo «Papa Pio XII»: «Nel 1933, quando fu segretario di Stato vaticano, fu attivo nell´ottenere un Concordato con il regime tedesco, firmato con l´obiettivo di preservare i diritti della Chiesa in Germania, anche se questo significava il riconoscimento del regime razzista dei nazisti. Nonostante le informazioni sulle uccisioni degli ebrei fossero arrivate in Vaticano, il Papa non protestò né verbalmente né per iscritto. Nel dicembre 1942 si astenne dal firmare una dichiarazione degli Alleati di condanna dello sterminio. Quando gli ebrei furono deportati da Roma ad Auschwitz, non intervenne. E mantenne la posizione neutrale per tutta la guerra, con l´eccezione degli appelli rivolti ai governanti di Ungheria e Slovacchia per la fine del conflitto».
Lo Yad Vashem ha reagito alla decisione del nunzio con un comunicato: «Siamo sconvolti e delusi per la decisione del rappresentante del Vaticano di non rispettare la memoria dell´Olocausto. Ciò contraddice la dichiarazione del Papa, durante la sua visita, sull´importanza di ricordare».
La foto di Pio XII fu esposta qui per la prima volta nel 2005, dopo l´apertura del nuovo museo. Anche allora il precedente nunzio, Pietro Sambi, aveva chiesto che la dicitura venisse modificata. I dirigenti israeliani replicarono che sarebbero stati lieti di esaminare il comportamento di Pio XII, se solo il Vaticano avesse acconsentito ad aprire i suoi archivi segreti ai loro ricercatori.
Repubblica, 13 aprile 2007
I commenti in Vaticano. Padre Farrell: "Ma il dialogo proseguirà"
"È una decisione del Papa a tutela del suo predecessore"
le reazioni
Per il vicepresidente della Commissione per i rapporti con l´ebraismo "presto ci sarà un chiarimento"
ORAZIO LA ROCCA
CITTÀ DEL VATICANO - La consegna nei palazzi vaticani è: «silenzio assoluto». Sulla improvvisa crisi esplosa tra Israele e Santa Sede, dalla Segreteria di Stato fanno sapere che, «per ora», non ci saranno reazioni ufficiali. Un scelta di basso profilo per tenere lontano Benedetto XVI dalle polemiche. Anche se è impossibile pensare - si vocifera in Curia - che il gesto del nunzio non sia stato approvato dal Papa. «Il Santo Padre ha dovuto farlo per difendere la memoria di un suo predecessore da accuse infondate e storicamente mai provate», spiegano in Segreteria di Stato.
In Vaticano, però, c´è anche chi - come il vescovo Brian Farrell, vice presidente della Commissione per i rapporti con l´ebraismo - spera che «presto si possa arrivare ad un chiarimento perché il dialogo deve, comunque, andare avanti».
Monsignor Farrell, perché è così ottimista?
«Perché sono convinto che ormai i rapporti tra Santa Sede e Israele non possano che migliorare, malgrado le incomprensioni di questi giorni».
Che pensa delle accuse rivolte a Pio XII in merito al suo presunto silenzio sull´Olocausto?
«Credo che si tratti di mancanza di conoscenza delle verità storiche. Eppure negli ultimi tempi molti storici, di qualsiasi orientamento politico-religioso, hanno messo in luce l´opera svolta da Pacelli per salvare gli ebrei dalla follia nazista».
E come spiega che una istituzione come Yad Vashem parli ancora di «atteggiamento ambiguo» di Pio XII?
«Penso che sia solo una parte israeliana che non ha ancora preso atto delle verità storiche su Pacelli. Per questo il dialogo con Israele deve continuare. Lo dimostra l´ottimo lavoro che la Commissione per i rapporti con l´ebraismo ha fatto con il Gran Rabbinato di Gerusalemme e che proprio la scorsa settimana ha portato alla sottoscrizione di un importantissimo documento sulla libertà di religione in Israele. L´incomprensione non ci fermerà. Anzi, sono certo sarà da stimolo per entrambe le parti per approfondire la conoscenza storica su Pio XII».
In sintonia con la speranza di monsignor Farrell, dal fronte cattolico è partita una nuova campagna storica su Pio XII e gli ebrei. Il gesuita tedesco Peter Gumpel, postulatore della causa di beatificazione di papa Pacelli, ha annunciato che «dall´inizio di aprile i documenti della positio su Pio XII sono al vaglio dei cardinali e vescovi della Congregazione per le cause dei Santi»: sei tomi di 3.000 pagine con «tante rivelazioni sull´opera svolta da Pacelli per salvare gli ebrei dal nazismo, frutto di lunghe ricerche a cui - sottolinea padre Gumpell - hanno collaborato anche storici israeliani». Lunedì prossimo, la casa editrice Edizioni Studium, fondata da Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, presenterà il libro «La Santa Sede e la questione ebraica (1933-1945)» dello storico Alessandro Duce. «È un volume con tanti inediti che gettano nuova luce su Pio XII», preannuncia Giuseppe Lazzaro, direttore della casa editrice.
Repubblica, 13 aprile 2007
Vaticano-Israele, è di nuovo gelo per Pio XII
di Andrea Tornielli
«Mi fa male andare allo Yad Vashem e vedere Pio XII così presentato». Con queste parole il nunzio apostolico in Israele, monsignor Antonio Franco, ha confermato che non intende partecipare alle annuali commemorazioni previste la prossima settimana al museo dell’Olocausto di Gerusalemme. Una nuova polemica contrappone dunque la Santa Sede e settori del mondo ebraico dopo il caso – due settimane fa – dell’improvvisa rinuncia del governo di Israele di prendere parte ai programmati incontri con le autorità vaticane per arrivare alla firma di un trattato globale che finalmente risolva le tante questioni ancora pendenti riguardanti lo status giuridico della Chiesa cattolica in Terrasanta.
Questa volta l’oggetto del contendere è il testo di una didascalia posta sotto la fotografia di Pio XII nel museo dello Yad Vashem, a Gerusalemme, che presenta Papa Pacelli come una figura «controversa» per l’atteggiamento tenuto durante la Shoah. Il testo è tratto dal profilo del Pontefice preparato dall’ex ambasciatore Sergio Minerbi nell’Enciclopedia dell’Olocausto (New York, 1990), ed è presente anche nel sito Internet dello Yad Vashem: vi si afferma che la Santa Sede «si appoggiò esclusivamente sulla diplomazia mentre l’umana sofferenza e i princìpi morali furono ignorati»; si accredita un’incapacità di Papa Pacelli ad agire nel momento del rastrellamento del ghetto di Roma dell’ottobre 1943 (quando dai documenti si evince, invece, che Pio XII mise in atto ben tre interventi e che uno di questi portò effettivamente a far cessare il rastrellamento dopo quella prima giornata). La fotografia e il testo, esposti per la prima volta nel 2005, erano già stati criticati dal precedente nunzio apostolico, e diversi vescovi per protesta avevano tolto la visita al memoriale dai percorsi dei pellegrinaggi. La notizia del disagio del rappresentante papale non doveva però essere divulgata. È stato lo stesso museo a renderla nota.
Monsignor Franco, con una lettera, aveva chiesto ai responsabili dello Yad Vashem di «riconsiderare» l’esposizione dell’immagine e del testo perché giudicata «offensiva» in quanto parla di un’ambigua reazione del Pontefice di fronte all’uccisione degli ebrei. In un comunicato di risposta, i responsabili del museo affermano che «lo Yad Vashem è dedicato alla ricerca storica e presenta la verità storica su Pio XII così come è oggi nota agli studiosi».
«Già lo scorso anno – ha spiegato monsignor Franco – il nunzio Pietro Sambi aveva scritto richiamando l’attenzione su quella didascalia e chiedeva di rivederla o di toglierla. Successivamente ci sono state anche delle segnalazioni di studi e di materiale storico. Niente è stato fatto e io adesso nell’immediatezza della celebrazione ho voluto scrivere al presidente di Yad Vashem precisando che era una interpretazione che mi faceva difficoltà, e non solo a me, ma a tutti i fedeli cattolici; offensiva della dignità del Papa, e il Papa per noi è il Papa, quindi mi sentivo a disagio di andare a questa commemorazione. Non c’era e non c’è volontà polemica. Loro l’hanno data alla stampa».
«Ora – continua il diplomatico vaticano – la realtà è che quella scritta è un’interpretazione, non è la verità storica. Yad Vashem avrebbe detto che non si può cambiare la storia: siamo d’accordissimo che la storia non si può cambiare, ma questa è un’interpretazione della storia. A me dispiace, perché ferisce i miei sentimenti, la mia fede e le ricerche storiche. C’è tanta documentazione e tanta ricerca storica che provano tutto quello che la Chiesa cattolica e Pio XII hanno fatto per salvare gli ebrei». La polemica ha rappresentato un’occasione per tornare a chiedere, da parte dei responsabili dello Yad Vashem, l’apertura degli archivi vaticani. Archivi in parte già disponibili (dodici volumi di atti e documenti relativi alla II guerra mondiale sono stati pubblicati per volere di Paolo VI) ma poco frequentati.
Accanto a posizioni pregiudiziali, superate e spesso smentite dalle più recenti acquisizioni storiche, sta crescendo anche il numero degli studiosi (e degli studiosi ebrei) che ritengono Pio XII un «giusto» per quanto ha fatto in favore dei perseguitati, come si legge nell’autorevole saggio dello storico inglese Martin Gilbert recentemente tradotto in Italia e presentato a Roma lo scorso gennaio alla presenza del cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone.
Dai documenti agli atti della causa di beatificazione, ha dichiarato padre Peter Gumpel, relatore del processo, c’è anche un riferimento alla circostanza, accertata in sede storica, che la «leggenda nera» di un Pio XII favorevole al regime nazista, durante la II guerra mondiale e mentre era in atto la Shoah, era stata all'origine diffusa su scala internazionale da fonti e pubblicazioni legate al Pc dell’Urss.
Il Giornale, 13 aprile 2007
Vaticano-Israele per Pio XII ritorna il gelo
di Massimo Introvigne
Il delegato apostolico cattolico di Gerusalemme, monsignor Antonio Franco, ha deciso di non partecipare all’annuale cerimonia di commemorazione della Shoah, che si terrà la prossima settimana al museo dell’Olocausto a Gerusalemme. Si tratta di una protesta per il rifiuto di rimuovere una foto di Pio XII esposta con una didascalia che condanna la posizione del Pontefice, definita «ambigua», sull’uccisione degli ebrei durante la Shoah. Autorità israeliane hanno risposto, con una certa durezza, che «la verità storica» su Pio XII non può essere cambiata e che «altre istituzioni», anziché reagire come la Chiesa, hanno chiesto pubblicamente scusa per le loro complicità con l’Olocausto.
Questa volta qualcuno in Israele sbaglia. Con Giovanni Paolo II - subito seguito da Benedetto XVI - Roma si è adoperata per svellere le radici teologiche dell’antisemitismo, denunciare certe asprezze antigiudaiche del passato, riconoscere il ruolo degli ebrei come «fratelli maggiori» nel piano di salvezza di Dio.
Ma la questione di Pio XII è diversa, proprio quanto alla «verità storica». Oggi in Italia perfino La Repubblica dà notevole spazio ai ritrovamenti di archivio e alle conclusioni di storici sia cattolici - ma di impeccabile autorevolezza e credenziali accademiche, come il gesuita Pierre Blet - sia non cattolici secondo cui la propaganda contro Pio XII che si è scatenata a partire dal dramma del 1963 di uno scrittore tedesco socialista (dopo essere stato in gioventù nazista), Rolf Hochhnuth, Il Vicario, è ampiamente infondata. Se si guarda alle tante pubblicazioni che seguono quella mediocre opera teatrale, ci si rende conto che l’attacco usa gli ebrei come pretesto. In realtà, si vuole colpire in Pio XII l’intransigente difensore dei dogmi della Chiesa contro la nascente teologia progressista e della sua dottrina sociale contro il comunismo, l’artefice del miracolo elettorale italiano del 18 aprile 1948 rievocato in un libro di Marco Invernizzi che esce in questi giorni da Ares.
Quanto all’Olocausto, uno dei maggiori studiosi ebrei della questione resta il diplomatico Pinchas Lapide - già console israeliano a Milano - il quale nel libro del 1967 Roma e gli
ebrei scriveva che Pio XII «fu lo strumento di salvezza di almeno 700.000, ma forse anche 860.000, ebrei che dovevano morire per mano nazista». Prima di Hochhnut e delle sue menzogne, il primo presidente di Israele Weizmann, il rabbino capo Herzog, il primo ministro Sharett ringraziarono pubblicamente Pio XII, che molti annoverarono fra i «giusti d’Israele», i non ebrei che più si erano impegnati per salvare le vittime della Shoah. L’ebreo Einstein scrisse che «solo la Chiesa ha sbarrato pienamente il cammino alla campagna hitleriana per la soppressione della verità. Prima d’ora non ho avuto alcun interesse particolare per la Chiesa, ma ora sento un grande affetto e ammirazione per essa».
Oggi qualcuno in Israele cade vittima di una campagna che attacca la Chiesa per ragioni che non c’entrano nulla con l’Olocausto e molto con le sue posizioni odierne in tema morale. Forse farebbe meglio a ricordare le parole del grande storico (e rabbino) americano David G. Dalin: «Il Talmud insegna che “chiunque salva una vita, è considerato dalla Scrittura come se avesse salvato il mondo intero”. Pio XII ha adempiuto questo detto talmudico più di ogni altro leader del secolo XX, quando fu in gioco la sorte dell’ebraismo europeo. Nessun altro papa è stato così largamente apprezzato dagli ebrei, ed essi non si sbagliarono».
Il Giornale, 13 aprile 20007
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