16 aprile 2007

Il Compleanno del Papa, editoriali del 16 aprile 2007


In questo post vengono raccolti gli editoriali di stamattina riferiti al compleanno del Papa e/o al secondo anno di pontificato. Alla fine di ogni articolo potete leggere un mio commento.
Raffaella

(nella foto la casa natale del Papa "festeggiata" oggi dai connazionali di Benedetto.

Vedi anche:

Il Compleanno del Papa, rassegna stampa del 16 aprile 2007 (parte prima)

Il Compleanno del Papa, rassegna stampa del 16 aprile 2007 (parte seconda)

AUGURI SANTITA'


GLI 80 ANNI DEL PAPA

La controcultura di Benedetto XVI

Filippo Di Giacomo

Tre giorni prima della sua elezione a Papa, il 16 aprile 2005, Joseph Ratzinger aveva compiuto 78 anni. Oggi ne festeggia 80. Nel testamento di Giovanni Paolo II, come unica indicazione rivolta al futuro e quindi alla scelta del suo successore, i conclavisti avevano trovato solo un forte riferimento al Concilio Vaticano II. Il Papa polacco sapeva benissimo di essere stato l’ultimo pontefice ad aver partecipato, come vescovo, al Concilio. E indicava proprio in questa sua esperienza il lume che consegnava al conclave. Un lume che un collegio cardinalizio pressoché unanime ha quasi senza indugio messo nelle mani dell’unico cardinale ad aver partecipato, come teologo, al Vaticano II.
Sull’altare pontificale di Giovanni Paolo II abbiamo visto le rappresentazioni dell’intero caleidoscopio di lingue e di culture dell’orbe cattolico. Su quello di Benedetto XVI ci viene spiegato che esse contenevano tutte qualcosa di molto più profondo anche degli irripetibili gesti del grande Papa polacco. E che proprio perché testimoniati così generosamente dal cristiano Karol Wojtyla, quel «qualcosa» va visto, riconosciuto e testimoniato. Saper usare il messale e la liturgia così come essi sono stati realmente consegnati alla Chiesa dal Concilio è, e se l’intento riesce lo sarà ancora di più, una cosa seria per il cattolicesimo contemporaneo. Perché avrà delle ricadute evidenti anche sul suo modo di essere presente nel mondo. Lo abbiamo visto anche di recente, anche se nessuno lo ha notato sui media, quando il giovedì prima delle Palme i giovani della diocesi di Roma non sono stati convocati per il solito concertone teletrasmesso, per una di quegli eventi che Giovanni Testori attribuiva alla teleidiozia cattolica. Il Papa li ha chiamati in San Pietro, quest’anno, per partecipare a una liturgia penitenziale durante la quale anche il pontefice ha impartito l’assoluzione sacramentale. Non erano in molti i giovani della diocesi di Roma che hanno risposto all’invito, non riempivano neanche la navata centrale di San Pietro. Ma almeno hanno ripreso a dire ai loro coetanei qualcosa di cattolico.
In fondo, il mondo ha iniziato a conoscere Joseph Ratzinger solo qualche giorno prima della sua elezione. Quando è uscito dal cono d’ombra dove l’esplosione carismatica di Giovanni Paolo II aveva relegato anche la sua più che ventennale presenza a Roma, come il pastore gentile che aveva affrontato e dato un senso compiuto all’immane autoconvocazione del popolo cattolico accorso intorno alla salma di Giovanni Paolo II. Un evento, questo, che a distanza di due anni resta uno spauracchio, fittiziamente rimosso e ancora incompreso dai curiali e dai laicisti a loro speculari. Ratzinger che parlava a Giovanni Paolo II, a nome di tutti, guardando il cielo è stata un’immagine gradita, apprezzata ma, come hanno dimostrato l’equivoco di Ratisbona e la preghiera nella moschea di Istanbul, non immediatamente memorizzata. Forse perché, appena l’allora decano del Sacro collegio è diventato Benedetto XVI, gli sono ripiombati addosso il peso del suo magistero universitario e dottrinale, dei suoi libri e dei suoi articoli teologici, peraltro troppo spesso mal letti e peggio interpretati. Peso che in tanti cattolici hanno tradotto, trattenendo a lungo il fiato, nell’attesa di quel «colpo di scopa» che avrebbe dovuto liberarli da quel sistema di potere e di presenza che, negli interstizi del carisma wojtylano, ha abolito ogni spazio intermedio tra i pretoriani e i presunti nemici. «Sentitevi liberi di criticarmi», ha scritto il pontefice nell’introduzione al libro su Gesù che arriva in libreria oggi. Ed è come dire: se volete sentirmi alzare la voce, aspettate invano.
Invece, adesso, iniziamo a comprendere che la vera «scopa ratzingeriana» era proprio la sua serena immagine pastorale ai tempi della sede vacante. E alla vigilia del secondo anniversario della sua elezione a Papa, tra coloro che hanno avuto modo di seguire Benedetto XVI durante tutte le sue apparizioni pubbliche inizia a circolare il convincimento che la riforma ratzingeriana sia già opera all’interno della Chiesa grazie alla sua ars celebrandi, ai canti che sta facendo reintrodurre nello spazio liturgico, alle omelie con le quali tenta di recuperare alla fede cattolica la sua natura di «controcultura». Perché essa, con un pensiero ricco di antitesi e di contrapposizioni, parla di vita alla morte, di acqua al deserto, di identità all’alienazione, di futuro al cupio dissolvi parossistico della nostra modernità.
Un Papa è sempre teologo perché, come maestro, deve tenere sveglia la Chiesa. È solo essa che custodisce, nelle sue varie ramificazioni planetarie, e anche confessionali, l’antagonismo, lo scandalo critico e propositivo per il quale è stata pensata come una realtà serena, compatta e unita. Giovanni Paolo II, che aveva esteso le rappresentanze pontificie da 70 a 178, «ascoltava» il mondo per il tramite dei nunzi apostolici. Sono due anni, invece, che essi non sono più ricevuti dal pontefice ma vengono dirottati all’udienza generale del mercoledì per un incontro che nel linguaggio curiale viene definito «di baciamano». I vescovi in visita ad limina, invece, non solo sono ricevuti ma hanno tutti il convincimento che Benedetto XVI dedichi loro il tempo e l’attenzione necessari alle realtà che esprimono. Anche la prossima visita in Brasile, che i pettegoli già vedono come l’atto notarile di cessata attività per la teologia della liberazione, è stata programmata come ascolto di un continente che già nel 2005 schierava più di qualche «papabile». E uno di questi, il brasiliano Hummes, che in Brasile identificano come il talent scout dell’allora giovane sindacalista Lula, è già stato chiamato a Roma.

La Stampa, 16 aprile 2007

Assolutamente falso che i giovani non riempissero nemmeno la navata centrale della basilica di San Pietro. Si trattava di ventimila ragazzi che la basilica non riusciva nemmeno a contenere. Fu necessario utilizzare anche l'aula Paolo VI.
Filippo Di Giacomo bacchetta (e io con lui) i media che hanno ignorato l'evento, ma non mi pare che egli sia molto preparato a questo proposito...
Leggere per credere:


IL PAPA AI GIOVANI: SIETE TANTI, SAN PIETRO NON BASTA

Il Papa e i giovani

Il Papa confessore...


L'omelia nella "domenica della Divina Misericordia", istituita da Giovanni Paolo II

Ratzinger, il Pontefice scomodo che crede nella forza dell’amore

di Redazione

Due anni fa, all’indomani dell’elezione, Benedetto XVI sottolineava che il suo compito era di «far risplendere davanti agli uomini e alle donne di oggi la luce di Cristo: non la propria luce, ma quella di Cristo». Nella messa d’inizio del pontificato, il Papa non presentava un «programma di governo» perché il «vero programma è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire le mie idee, ma di mettermi in ascolto di tutta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore, di lasciarmi guidare da Lui». Con queste premesse, come ha sottolineato Gian Maria Vian in un articolo di bilancio del pontificato pubblicato sull’ultimo numero di Vita e Pensiero, la rivista dell’Università Cattolica, «ha di fatto intrapreso il rimodellamento» del governo papale «all’insegna della semplificazione e del ritorno all’essenziale». È questa davvero la chiave di lettura per comprendere Ratzinger, presentato per decenni dai media come il «Panzerkardinal» restauratore. Da Papa, le parole più ripetute sono state «gioia» e «amore»: all’inizio dell’essere cristiano, ha spiegato nella sua prima enciclica, «non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte».
Certo, oggi c’è chi critica Benedetto XVI e adesso rimpiange Giovanni Paolo II (che prima criticava). A proposito di questa contrapposizione, il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, in un’intervista pubblicata nel bellissimo inserto di «Avvenire» dedicato agli 80 anni di Ratzinger, ha detto: «È un film già visto. Nelle vecchie pellicole western i cow boys spesso dicevano che l’unico indiano buono è quello sotto un metro di terra. Per i laicisti di oggi, ma ahimé anche per qualche cattolico, sembra che l’unico Papa buono sia quello che non c’è più».

Il Giornale, 16 aprile 2007


LAICI A RUOTA LIBERA

di Ernesto Galli della Loggia

In una democrazia pluralista i liberali hanno diritto di proporre e di fare leggi che si ispirino al liberalismo e ai suoi valori? Nessuno, mi pare, lo ha mai contestato. E i socialisti hanno diritto di proporre e di fare leggi che si ispirino al socialismo e ai suoi valori? Vale quanto detto sopra. E i cattolici, invece, hanno lo stesso diritto? No, loro no. Così almeno stando alla nuova teoria costituzionale abbozzata in una lettera a «Repubblica» il giorno di Pasqua da un gruppo di esimie personalità tra cui Giulio Giorello, Sylvie Coyaud, Piergiorgio Odifreddi, Moni Ovadia e altri. La quale teoria, per negare ai papisti il suddetto diritto, così si trova ad esordire: «Uno Stato è laico se religioni e ideologie non hanno influenza sul governo della società, ma hanno valore solo sulle persone». Sì, avete capito: fuori dal governo le ideologie, a sfondo religioso o non. Cioè i partiti degli ultimi di secoli: ovvero come, accecati dai pregiudizi, si cancella la storia e si scrivono memorabili sciocchezze.

Corriere della sera, 16 aprile 2007


Ottantanni di un papa che sfida la lettura intramondana del Concilio
Di Paolo Rodari

È quest’oggi il giorno dell’ottantesimo compleanno di Benedetto XVI, il papa della corretta interpretazione del concilio Vaticano II.
Che altro? Tante cose, tante parole potrebbero definire il pontefice tedesco eletto il 19 aprile 2005 successore di Karol “il Magno”, ma è senz’altro in questo tentativo di portare la Chiesa, tutta la Chiesa, a comprendere nel giusto modo cosa sia stato il Vaticano II (riforma della Chiesa ma non discontinuità col passato) che l’intero pontificato di Ratzinger sembra poter essere guardato nel suo senso più profondo.
Si tratta di una comprensione che il papa ritiene oggi indispensabile se è vero che, innanzitutto nella Chiesa, persiste una lettura “intramondana” dei lavori conciliari chiusisi ufficialmente il 7 dicembre 1965.
Una lettura ritenuta pericolosa perché, come ha spiegato lo stesso Ratzinger in uno dei suoi discorsi più importanti di questi suoi primi due anni di pontificato - quello rivolto alla curia romana il 22 dicembre del 2005 - ha voluto mostrare, col beneplacito dei media, come i risultati del concilio segnino una spaccatura, una rottura con quella che è la traditio ecclesiae, come se il rinnovamento della Chiesa proposto nel Vaticano II non debba svolgersi in continuità con la storia passata.
Questa inesatta ermeneutica secondo la quale lo “spirito” di apertura al mondo del concilio sarebbe più importante dei suoi testi i quali, a onor del vero, parlano di una Chiesa che deve andare incontro al mondo ma senza però tradire se stessa, si è affermata principalmente all’interno della cosiddetta “scuola di Bologna”, quella linea di pensiero ecclesiale che si rifà a Giuseppe Dossetti e che ha avuto e ha continuatori ancora oggi sia tra le schiere dei politici che tra quelle degli ecclesiastici.
Si tratta in sostanza di una scuola profondamente anti-romana e che, nei fatti, altro non costituisce se non una sorta di protestantizzazione del cattolicesimo.
Anche perché, dove altro può portare una lettura del concilio svolta esclusivamente con categorie sociologiche e non con categorie teologiche?
Dove altro può portare una lettura che tende a vedere l’ultimo concilio (il Vaticano II appunto) come l’unico valido e come se tutti i precedenti non esistessero? Dove può portare una lettura che guarda al Vaticano II senza tenere conto del Vaticano I e addirittura dimenticando che l’autore più citato nel Vaticano II è papa Pio XII?
Oggi - ed è forse anche per questi motivi che Benedetto XVI insiste tanto per riportare la Chiesa ad una corretta lettura del Vaticano II e dunque su binari più in sintonia con la bimillenaria traditio ecclesiae - l’interpretazione diffusa dai seguaci di Dossetti è ripresa a mani basse da tante riviste e case editrici cattoliche, è ripresa e rivive all’interno della stessa formazione ecclesiastica propugnata i tanti seminari e viene assunta in toto anche in tanti ministeri di taluni vescovi italiani.
Il papa è consapevole che la verità non è il risultato dei pensieri delle maggioranze e proprio per questo motivo si sta spendendo per riportare la Chiesa là dove deve stare: salda attorno alla fede in Gesù Cristo e alla tradizione che di questa fede ne è come il risultato. E in questo senso, il probabile ritorno della messa col rito di San Pio V (che per la verità mai fu abolito dai lavori conciliari) potrebbe costituire un segno di rispetto verso un armonico cammino.
Oggi Benedetto XVI compie 80 anni, un compleanno parecchio diverso dagli 80 anni che il 18 maggio del 2000 festeggiò Giovanni Paolo II. Allora, a causa dei tanti anni passati alla guida della Chiesa e soprattutto a motivo delle difficili condizioni fisiche, qualcuno ventilò la possibilità che Wojtyla si dimettesse.
Oggi, con Ratzinger, ovviamente nessuno ne parla anche perché l’attuale pontefice riesce a centellinare bene i propri impegni e a risparmiarsi fisicamente.
Benedetto XVI è un uomo di continuità con Wojtyla ma per molti versi di novità: maggiore è la sottolineatura nel suo ministero dell’aspetto contenutistico rispetto a quello mass-mediatico. Eppure, è un papa che attira parecchio i fedeli se è vero che le piazze dove parla non hanno subíto ridimensionamenti numerici dopo la morte di Giovanni Paolo II, ma al contrario si sono ripopolate maggiormente.
Nella mancanza di modelli di vita adeguati, soprattutto nel cedimento della ragione in superstizione laicista o in razionalismo irrazionale, il papa è oggi per molti un punto di riferimento indispensabile.
Il pontefice vive al terzo piano del palazzo apostolico dove ha creato una vera e propria famiglia con le quattro Memores Domini che sbrigano le faccende di casa e i due fedeli segretari.
A fianco del pontefice c’è poi, come suo primo collaboratore e soprattutto amico, il cardinal Tarcisio Bertone, incaricato di tradurre in governo operativo la sua visione ecclesiale. Figlio di quel don Bosco che un giorno sognò la nave della Chiesa che, guidata da Pietro fra i flutti tempestosi e le cannonate dei nemici, riesce ad ancorarsi miracolosamente salva alle colonne dell’eucaristia e dell’Immacolata, Bertone è un segretario di Stato voluto fortemente in quel ruolo da Ratzinger. Si dice sia più pastore che diplomatico. In realtà è innanzitutto persona di cui il papa si può fidare, prelato che per anni ha affiancato Ratzinger nella conduzione della congregazione per la dottrina della fede. A lui nelle prossime settimane spetterà mettere in pratica una serie (molto numerosa) di nomine importanti decise dal papa per la curia romana.

Il Riformista, 16 aprile 2007

Qualche "sciocchino" ventilo' l'ipotesi che al compimento degli 80 anni, si potesse iniziare a parlare di dimissioni del Papa. Voglio proprio vedere se certi sciocchini hanno il coraggio di parlare anche oggi :-)
Come giustamente afferma Rodari, c'e' molto lavoro da fare...tanti auguri, Benedetto!

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