8 aprile 2007

Il New York Times Magazine rende omaggio a Papa Benedetto


Il Magazine domenicale del “New York Times” dedica un articolo di undici pagine e la copertina a Papa Ratzinger.
Il servizio suscita in Italia opinioni contrastanti che vengono qui proposte.

Raffaella


UN ROTTWEILER GENTILE…

Sul magazine domenicale del “New York Times” articolo e copertina dedicate al papa. Secondo il quotidiano più famoso del mondo, Benedetto XVI in meno di due anni ha già vistosamente disarmato l'ala sinistra della Chiesa cattolica, ma lo ha fatto senza onorare l'antico soprannome di rottweiler di Dio, riferito alla durezza della sua correttezza dottrinale. Al contrario, Ratzinger ha mostrato un aspetto morbido e gentile, prima sconosciuto. "La sua enfasi - scrive il Times - è stata posta più sulla libertà religiosa sulla povertà e sulla pace in Iraq che sui demoni tradizionali di aborto e controllo delle nascite". Soprattutto, Benedetto XVI ha preso di mira il secolarismo europeo, che minaccia di trasformare "lo splendore e la maestà della tradizione occidentale, riducendoli a una eco-chamber piena di vecchi e opere d'arte".

Maria Giovanna Maglie per Dagospia


Alberigo: schema grossolano. Reale: ha ammorbidito le sue posizioni
«Il Pontefice ha disarmato l'ala sinistra della Chiesa»
La tesi del «New York Times». Messori: sbagliate le letture politiche

Gian Guido Vecchi

MILANO — L'«Antisecolarista» Benedetto XVI saluta (in disegno) dalla copertina del New York Times Magazine, rivista domenicale del più prestigioso quotidiano del mondo, undici pagine che sembrano quasi voler fare il punto di Ratzinger e del suo pontificato, l'infanzia in Baviera e la lezione di Ratisbona, l'Islam e «il baratro» fra «le regole vaticane» e «la vita della maggior parte dei cattolici», l'«ammorbidimento» dell'uomo «conosciuto come Rottweiler di Dio» e insieme l'ansia di riportare l'Europa secolarizzata «alle sue radici», tutto sommato un ritratto ben più agro che dolce (non manca il riferimento allo scandalo dei preti pedofili e alle «responsabilità del Vaticano») con due righe affilate come uno stiletto: «Una cosa notevole del papato di Benedetto è stata l'aver largamente disarmato l'ala sinistra della Chiesa». Davvero? «Più che disarmati dal Papa, ho l'impressione che i cattolici progressisti, anche negli Usa, si fossero illusi sul suo conto», sorride Jeff Israely, corrispondente e vaticanista del settimanale
Time. Un classico «wishful thinking», spiega, ovvero «l'autoconvincimento che Benedetto XVI sarebbe stato come volevano loro, quello che da noi chiamiamo l'effetto Nixon in Cina». E che c'entra Nixon? «Si diceva che solo un anticomunista come Nixon avrebbe potuto compiere quel viaggio. Allo stesso modo, tutti sapevano che da almeno vent'anni Ratzinger rappresentava una visione conservatrice nella Chiesa, la sua elezione è stata vissuta dai progressisti come una sconfitta totale, ma poi hanno detto: aspettate, proprio per questo sarà un grande riformatore... Così fino ad ora sono rimasti tranquilli e speranzosi». In questo senso «lo spartiacque» potrebbe essere la pubblicazione del motu proprio di Benedetto sulla messa in latino, l'uscita di un quotidiano «liberal» come il
New York Times il segnale che le illusioni residue sono svanite.
Così, almeno, dall'altra parte dell'Atlantico. Da questa c'è lo scrittore Vittorio Messori, che si diverte un mondo a sentire che per il quotidiano usa la Congregazione per la dottrina della fede «è l'ufficio una volta conosciuto come Inquisizione» («E come no! Andavi al Sant'Uffizio e sulle porte c'era scritto: Inquisizione!») e sospira: «La maledizione del media system, non solo americano ma occidentale, è applicare alla Chiesa le categorie con cui legge gli eventi politici. Così ci si impedisce di capire: non ha alcun significato chiedersi se Gesù era di destra o di sinistra, conservatore o progressista. Sono strumenti inefficaci, come se uno usasse un cacciavite anziché le pinze. E quanto più sono sofisticate le analisi, tanto più sbagliano clamorosamente». Come su Ratzinger, che Messori intervistò «per tre giorni e tre notti» scrivendo nell'85 il celebre Rapporto sulla fede:
«Per vent'anni ho cercato di demolire la leggenda nera del Panzerkardinal, il Grande Inquisitore. Uno così terribile che mi venne voglia di spegnere il registratore e confidarmi con lui, di confessarmi davanti a quell'uomo timido e comprensivo, di grande cultura, equilibrio, saggezza e bontà. Quando è diventato Papa ho detto: finalmente, ora lo vedranno! E infatti riempie le piazze, la gente lo sente». Un sorriso: «Se gli americani, poveretti, danno una lettura politica, pazienza. La Chiesa ne ha viste di peggio».
Anche la prima reazione del filosofo Giovanni Reale è una spontanea perplessità: «Scusi, ma "ala sinistra" in che senso? Che c'entra la politica?». Dopodiché il pensatore cattolico al quale Giovanni Paolo II affidò la pubblicazione dei suoi scritti filosofici e poetici ricorda «la lezione» che gli diede Wojtyla: «Mi disse: "Sul libro non metta il nome Giovanni Paolo II, ma Karol Wojtyla, perché ho scritto queste pagine come uomo del secolo e non come Papa. Ciò che devo fare da Pontefice è diffondere la parola di Cristo come Pietro"». Una lezione «che Ratzinger ha fatto sua, e che fa di quell'"ammorbidimento" qualcosa di molto più radicale rispetto a ciò che pensa il New York Times: Benedetto XVI sa che le idee del teologo Ratzinger non sono quelle del Papa, anche qui sta la sua grandezza». Del resto basta sentire il professor Giuseppe Alberigo, padre nobile della Fondazione per le scienze religiose di Bologna voluta da Dossetti e punto di riferimento dei (cosiddetti) progressisti: «Il cristiano Ratzinger ha una vita molto lunga e complessa, dal grande teologo rinnovatore che fu accanto al cardinale Frings durante il Concilio a Benedetto XVI. Ridurlo a uno schema grossolano è insensato oltre che prematuro, dopo soli due anni. E dire che il Papa disarmerebbe questa immaginaria sinistra è una sciocchezza irricevibile».

Corriere della sera, 8 aprile 2007


Benedetto XVI “conquista” il NY Times

ROMA - Da «Rotweiler di Dio» come veniva chiamato il cardinale Joseph Ratzinger quando guidava l’ex Sant’Uffizio per l’inflessibilità dottrinale, al riconoscimento del ruolo di Pastore e di Padre universale. Benedetto XVI conquista il New York Times dedicando al Papa tedesco la cover story del magazine domenicale in occasione del secondo anniversario di pontificato. L’autorevole giornale d’oltreoceano argomenta convinto come in questi due anni di regno Papa Ratzinger abbia mostrato una evidente morbidità rispetto alle aspettative. Disarmando nei fatti «l’ala sinistra della Chiesa». Salvo alcune eccezioni egli si è concentrato meno «sulla chiamata alle armi contro i mali dell’aborto e della contraccezione che non sull’occupazione di posizioni sicure di alto profilo morale». La pace nel mondo, la difesa della liberta’ religiosa e la lotta alla povertà sono stati al centro di innumerevoli discorsi ed interventi pubblici. Persino il teologo Hans Kueng che aveva salutato l’elezione di Ratzinger con «enorme disappunto» se n’è accorto e dopo un anno di pontificato aveva notato «segni di speranza». Ratzinger viene descritto come un uomo dai «curiosi contrasti». Timido, gentile d’animo, modesto secondo chi lo conosce bene, più un nonno-buono che non un guerriero della fede. L’analisi del NYT si concentra poi sui timori del pontefice davanti ad una Europa portata ad emarginare progressivamente la religione dalla sfera pubblica. Un’Europa affetta da relativismo che dimentica persino di riconoscere le sue radici cristiane. L’obiettivo di Benedetto XVI e’ di ricristianizzare il vecchio continente. La sua predicazione e’ efficace, rileva il NYT, e cattura l’attenzione dei pellegrini tanto che le catechesi del mercoledì risultano decisamente più affollate che non ai tempi di Giovanni Paolo II. «Un fatto curioso» tenendo conto del suo stile professorale, meno «teatrale» paragonato a quello di Papa Wojtyla.
F.Gia.

Il Messaggero, 8 aprile 2007

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