12 aprile 2007

Papa Ratzinger visto da Navarro Valls


IL PROTAGONISTA

Ritratto del Papa, alla vigilia del suo 80esimo compleanno e del primo anno di pontificato

Vi racconto lo stile di Ratzinger

JOAQUIN NAVARRO-VALLS

Lo scrittore inglese Chesterton diceva che il miracolo del linguaggio è che permette ad un uomo non soltanto di esprimere le proprie idee, ma anche di lasciare una traccia di se stesso, della propria irripetibile individualità. Ciò non riguarda ovviamente soltanto la scrittura, ma lo "stile" di una persona, e questo è rivelato dai gesti, dal comportamento, dalla vita. Nei lunghi anni in Vaticano ho preso parte molte volte a riunioni di lavoro con il cardinale Ratzinger. Dalle conversazioni con lui mi sono arricchito sempre. Di questi incontri mi affiorano alla mente numerosi ricordi che costituiscono alcuni tratti di uno stile personale unitario e inconfondibile.
Adesso, nell´evocarli, non posso non provare commozione per quel cardinale che non esiste più se non nelle vesti ormai ufficiali di Papa fino a poter affermare di se stesso: «Io, ma non più io», come è avvenuto nell´omelia di Pasqua dell´anno scorso.
Mi piace pensare a Joseph Ratzinger così, ricordando la sua personalità e il suo contegno elevato, forse irraggiungibile: discreto, presente, romano, ma anche così legato alle sue origini tedesche. Per capire il suo stile, infatti, è fondamentale partire dalla sua Patria, la Baviera. La caratteristica di questa regione, in effetti, come quella della sua personalità, è la ricchezza di influssi. Gli abitanti di questa terra, situata nel sud-est della Germania, hanno sia il carattere sobrio e schivo tipico dei popoli nordici, sia la genuina vitalità e fantasia degli abitanti del mediterraneo.
D´altra parte, la fusione di aspetti diversi è una delle qualità specifiche della personalità di Joseph Ratzinger ed è una delle ragioni della profonda fiducia e amicizia che la sua figura ha saputo ispirare a tante persone in ambienti diversi, sicuramente anche a Giovanni Paolo II. Questi, infatti, nel suo libro Alzatevi e andiamo, ha riservato al futuro Benedetto XVI delle parole che definirei uniche nel loro genere, parole che io personalmente non ho sentito utilizzare mai da Papa Wojtyla, almeno per iscritto: «Ringrazio Iddio per la pazienza e l´aiuto del cardinale Ratzinger, che è un amico fidato».
La loro amicizia però è meno antica di quanto si pensi, più recente di quanto solitamente si affermi e più profonda di quanto sia finora stato scritto. Il loro vero incontro risale al primo Conclave del 1978, subito dopo la morte di Paolo VI. Ratzinger si ricordava poi di Wojtyla per l´impressione suscitata dai suoi interventi alle Congregazioni Generali nel periodo di Sede Vacante. Non mi stupisco della sorpresa causata, perché la personalità di Ratzinger è certamente quella di un acuto osservatore che ama meravigliarsi. Ho sentito da lui molte volte questa profonda conoscenza degli altri colleghi e maestri universitari dei suoi anni accademici, sempre compresi nella loro specifica personalità e attraverso i loro itinerari intellettuali più o meno condivisi. Per Ratzinger non sono le idee a dare un volto alle persone, ma le persone a rivelarsi attraverso le idee.
Il suo incarico in Vaticano, iniziato nel 1982 - non subito ne facilmente accettato - ha certamente suggellato la stima reciproca tra i due Papi, permettendo la nascita di un rapporto di amicizia, anzi di una osmosi di idee, che prima non esisteva.
Dalla sua precedente esperienza intellettuale e universitaria Ratzinger ha acquisito un´altra eredità: la cura minuziosa dei problemi, l´analisi dettagliata e molto accurata delle questioni, espressione di un carattere intensamente riflessivo. È sicuramente anche da questa fiducia nella ragione che proviene quell´ottimismo di fronte al pensare umano e ai suoi obiettivi, che è come una forma definitiva della sua personalità. Se si considera la sicura convinzione, espressa molte volte, a proposito della razionalità della fede, si potrebbe dire che egli sia un "realista". E da questo prende inizio la caratteristica più definitiva della sua immensa opera scritta: una incessante, felicemente ostinata pastorale dell´intelligenza che non abbandonerà mai più.
Il suo stile letterario è esplicativo e interpretativo, tanto coerente e logico da essere, per ferma convinzione, sempre aperto al dialogo: fiducioso sia della razionalità delle persone con cui si confronta, della loro capacità di trovare la verità, sia dell´insopprimibile volontà che l´uomo ha di cercare onestamente il bene. In tal senso, si può dire che egli confidi pienamente nelle persone.
Questo ultimo aspetto non è qualcosa di secondario, ma uno stile personale, aperto, che esprime la sicurezza nel fatto che la verità è sempre "umana", che conoscere è compito specifico di ogni uomo. Al genere umano non è affidato il privilegio di creare con un colpo di genio una nuova verità, ma di pensare serenamente il "logos" intimo delle cose in rapporto ad una verità che sgorga lentamente dal personale percorso di ciascuno.
Si è parlato alle volte dell´apparente fragilità, della quasi vulnerabilità di Ratzinger, che ispirano tenerezza; dal modo composto di camminare, dal suo modo sereno di rivolgersi agli altri. È indubbio che l´espressività del suo gesto potrebbe indurre a trarre queste conclusioni, che sarebbero però inadeguate. Io credo che in Ratzinger l´eleganza dell´atteggiamento non sia risultato di una "educazione alla forma", ma espressione fisica della raffinatezza del suo pensiero. In lui, il movimento espressivo, i suoi gesti, hanno il loro inizio non dalla pratica né dalle tecniche di rapportarsi agli altri, ma dallo svilupparsi stesso delle sue idee. Il suo gesto elegante ed efficace è tale perché il suo stesso pensiero è così.
Un tratto caratteristico del suo stile è certamente la cautela. Ma sarebbe necessario liberarsi dalle molte ambiguità che si accompagnano all´uso comune di questa parola. Il suo non è un atteggiamento contenuto ed indeciso, ma espressione di una seria considerazione della gravità che si accompagna alla conoscenza autentica e profonda delle cose e delle situazioni. Esse spesso necessitano, per essere comprese, di tempi giusti e di giuste maturazioni. Mi sembra di cogliere qui quella serietà intellettuale tipicamente tedesca che Hegel definiva "la fatica del concetto" e che Tommaso d´Aquino, imparando dal teutonico Alberto Magno, descriveva come un "diligente e sottile investigare".
La vera prudenza è attiva, dinamica, ha un suo tempismo e una sua risolutezza, ma anche un suo tempo di maturazione: non può attendere e non può avere fretta. Fin da giovane, egli ha confessato di preferire tra i grandi maestri di teologia gli "esegeti cauti", con una preferenza per la freschezza e la vitalità, piuttosto che la sterile monotonia della ripetizione pedissequa. Spesso si è frainteso questo atteggiamento misurato, credendo che si tratti di un portamento guardingo e circospetto, molto lontano invece dalla sua indole autentica.
Certamente, Ratzinger ha quella strana e ammirevole forza di chi ama più stupirsi che stupire: anche per questo il suo non è un atteggiamento di tenerezza, ma di dolcezza pacata e di sottile malinconia, quasi di gracilità. Proprio come se il suo sguardo raggiungesse il distacco e l´altezza di chi cerca di vedere il fondo del cuore degli uomini.
Il suo commuoversi – molto più frequente di quanto si pensa - non è un passionale reagire alle cose, ma un lasciarsi conquistare dalla sorpresa della verità, dal carattere inconsueto e imprevedibile del mistero umano.
Quando mi è capitato, in più di un´occasione, di vedere interpretato come "timido" questo tratto del suo carattere, mi sono sempre chiesto: come può essere timida una persona così aperta al dialogo e così pronta a raccoglierne le sfide?
Le antiche discussioni teologiche con Rahner e con differenti teologi, anche di confessioni religiose diverse, i confronti recenti con personalità del mondo laico come Habermas ed altri, anche in ambienti intellettualmente multi-culturali come l´Università di Oxford, non sono realmente compatibili con la timidezza e tanto meno conciliabili con il timore riguardoso.
Chi dialoga non soffre paure; chi dialoga non è impressionato dal clamore o del silenzio della folla o dalle opinioni diverse. Chi dialoga però deve saper dialogare, deve conoscere i meccanismi che muovono le opinioni e deve credere che valga la pena confrontarsi. Proprio come lo crede risolutamente Ratzinger. D´altra parte, chi ha paura non pronuncerebbe mai delle omelie così intense e coraggiosamente audaci come quelle che ascoltammo due anni fa in occasione della messa funebre di Giovanni Paolo II o all´esordio del Conclave.
Il ricordo però che ho di Joseph Ratzinger termina il giorno della sua entrata nella Sistina all´inizio del Conclave: i nostri sguardi si incrociarono, egli mi fece un cenno di saluto, e io lo incontrai lì per l´ultima volta. Quello che vidi successivamente – soltanto due giorni dopo - non era più il Cardinale Ratzinger, ma un Papa, con la sua veste sacra, che compariva per la prima volta dalla finestra di San Pietro nella persona di Benedetto XVI. In quel preciso istante inconsapevolmente capii che tutto era cambiato per lui. In quel preciso istante compresi che la sua vita precedente in lui era finita – senza però scomparire - per sempre. Ed oggi sono in grado di capire l´autentico significato di quella sua successiva affermazione: «Io, ma non più io». Con la consueta delicata, brillante discrezione, la sua vita personale da quel giorno ha fatto un passo indietro per lasciare spazio all´identità sacra e alla responsabilità dell´Istituzione. In Ratzinger cominciava allora quel mistero che ogni Papa porta con sé; anzi che ogni Papa è.

Repubblica, 12 aprile 2007

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