12 aprile 2007
Rassegna stampa del 12 aprile 2007
Vedi anche:
La profezia che si autoavvera 2
Anche oggi i giornali riferiscono con dovizia di particolari gli insulti al Papa, alla Chiesa ed a Monsignor Bagnasco che "colorano" i muri delle nostre citta'.
Spero che qualcuno ritrovi il senno e cessi immediatamente di pubblicizzare queste isterie.
Mi rifiuto di segnalare articoli che contengono, ancora, frasi ingiuriose e mi limito a riferire gli editoriali di commento.
Raffaella
Retroscena
Il «consiglio» del Vaticano dopo le polemiche
MARCO TOSATTI
“Ora l’arcivescovo scelga il silenzio”
E’ un consiglio, certamente non un ordine; ma da Roma è arrivato all’arcivescovo di Genova, monsignor Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale, il «suggerimento» di non parlare: niente interviste, né dichiarazioni estemporanee, o interventi di altro genere. Unica eccezione, naturale ed evidente, le omelie.
Grazie a questo silenzio stampa la Santa Sede spera di disinnescare una polemica che sta diventando di giorno in giorno più inquietante, perché vede, agli occhi ecclesiastici, la saldatura fra critiche e attacchi della sinistra politica con minacce e altri gesti riconducibili agli anarchici, e ai frequentatori dei centri sociali. Il periodo di «basso profilo» del presidente dei vescovi dovrebbe proseguire fino al 24 giugno, festa di San Giovanni Battista, patrono della città.
Con un’ovvia interruzione, legata all’Assemblea generale della Cei, prevista per la seconda metà di maggio a Roma. In quell’occasione il presidente pronuncerà la sua prolusione; ma il «Family Day», (12 maggio) sarà già alle spalle, e l’ondata di scritte sui muri un ricordo abbastanza remoto. Così almeno sperano alla Cei. In questi giorni comunque il silenzio dell’arcivescovo della «Superba» è totale: è in vacanza (già prevista e fissata in tempi non sospetti, si precisa) fino a sabato prossimo, quando sarà di mattina presto al santuario della Madonna della Guardia.
«Siamo sereni»; sono queste le uniche parole che si ottengono dai corridoi ecclesiastici in queste ore. Ma in realtà sia a Roma che a Genova il panorama psicologico non è così tranquillo come si vuol far credere all’esterno. Quando sono apparse le prime scritte, a Genova, i «Servizi» avevano tranquillizzato i vescovi: non c’è un vero allarme, avevano detto, teniamo un occhio attento sui gruppi anarchici e sui centri sociali. Però, avevano aggiunto, se il fenomeno si allarga dovremo andare più in profondità, per vedere se dietro queste manifestazioni apparentemente estemporanee non ci sia un unico motore, o comunque una rete di collegamento. E adesso che dopo Genova insulti e minacce hanno imbrattato anche i muri di Torino, Bologna e Napoli la curiosità degli investigatori si è acuita. Così come, discretamente, è cresciuta la sorveglianza dentro e fuori la cattedrale di Genova, dopo l'episodio dei «santini» blasfemi lasciati a più riprese fra i banchi di San Lorenzo. Agenti della Digos si mescolano ai turisti, e controllano se fra i visitatori non vi siano «postini» di un genere particolare.
La consegna in Vaticano e dintorni è: dimessi, e discreti. Non è la prima volta che uomini di Chiesa sono obbligati a girare con la scorta, (pensiamo a monsignor Riboldi, vescovo di Acerra; al cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo a Napoli; a don Luigi Ciotti e, per un certo periodo anche al cardinale Camillo Ruini), o a quella che si chiama con bellissimo eufemismo «tutela di cortesia»; però la situazione ha colto un po’ di sorpresa i vertici ecclesiastici.
Chi abbiamo sentito, fra i vescovi e oltre le mura Leonine, ondeggia fra due sentimenti. Da una parte si vorrebbe vedere nella proliferazione delle scritte un effetto di imitazione, comune in fenomeni come questi, che forniscono popolarità a basso rischio e una risonanza immediata. D’altro canto si ha la sensazione che non siamo solo di fronte a episodiche sciocchezze; anche perché il fenomeno si inserisce in un clima di polemica caldissima, e che stenta a raffreddarsi, come testimonia il «j’accuse» lanciato da «Avvenire», il quotidiano dei vescovi contro la stampa di estrema sinistra, che alimenterebbe il «brodo di coltura» anticattolico. Per questo il presidente delle Acli, Andrea Olivero, afferma che «dispiace che non accenni ad arrestarsi questo gioco infantile di imitazione delle bravate altrui», ma ricorda anche che «in certi contesti e in certi luoghi il confine tra l’ingiuria, l’intimidazione ed il gesto criminale è tragicamente labile. Per questo è opportuno che le forze dell'ordine indaghino e valutino la reale pericolosità soprattutto delle minacce esplicite nei confronti del presidente della Cei».
La Stampa, 12 aprile 2007
Riflettano i media...
Minacce ai preti, una specialità dei comunisti
di ANTONIO SOCCI
Le scritte apparse a Genova contro il vescovo, attuale presidente della Cei ("Bagnasco a morte", "Bagnasco attento, ancora fischia il vento") corredate da falce e martello, stella delle Br e "P38", sembrano sottovalutate o snobbate. Haidi Giuliani, senatrice di Rifondazione comunista (e madre di Carlo Giuliani) ha dichiarato che sono «scritte stupide», ma «non è da darci tutta questa rilevanza, anche perché can che abbaia non morde». Forse la senatrice Giuliani ha dimenticato che in Italia, nel recente passato, alcuni che abbaiavano minacce poi hanno anche morso. E ferocemente. Parlo dell'estremismo rosso degli anni Settanta che - senza essere stato fermato al tempo dei proclami diventò terrorismo politico ferendo gravemente la nostra democrazia. Il Capo del governo, il presidente della Camera Bertinotti - di solito prodigo di dichiarazioni - insieme con Diliberto e gli altri leader, non avrebbero potuto esprimere pubblicamente la loro solidarietà a monsignor Bagnasco? E non avrebbero dovuto invitare a isolare e condannare i facinorosi che si esprimono con quelle minacce? I politici che hanno manifestato solidarietà al presidente dei vescovi italiani si contano sulle dita di una mano. Stupiscono soprattutto i silenzi fra i politici cattolici (che si sarebbero dovuti sentire più di tutti). Sorprende meno il silenzio di quanti - per dirla con Avvenire non perdono occasione per strillare che «la Chiesa è prepotente e loro sono democratici». Segnali d'intolleranza
Le minacce a Bagnasco peraltro si aggiungono a scritte blasfeme e a manifesti apparsi sempre a Genova dove si vede (in fotomontaggio) il Papa davanti al plotone di esecuzione. Tutti segnali di intolleranza. Non è in atto una pericolosa minimizzazione? Ieri Avvenire non ha drammatizzato, tuttavia in un editoriale ha ammonito che «il salto fra la microcriminalità politica e l'avventurismo di indole terroristica è più probabile se il brodo di coltura è abbondante e caldo al punto giusto. Se gli obiettivi più sensibili sono abitualmente lasciati soli, rispetto allo scherno pubblico e alla maldicenza generalizzata». È per questo che sarebbe preziosa la pubblica condanna di quelle minacce e la solidarietà sincera col presule da parte di tutti i leader. È sensato condividere la conclusione dell'editoriale del Foglio: «La scelta compiuta da settori estremisti di mettere nel mirino (c'è da sperare solo metaforico) i vescovi e il fatto che l'Italia sia ormai l'unico Paese europeo in cui gli ecclesiastici si muovono sotto scorta, descrivono una situazione densa di pericoli sui quali la politica è chiamata a riflettere». È un'analisi giustamente allarmata. Ma c'è da aggiungere che per capire il presente e il futuro possibile bisogna ricordare il passato. Specie se rimosso. Anche il Foglio lo dimentica evidentemente se - nello stesso editoriale - si legge che «il movimento operaio italiano ha sempre considerato la pace religiosa come un obiettivo da perseguire ed è per questo che vedere i suoi simboli tradizionali, la falce e il martello, sotto scritte minatorie nei confronti di un prelato tanto rappresentativo non può essere considerata una "normale" espressione di estremismo». Su questo dissentiamo. C'è - questo sì - la storia dell'articolo 7 della Costituzione che Togliatti fece votare, ma, fuori dal Palazzo, nell'Italia reale c'è anche la storia censurata, di una immensa carneficina del clero italiano, perpetrata da fanatici che inalberavano il simbolo della falce e martello. Altro che don Camillo e Peppone (racconto simpatico, ma lontano anni luce dalla realtà). Don Mino Martelli, prete imolese, fu uno dei primi a rompere coraggiosamente l'omertà storiografica con un paio di volumi sulle violenze rosse contro i preti: «I partigiani comunisti», scrisse nel 1982, «spedirono in Paradiso con un bel rosario di piombo, durante e dopo la guerra, presumibilmente 110 sacerdoti, l'ultimo dei quali nel 1951... A quanto mi consta né i partigiani democristiani (80 mila in Italia), né i repubblicani, né i socialisti, né i liberali, hanno conti- nuato a sparare dopo la guerra. Solo i comunisti - non tutti per fortuna - hanno abbondantemente e impunemente ucciso anche nel dopoguerra e fino al 1951». Ma per 50 anni il silenzio ha avvolto il più grave martirio del clero italiano in duemila anni di storia della Chiesa in Italia (a cui si aggiungono anche i tanti preti massacrati dai nazifascisti durante la guerra). Gli storiografi cattolicodemocratici, che hanno avuto in mano le cattedre universitarie e hanno scritto centinaia di libri e articoli, e sottoscritto tanti appelli progressisti di critica alla Chiesa (anche recenti), sembra non abbiano mai trovato il tempo per alzare i veli su questa immane tragedia. È curioso che il Paese che si dedica da decenni alla commemorazione delle stragi (a cui sono state intestate vie, convegni e perfino delle commissioni parlamentari), non si sia mai voluto accorgere della strage dei preti italiani. Qualche faro si è acceso e qualche riconoscimento di eroismo è arrivato solo per i preti che hanno avuto la ventura di essere massacrati dai nazisti. Ma di solito se n'è fatta occasione di propaganda. È il caso del martirio di don Giovanni Fornasini, ucciso dai tedeschi a Marzabotto. A lui - protestò l'Osservatore romano - «forse per errore o albagia propagandistica fu concessa la Medaglia d'oro al merito partigiano. Uno scherzo della storia! Egli fu soltanto "partigiano" di Dio, ucciso perché lottava per la salvezza delle anime, detestava la violenza, ligio solo alle verità evangeliche, protettore degli innocenti, condannando partigiani e soldati per lo scempio delle popolazioni inermi». Come gli altri parroci uccisi. Don Giuseppe Jemmi, per esempio, aveva anche eroicamente aiutato la Resistenza e fu pure arrestato dai tedeschi. Poi però fece sentire la sua voce di pastore contro gli omicidi dei partigiani: «Fratelli, sta scritto: non ammazzare! Non macchiatevi le mani di sangue. Non ascoltate la tentazione della vendetta. Non siate i figli di Caino...». Così fu ammazzato lui stesso il 19 aprile 1945 e la sua splendida figura è rimasta sconosciuta. Come quelle di tanti altri preti martiri. La svolta di Pansa
Si è dovuto aspettare Giampaolo Pansa che nel 2003 - grazie all'autorevolezza del suo nome, al di sopra di ogni sospetto ideologico ha raccontato, insieme al "sangue dei vinti", anche il martirio di alcuni sacerdoti nel dopoguerra, quando - scrive - «stava cominciando un'altra guerra civile e a tutto campo: partigiani comunisti contro preti, padroni e democristiani». Il sentimento diffuso all'estrema sinistra era che «bisognava prepararsi alla famosa ora X», il "grande cambio", la presa del potere come nei Paesi dell'Est, e, scrive Pansa, «il vero drammatico problema era che nel partito di Togliatti, di Longo, di Secchia, di Amendola, di Pajetta, l'intero gruppo dirigente, compresi i capi locali, non facesse quasi nulla per stroncare alla radice questa convinzione». Sulla scia di Pansa - che ha valorizzato il lavoro di solitari storiografi locali o parroci che hanno sfidato il tabù e l'ostilità ideologica - è uscito il libro Storia dei preti uccisi dai partigiani di Roberto Beretta, che tenta di raccontare tutte queste drammatiche vicende. Con una storia così alle nostre spalle, oggi si deve leggere (lo apprendo da Avvenire) che Liberazione, giornale di Rifondazione, «paragona il clero al Ku Klux Klan». Così la Chiesa italiana, invece del riconoscimento del suo martirio, si prende ancora insulti. Non sarebbe il caso di riflettere a Sinistra?
Libero, 11 aprile 2007
La libertà religiosa fa bene agli atei
di MARCO RESPINTI
La libertà religiosa tutela la libertà di tutti. È una risorsa civile, pubblica, l'aria senza la quale nessun uomo, credente o no, riesce a respirare. È la prima delle libertà perché è quella che definisce e garantisce in piena coscienza il rapporto umano più importante di tutti: il rapporto con Dio, e questo che si sia uomini di fede o no, dunque che il rapporto con il trascendente lo si risolva in un senso o nell'altro. Tutte le altre libertà - libertà "seconde" - si fondano sulla libertà religiosa giacché se un uomo è libero di stabilire in tutta e piena coscienza il rapporto che più ritiene vero, giusto e adeguato con Dio, allora è davvero libero di vivere il resto della vita. Del resto, la libertà religiosa - la libertà, cioè, di culto e di osservanza dei diritti di Dio, oltre che di quelli dell'uomo - non è il relativismo, il latitudinarismo, l'assenza di riferimenti in nome di una vaga idea di licenza assoluta. È questo il tema portante del ciclo di convegni organizzati, in Italia e in Polonia, dall'Istituto Acton - la sezione italiana dell'Acton Institute for the Study of Religion and Liberty, fondato e diretto a Grand Rapids, nel Michigan, da don Robert A. Sirico e da Kris A. Mauren - per celebrare il 15° anniversario della pubblicazione dell'enciclica "Centesmus annus" di Papa Giovanni Paolo II. Del resto, se si volesse sintetizzare con un'idea forte la "mission" dell'Acton Institute, il riferimento cogente allo spirito e alla lettera di quell'enciclica sarebbe la glossa più adeguata. Lo spirito della libertà d'intrapresa - in cui rientrano quella d'impresa economica, quella di espressione e quella di associazione, permesse dalla libertà politica - è amico, fratello dello spirito di religione, e vive nella misura in cui vive l'idea cristiana di uomo, di persona, di società, di diritto, di mercato e di Stato, nonché di relazione tra pubblico e privato. Il prossimo convegno dell'Acton, che conclude la tranche romana del ciclo, si svolge il 2 maggio alla Pontificia Università Lateranense. Intervengono Russell Hittinger, François Michelin, padre Thomas Williams e Andrea Schneider. Per bocca, per esempio, del cardinal Julián Herranz Casado, spagnolo, presidente emerito del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, l'Acton afferma che l'unico vero dialogo possibile fra le diverse civiltà e le diverse culture deve fondarsi su quel rispetto integrale della persona che proprio il cristianesimo propone e difende più e meglio di ogni altro credo. Il cristianesimo, infatti, provoca le altre religioni proprio nell'intuizione che le origina e nella pretesa che le fonda - il rapporto fra uomo e Dio -, sfidandole a essere coerenti e consequenziali: se il rapporto uomo-Dio è quello originario e fondante, nel trattare con l'uomo le divinità delle varie religioni debbono nobilitare e tutelare la natura che costituisce l'uomo. Ma è proprio qui che le religioni segnano il passo, alcune pesantemente, lasciando il cristianesimo solo alla meta. Religioni, peraltro, di ogni tipo, trascendenti e immanenti, quindi ideologie comprese. Ora, il cristianesimo che difende la libertà pure della società laica, talora persino miscredente, è minacciato, addirittura assediato. La libertà religiosa viene conculcata più spesso che no, e con essa avvizziscono o muoiono del tutto anche i diritti civili e le libertà politiche. È la storia, triste, della stagione del totalitarismo ateo, la storia del mondo del relativismo democraticista che ci circonda, la dura realtà dei molti Paesi dove la religione viene imposta a tutti e indiscriminatamente con la forza, senza rispetto per le persone e per le culture, in più facendo coincidere rigidamente legge pubblica e morale religiosa. Per questo, Bernardo Cervellera, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere e direttore dell'agenzia di stampa Asia News, cita il caso - esemplare - della Cina, Paese dove si assiste, malgrado tutto (e soprattutto malgrado le intenzioni del governo che da anni opera per sabotare la Chiesa), alla più classica delle eterogenesi dei fini. Schiacciata a manca, la religiosità, non solo cristiana, rispunta a destra, con sgomento del regime, ma anche con effetti curiosi. Accade infatti che a denti stretti molti funzionari e addirittura gerarchi del Pc cinese confessino oggi di essere credenti, addirittura di adibire, in semiclandestinità, stanze delle proprie abitazioni a chiesette e a cappelle nascoste. La fede irrisa, insomma, ride bene da ultima. Insomma, nel nostro mondo "post-tutto" e annoiato annaspiamo quotidianamente fra i sargassi del dibattito su chi sarebbe più laico di chi, o su come trattare con i credenti quasi fossero dei marziani; nel resto del mondo invece, in quel resto del nostro globo dove per la noia non c'è tempo, si è principalmente occupati a portare a casa la pelle intatta la sera. Ecco, da quelle parti si va ben poco per il sottile. Ben venga, si dice di buon mattino, un missionario, perché così rinasce la libertà, che non è una cosa teorica, ma la possibilità della esistenza in vita. E se poi il missionario è cattolico - si aggiunge subito dopo -, meglio ancora. La sua fede, che magari non coincide con quella di chi ne auspica la venuta, magari nemmeno con quella della maggioranza, è infatti quella che meglio sa articolare il linguaggio della libertà. Per tutti. Così registrano oggi le cronache dei Paesi della persecuzione.
Libero, 11 aprile 2007
L'islam è feroce solo se tocca lorsignori
di RENATO FARINA
Questo articolo è un invito a leggere Oriana Fallaci. Consiglio l'ultima opera: l'intervista a se stessa con allegata l'Apocalisse. Repubblica potrebbe utilmente pubblicarne tre righe al giorno. Ci sono pagine sulle decapitazioni dove si sente dentro le nostre budella il grugnito dei decapitati e il canto macabro degli assassini islamici, con la loro invocazione al Corano e ad Allah. Se invece di farla insultare in prima pagina, scrivendo di lei che Ratzinger ha fatto bene a riceverla, dato che può permettersi di accogliere anche chi non è «perbene», avessero dato un'occhiata ai suoi scritti, magari credendole, oggi forse non ci sarebbero sette piccoli orfani e due vedove in Afghanistan. In quei libri Oriana dice che cos'è l'Islam di questi feroci jihadisti, la loro determinazione a ridicolizzare la buona fede altrui nelle trattative, a farsene un baffo della parola data. Povero autista, povero interprete. Daniele Mastrogiacomo se le avesse un pochino creduto non sarebbe andato a intervistare i talebani come Cappuccetto rosso dal lupo, convinto che avrebbe rispettato le sue trecce. Perché sono tutti così sorpresi? La gente comune l'ha amata e capita. Loro l'hanno trattata come una povera pazza, e da morta subito dimenticata. A Porta a porta, a Matrix, su Sky, dovunque, i politici unionisti mostravano la faccia stupefatta. Dinanzi alle immagini del Tg1, precedenti la decapitazione dell'autista Saied Agha, inerme come un fanciullino, sono caduti dal pero: «I terroristi hanno dimostrato la loro crudeltà, non hanno rispetto dell'umanità!». Dio mio, hanno scoperto che i terroristi sono cattivi. Non hanno detto islamici, non si usa più, neppure il centrodestra lo dice. Repubblica però ha un soprassalto. Quando ti toccano sulla carne viva, almeno per un secondo, non puoi più fingere, e rivedi o almeno metti in soffitta tutte le fesserie del passato. Ecco allora che il direttore Ezio Mauro lascia finalmente a Khaled Fouad Allam la prima pagina. Quelle opinioni su Bin Laden
Fouad Allam è un deputato della Margherita, è un algerino, conosce quelli che prima di buttare giù le Torri gemelle hanno sgozzato duecentomila suoi connazionali. E Repubblica butta via la tesi che lanciare l'allarme sul pericolo rappresentato da questi masnadieri di Allah sia «manutenzione della paura». E vuol far dimenticare quanto scrisse Giuseppe D'Avanzo sulla prima pagina di Repubblica il 4 ottobre del 2005. Testuale: «Osama Bin Laden non è il terrorista apocalittico o il Satana narcisistico della vulgata, ma un leader che fa quel che dice e crede in quel che fa; una "guida" che non vuole cancellare la nostra democrazia, ma scoraggiarci con le armi dal distruggere le cose che l'Islam ama; un uomo che sta vincendo la guerra non con il terrore, ma con le parole...». Con le parole, non con il terrore. Lo spieghi tu, Mauro, alle vedove di Saied e di Adjmal perché hai pubblicato queste stronzate? Un movente agli assassini
Stavolta Repubblica spiega la verità semplice che sapevamo tutti, senza bisogno di andare a far scannare due poveretti che dovevano guadagnarsi il pane come sherpa. Scrive Fouad Allam che i talebani sono islamici capaci soltanto di questo: tagliare le teste, imporre il loro «totalitarismo del terzo tipo». L'interprete-giornalista Adjmal e l'autista Saied sono stati catturati e uccisi non perché uno o l'altro fossero spie - come sostenuto finora da giornalisti bene informati della Rai, che hanno regalato orrendamente un movente ai decapitatori - ma perché costoro erano alieni all'Islam fondamentalista. Uccisi in quanto musulmani traditori, tanto che accompagnavano un occidentale. La conclusione di Repubblica stavolta viene da sé: con i talebani è impossibile avere rapporti, fare trattative, la loro essenza è l'orrore. Non perché siano incolti o barbari per ragioni ancestrali, ma per motivi ideologicoreligiosi. Lo avevamo scritto due giorni fa: sono i deobandi, gli allievi figli della madrassa di Deoband ieri citata da Repubblica. Hanno 12mila (dodicimila!) campus nel mondo. Sono quelli che hanno spedito i loro fratelli inglesi nelle metropolitane di Londra il 7 luglio del 2005. I loro leader hanno perfezionato studi e cognizioni tecnologiche in Europa e in America. Sono in Italia. Non girano coi kalashnikov da noi. Ma sono la stessa banda. Lo scoprite adesso, amici di Repubblica? Lo sappiamo, tra un attimo dimenticherete. Adesso dicono: ah il terrore! Ci domandiamo. Ehi, eravate voi, compagni dei Ds e giornalisti di Repubblica, a berciare infamie e lanciare barriti contro Oriana Fallaci che diceva queste stesse cose, o abbiamo sbagliato film? Qualcuno ha letto, non diciamo Libero con le modeste descrizioni a mia firma di alcune decapitazioni, ma almeno la Fallaci? I lugubri canti, la morbida gola tranciata. Non erano animali, ma uomini anche allora. Perché avete fatto finta di nulla? Un filmato da nascondere Ora ci tocca vedere il filmato che i talebani hanno ripreso con buona tecnica, ottimi giornalisti, direbbero i signori dell'Ordine, non sono intervenuti a modificare la realtà magari cercando di chiamare qualcuno in soccorso, ma hanno filmato con oggettività, meritano un premio questi reporter talebani, non è vero? Se intervenivano invece che limitarsi a prendere appunti avrebbero violato lo statuto di testimone neutrale, un problema deontologico serio... Non a caso i talebani, che conoscono i meccanismi della comunicazione, hanno diffuso il filmato di Mastrogiacomo impotente e lacrimante che invoca la «carità cristiana» trasformandola nell'invocazione di uno che non vuol condividere la sorte di un compagno, e non hanno invece diffuso le immagine della morte «da eroe risorgimentale» (Fallaci) di Fabrizio Quattrocchi. Se avessimo letto e riletto Oriana non saremmo in questo stato di palese impotenza, servi sciocchi degli assassini che ridono di noi.
Libero, 12 aprile 2007
Vedi anche:
Joseph e Oriana, l'incontro di due menti eccelse
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