17 aprile 2007

Ratzinger, un Papa gia' nella storia...


In questo post riportiamo alcuni editoriali ed articoli sulla figura di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, scritti da autorevoli intellettuali e politici.
E' fuori di dubbio che Papa Benedetto sia un Pontefice storico. Chi non lo ammette e', appunto, fuori dalla storia oltre che fuori dalla logica.

Raffaella


Benedetto XVI, l'intellettuale di cui avevamo bisogno

di MICHAEL NOVAK

Pubblichiamo per gentile concessione della rivista "Liberal" (diretta da Ferdinando Adornato) stralci dell'articolo di Michael Novak su Benedetto XVI contenuto nel numero in uscita, dedicato interamente al pontefice, su cui compaiono anche articoli di José Marìa Aznar, Sergio Belardinelli e Robert Sirico. Considerando anche solo i Papi saliti al soglio pontificio nel corso della mia vita, cioè Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e, oggi, Benedetto XVI, è sorprendente rilevare quanto siano profonde le differenze di carattere e personalità che li contraddistinguono. Diventare il Vescovo di Roma non significa, naturalmente, omologarsi e diventare plasmabili in un'unica, identica forma. Il Papato è una carica che lascia molto spazio all'individualità. Tenuto conto dell'ampia varietà di mentalità, sensibilità e caratteri mostrati dai diversi successori di Pietro, l'essenziale coerenza della dottrina della Chiesa nel corso della storia appare ancor più rimarchevole. Infatti, una delle caratteristiche più evidenti di Papa Benedetto XVI è costituita dalle profonde differenze esistenti tra questi e Papa Giovanni Paolo II, nonostante i due abbiano vissuto una profonda comunione di spirito e una stretta collaborazione per moltissimi anni. Karol Wojtyla era un attore nato. Tutto ciò che faceva lo faceva con stile, con un tocco di teatralità, un brillante umorismo e un'istantanea capacità di comunicazione con il proprio pubblico. Il ruolo che egli ha interpretato sulla scena internazionale è stato uno dei più grandi mai interpretati prima da alcun altro Papa nella storia. Ha saputo realmente determinare il destino dell'epoca in cui è vissuto, molto più di quanto abbia fatto la Chiesa cattolica. Con il suo amore per ruolo pastorale universale del Vescovo di Roma, Giovanni Paolo II è stato visto in carne e ossa in più parti del mondo e da un numero maggiore di persone rispetto a qualsiasi altro Papa nella storia dell'umanità. Persino per i suoi funerali è giunta a Roma la più vasta moltitudine di persone che si sia mai vista confluire in un'unica città nel corso dei tempi. Benedetto XVI non è meno amato: alle sue udienze del mercoledì partecipano anche più persone di quante assistessero a quelle del suo predecessore e, nel mondo, è percepibile un affetto sobrio ma vivo per la sua persona. Tuttavia, i suoi non sono i modi di un attore, bensì quelli di un professore, seppure molto garbato, persino affettuoso, che ama insegnare e scherzare con i propri allievi mentre fa lezione. La passione per la sua materia si irradia e attrae chi lo ascolta. Mostra il proprio amore per la disciplina, in modo da accendere quella passione anche nel suo pubblico. Giovanni Paolo II insegnava con la verve del grande attore e del coraggioso condottiero di popoli. Benedetto XVI è un insigne professore dai toni pacati, adatti all'aula scolastica. Il profondo amore che nutre per quanto insegna è persino più interessante e seducente della sua tanto ammirata limpidezza intellettuale. La sua prontezza la deve a Bonaventura (più che a Tommaso d'Aquino), mentre il suo stile s'ispira a quello del francescano più che del domenicano. Le due tradizioni hanno molto in comune, ma ciascuna ha le proprie peculiarità distintive. Una è logos, l'altra è caritas. Va da sé che, sin dai primi istanti successivi all'annuncio del suo nome, ho provato un affetto particolare per Giovanni Paolo II (...). Ero particolarmente toccato dalle sue origini polacche, perché le radici della fede della mia famiglia erano radicate nella confinante Slovacchia. (...). Eppure, sono lieto di rilevare con quanta rapidità Josef Ratzinger abbia impresso la propria personalità sul soglio pontificio, senza imitare Giovanni Paolo II, né discostandosi da tutto quanto realizzato dal suo predecessore. Più Benedetto XVI resterà in Vaticano, più potremo scorgere i tratti distintivi della personalità che lo rende a immagine di Dio, in una maniera che gli è assolutamente propria, diversa da quella di Giovanni Paolo II. (...). In altri ambienti, è vero, si ode un mormorio. I maggiori sostenitori della necessità di riorganizzare l'amministrazione burocratica di Roma dubitano che ciò accada con Benedetto XVI. Tale importante e oneroso compito era stato ignorato dal Papa precedente, i cui occhi vivi e scintillanti si erano posati su moltissime correnti e innumerevoli luoghi della terra. Queste persone potrebbero restare sorprese. Esiste un particolare tipo di intelletto, sobrio, che predilige la chiarezza e la pazienza, il quale contempla pacatamente, pondera e agisce soltanto quando ciò che deve essere fatto risulta chiaro e il momento è quello giusto. Dubito che Benedetto, o qualsiasi professore, sia attratto dall'idea di riorganizzare un'imponente istituzione burocratica. Ma questo nuovo Papa è intelligente e coraggioso. E potrebbe farlo. Tuttavia, ciò di cui attualmente la Chiesa ha maggiormente bisogno è un'azione di natura intellettuale. Ha bisogno di essere guidata e consigliata nel far fronte al jihadismo omicida da un lato e all'islam in quanto religione dall'altro. Su questo punto, Benedetto ha asserito con chiarezza che l'islam è una religione niente affatto analoga al giudaismo e al cristianesimo. La sua idea di Dio è quasi completamente diversa: non è quella del Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe e Gesù. La sua idea della persona umana è molto diversa. Il suo senso della libertà religiosa è, almeno finora, immaturo e manca quasi completamente della comprensione delle leggi dello sviluppo della dottrina di secolo in secolo. Quindi, quando i jihadisti esaltati invocano a gran voce l'imposizione della legge della Sharia dell'Undicesimo secolo, nessuno ha l'autorità, né le argomentazioni, per deriderne l'assurdo riposizionamento all'indietro delle lancette dell'orologio. Papa Benedetto XVI ha formulato un pensiero alquanto originale e brillante: il dialogo tra l'islam e la cristianità sul piano della religione è pressoché impossibile, ma può e deve esservi dialogo tra culture islamica e cristiana.

Libero, 15 aprile 2007



IL PAPA DELLA SVOLTA

L'unico (ultimo?) statista europeo

di Ferdinando Adornato

Il 16 aprile 2007 Joseph Ratzinger compie 80 anni

Nell’estate del 2001, su liberal, avevamo definito Karol Wojtyla «l’unico (l’ultimo?) grande filosofo morale». La definizione piacque molto al Papa polacco, forse anche per via di quell’interrogativo che lanciava l’inquietante allarme sull’estinzione della filosofia morale dalla scena pubblica occidentale. Sei anni dopo, purtroppo, il quadro non è cambiato. Solo il mondo cristiano, in Europa, sembra farsi carico della responsabilità di continuare la narrazione etica sulla quale sono state edificate le democrazie occidentali. Certo, anche grazie al nostro lavoro culturale (assieme a quello di altri autorevoli opinion maker) il cosiddetto «mondo laico» si è diviso e sono sempre di più coloro che prendono le distanze dalle posizioni radical-laiciste; ma non c’è dubbio che la più diffusa filosofia del nostro tempo resta il relativismo culturale. E non c’è dubbio che l’Europa sia, in modo assai evidente, un continente «a rischio» di declino storico, culturale e spirituale.

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Proprio lui, Ratzinger, lo ha scritto con precisione quasi matematica: «Io vedo una sincronia paradossale: con la vittoria del mondo tecnico-secolare post-europeo, con l’universalizzazione del suo modello di vita e della sua maniera di pensare, si diffonde, specialmente nei Paesi strettamente non europei dell’Asia e dell’Africa, l’impressione che il sistema dei valori dell’Europa sia giunto alla fine e sia anzi già uscito di scena; che sia giunta l’ora dei sistemi di valori di altri mondi, dell’America precolombiana, dell’islam, della mistica asiatica. L’Europa, proprio nell’ora del suo massimo successo, sembra svuotata dall’interno, come paralizzata da una crisi circolatoria, che mette a rischio la sua vita affidandola a trapianti che ne cancellano l’identità. Al cedimento delle forze spirituali portanti si aggiunge un crescente declino etnico. C’è una strana mancanza di voglia di futuro. I figli, che sono il futuro, vengono visti come una minaccia per il presente. Ci portano via qualcosa della nostra vita, così si pensa. Non vengono sentiti come una speranza, bensì come una limitazione». Ebbene: qualcuno può negare l’obiettiva verità di quest’analisi? Chi parla così è uno statista: eppure dalla bocca dei leader della nostra vecchia Europa non si sente uscire nulla di simile, manca il respiro di un’analisi e di una denuncia che ormai mettono in discussione le basi stesse della nostra futura convivenza. Tramonto culturale, tramonto spirituale, tramonto politico, tramonto demografico: il crocevia storico nel quale ci troviamo a vivere non ammette sottovalutazioni. Sì, certo, qualche allarme ogni tanto viene lanciato da questo o da quel vertice, qualche statistica demografica ogni tanto affatica la riflessione politica, ma poi alla fine la pigrizia e l’apatia prendono il sopravvento. La verità è che l’Europa non ha statisti all’altezza di raccogliere la sfida che il destino ci ha riservato.

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Joseph Ratzinger è arrivato al soglio di Pietro accompagnato dalla sua immagine di teologo. Di più: con la fama dell’ideologo conservatore e intransigente. Capace, ancor meglio di Wojtyla (ma con maggiore rigidità) di argomentare razionalmente intorno al valore della fede e di sedurre con la sua sofisticata verbalità. Dopo il Papa operaio e popolare, il Papa intellettuale e aristocratico. Il breve tempo trascorso dalla sua elezione si è già incaricato di smentire la superficialità di tale fotografia delle cose. Ma forse sta accadendo qualcosa di ancor più inaspettato. Wojtyla ha realizzato una «rottura epistemologica» rispetto alla cultura occidentale del Ventesimo secolo. Ha chiamato l’umanità contemporanea a ritrovare le ragioni morali del proprio essere al mondo, ha chiesto di riaprire le porte alla speranza, ha presteso di ricollocare al centro della vita pubblica la persona come imago Dei. Ha, insomma, divelto le barriere che il Ventesimo secolo aveva eretto contro ogni sorta di filosofia morale umanista: cristiana, liberale o ebraica che fosse. Ebbene sembra quasi che oggi Ratzinger senta fortemente, oltre che il compito di proseguire con strumenti intellettuali più sofisticati l’opera filosofica di Wojtyla, l’esigenza di operare affinché la «rottura epistemologica» di Giovanni Paolo II, soprattutto in Europa, diventi valore civile e istituzionale. No, non stiamo parlando di un nuova era di «ingerenza politica». Lasciamo al laicismo ignorante l’uso di definizioni che non potrebbero in nessun caso corrispondere alla maturità delle nostre democrazie. Stiamo parlando, piuttosto, del grande compito di indicare all’Europa la via per mettere in relazione il proprio passato con il proprio presente e il proprio futuro. In altri termini la via per evitare il proprio tramonto: giacché ogni declino nasce essenzialmente dall’incapacità di chi governa popoli e Stati di tenere insieme la continuità della propria storia. Di capire le ragioni dell’evoluzione, di vigliare sui rischi dell’involuzione. Ripetiamolo: nessun leader europeo sembra capace di compiere tale operazione che è prerogativa unica ed esclusiva dell’essere «statista». Al contrario, dal discordo di Ratisbona fino alle ultime perorazioni sul pericolo del declino etnico, Benedetto XVI proprio intorno all’assunzione di questa responsabilità chiama le genti d’Europa. Proviamo a leggere i suoi discorsi senza pensare al suo ruolo pontificio: ebbene troveremo gli accenti di un europeo, figlio di un secolo tremendo, che invita i suoi fratelli ad agire per rovesciare il segno della storia. La circostanza che egli sia tedesco rende ancora più sacro il suo appello.

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Il fatto è che Ratzinger ha capito una cosa che pochissimi intellettuali e politici europei hanno capito: che la nefasta eredità dei totalitarismi è ancora presente tra noi, che la cultura europea, in fondo, non è ancora uscita dal Ventesimo secolo, non si è ancora liberata dai miasmi delle ideologie totalitarie. Ascoltiamolo: «I sistemi comunisti sono naufragati per il loro fallace dogmatismo economico. Ma si trascura troppo volentieri la parte avuta dal disprezzo dei diritti umani, dalla subordinazione della morale alle esigenze del sistema e alle promesse di futuro. La più grande catastrofe che hanno incontrato non è di natura economica; essa consiste nell’inaridimento delle anime, nella distruzione della coscienza morale. Il problema essenziale della nostra ora per l’Europa e per il mondo è che, se da un lato si riconosce la fallacia dell’economia comunista, tanto che gli ex comunisti sono diventati senza esitazione liberali in economia, dall’altro la questione morale e religiosa, di cui propriamente si trattava, viene quasi completamente rimossa. Così il nodo irrisolto del marxismo continua a esistere anche oggi: il dissolversi delle originarie certezze dell’uomo su Dio, su se stessi e sull’universo. Il declino di una coscienza morale basata su valori inviolabili è ancora il nostro problema e può condurre all’autodistruzione della coscienza europea, che dobbiamo cominciare a considerare - al di là del tramonto previsto da Spengler - come un reale pericolo». Così certamente deve parlare un Papa. Ma, se gli argomenti prodotti sono autentici, come sono, così dovrebbe parlare anche uno statista, ogni leader appassionato alla sorte delle proprie terre. Di fronte alla chiarezza di Benedetto XVI troviamo invece balbettii, impotenze, paure, calcoli di interesse. Come ha osservato George Weigel, Ratzinger non è un Papa eurocentrico, ma fin dalla scelta del suo nome, Benedetto, ci ha detto di voler lottare per recuperare all’Europa la sua unità spirituale, culturale e politica e lo sta facendo con grande tenacia e passione. Perciò nel quadro di un continente sfibrato, superficiale e impotente egli ci appare, nel pieno dei suoi ottant’anni, come l’unico grande statista europeo. Sperando che non sia l’ultimo.

Liberal n. 40 - maggio-giugno 2007


Dietro il portone di bronzo

Ratzinger, il Papa che guarda ad Oriente

di Lo Svizzero

Oramai lo sostengono in molti, sulla riva destra del Tevere. E una siffatta opinione si è rafforzata nelle ultime settimane, particolarmente durante le festività religiose della Pasqua 2007. C'è anche da chiosare la persuasione dei più, attenti come sono tutti gli osservatori, a mandare a mente i sia pur infimi gesti che di solito preludono ad impegnative iniziative il cui sbocco finale lascia certe volte con il fiato sospeso, non soltanto personaggi che vanno per la maggiore, ma anche i relativi e sempre disponibili interpreti degli stessi. Vediamo dunque l’ultimo di quei tali gesti assai indicativi, pur nella loro apparente vacuità. E’ quello di chiamare in primo piano a portare la croce del Papa una cittadina cinese, dal nome ignoto, di religione cattolica, durante la Via Crucis al Colosseo, sotto gli occhi di tutto il mondo televisivo. Un gesto, questo del venerdì prepasquale, che ha rivestito di ulteriori significati i periclitanti rapporti sino-vaticani, dopo l’insistente (ma sempre ufficialmente rifiutata) “mano tesa” della Santa Sede alla agnostica (a dir poco) Repubblica popolare cinese, verso la quale si appuntano da tempo i “riguardi” del vertice cattolico. Quel gesto, almeno all’apparenza poco rilevante, è stato il prodromo dell’ultima – in ordine di tempo – iniziativa vaticana verso i dirigenti di Pechino.

C’è voluta l’indiscrezione (probabilmente intenzionale) sulla mini-offensiva diplomatica verso la Cina da parte papale, ennesimo tentativo volto a varcare quella specie di cortina di bambù ridotta quasi a una trincea soltanto verso il cristianesimo. Una indiscrezione – dicevamo – uscita dalla bocca di uno dei residui cardinali cinesi, l’arcivescovo di Hong-Kong, l’irrequieto Joseph Zen, non nuovo a siffatti calambours. Egli ha anticipato la notizia di una prossima lettera del Papa ai dieci milioni di cattolici cinesi. Ma la sorpresa non è tutta qui, anzi, il meglio viene dopo, e cioè che Ratzinger intende compiere un gesto di inusitata cortesia nei confronti dei massimi dirigenti di Pechino, i quali riceveranno in anteprima l’epistola in questione: cosa inconsueta davvero di deferenza papale, prodromo di altre iniziative volte a favorire il ripristino dei rapporti diplomatici tra il fu “Celeste Impero” e la sempre uguale a se stessa Santa Sede, che forse riuscrà ad ammorbidire il granitico “no” dei dirigenti pechinesi più intransigenti. Non è però soltanto questo l’incipit della rinascita di una ben più controllata che in passato “apertura a est” di cui si vocifera da qualche tempo; c’è dell’altro che bolle nella pentola diplomatica pontificia, sempre connotato ad Oriente.

Riguarda, questa volta, la nuova Russia, i cui rapporti con il Vaticano conoscono prospettive positive e migliori intese non soltanto personali ma anche politiche e – si può legittimamente aggiungere – religiose. Infatti il disgelo fra cattolici e ortodossi è un dato di fatto in continua inarrestabile evoluzione, tanto che la prospettiva di un viaggio di Ratzinger a Mosca e dintorni si fa sempre più concreta, anche perché la posizione del Patriarca di tutte le Russie Alessio II va facendosi man mano più morbida: non a caso si parla di una sua visita ufficiale a Bari, in occasione di una ricorrenza ecumenico-orientale di stampo ortodosso. Forse potrà essere quella l’occasione di un chiarimento definitivo e l’inizio di una entente più concreta.

Bisogna pur dire che c’è una sorta di “mediatore” tra il Papa di Roma e il patriarca della “terza Roma”. Il suo nome – incredibile dictu – è Vladimir Putin, che da tempo si è prefisso di saldare la frattura fra cattolici e ortodossi, oltretutto senza che nessuno glielo abbia chiesto, e dunque evidentemente sospinto da chissà quali obiettivi non certo religiosi. Ma, come lo si consideri, questo della mediazione laica è un fatto di grande rilievo che stimola gli osservatori a insistere sulla tesi che Ratzinger è un Papa con lo sguardo rivolto insistentemente a Oriente, forse per compensare le “defezioni” di un Occidente senza qualità. Religiosa, s'intende.

L’opinione


Questo papa supera il nichilismo con la forza del paradosso cristiano

di Gianni Baget Bozzo

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Papa Joseph Ratzinger si situa nello spartiacque che divide la maggioranza del Concilio Vaticano II. Ci sono due fondamentali linee di interpretazione interne alla maggioranza conciliare: la prima è quella che pensa ad una Chiesa interna alla storia e capace di condurre la crisi della coscienza occidentale, segnata dalla rivoluzione, facendo del grande pensiero moderno razionalistico il criterio di riferimento per rinnovare la Chiesa a partire dal futuro del mondo. La politica viene delineata come un orizzonte escatologico di cui i cristiani amerebbero essere la coscienza che spinge alla realizzazione della totale libertà individuale nella totale libertà collettiva. L’autore di riferimento dottrinale di questa corrente è l’antropologia trascendentale di Karl Rahner che vede il divino come trascendentale alla storia umana, come la categoria non detta che rende possibili tutti i giudizi. L’esito massimo di questa teologia è la teologia della liberazione; anche la teologia delle religioni sembra giungere a un trascendentale implicito in tutte le religioni.
La seconda corrente, di cui Ratzinger è diventato capofila, pensa invece al rinnovamento della Chiesa partendo dalla teologia biblica e dalla teologia patristica, e cercando di liberarla dall’essere un capitolo della metafisica fondata sulla grande tradizione tomista. Si contrappone all’idea di un dissolvimento nel futuro della realizzazione della storia mantenendo la differenza escatologica tra Chiesa e storia e la conclusione della storia nell’escatologia cristiana: il giudizio e la resurrezione. Ratzinger è l’uomo di questa scuola. Egli pensa i problemi della teologia come inerenti al linguaggio della Rivelazione che è, in sé stesso, paradossale. Lo si vede nella proposizione fondante la religione cristiana: Gesù Cristo è Dio.
C’è una frase del Cusano che Ratzinger ama citare: “non essere limitato dal massimo, essere contenuto dal minimo è divino”. Cioè non essere limitato dalle galassie e contenuto nel corpo di Cristo eucaristico. Alla base di un linguaggio cristiano non vi è la metafisica, ma il fascino dell’ossimoro e la forza del paradosso. La miglior prova della trascendenza di Dio rispetto al creato è data non dalla sua gloria ma dalla sua crocifissione. Su questo ossimoro paradosso si gioca il parlare di Benedetto XVI il cui fascino è sapienzale. Egli parla alla Chiesa dei padri oltre la grande ricchezza scolastica del secondo millennio. Di fronte al nichilismo egli offre il superamento dei contrari nella coincidenza degli opposti che è il paradosso cristiano di Dio.

L’occidentale

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