8 ottobre 2007

Il riavicinamento fra Cattolici e Ortodossi: a Ravenna si discute di Primato Petrino e questione ucraina


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Ravenna, il dialogo tra cattolici e ortodossi riparte dal ruolo del papa

di Matteo Spicuglia

Primato petrino e questione ucraina: riprende il confronto tra cattolici e ortodossi. Dopo la sessione di Belgrado dell'anno scorso, oggi pomeriggio torna a riunirsi la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico. Un'analisi.

Primato petrino e questione ucraina: riparte da Ravenna il confronto tra cattolici e ortodossi. Dopo la sessione di Belgrado dell'anno scorso, oggi pomeriggio riprendono i lavori della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa. Un organismo tornato a riunirsi nel 2006 dopo sei anni di stallo, con l'obiettivo di mettere sul tavolo gli ostacoli principali sulla via del dialogo, attraverso la redazione di un documento, intitolato "Conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Conciliarità, e sinodalità nella Chiesa". "Il suo studio - ricorda il Pontificio consiglio per l'unità dei cristiani - era stato sospeso per affrontare le questioni relative alle relazioni dell'Ortodossia con le Chiese orientali cattoliche, a seguito del crollo dei regimi comunisti in Europa orientale. Ma con la plenaria di Belgrado, la commissione ha riattivato il suo normale iter teologico".
Nella capitale serba non vi furono progressi sostanziali, anche se, come spiegò il card. Walter Kasper, si registrò "un'atmosfera molto serena ed amichevole". Ora, il confronto continua a Ravenna, in un contesto che lascia spazio alla speranza: ci sono le aperture ecumeniche di Benedetto XVI e i segnali lanciati durante il pontificato, ma anche la disponibilità a dialogare dei capi delegazione, specie quello ortodosso, il metropolita di Pergamo Ioannis, una delle figure più aperte del patriarcato ecumenico.

I MEMBRI DELLA COMMISSIONE. La Commissione è paritetica, con 30 membri cattolici e altrettanti ortodossi. Guidata da due co-presidenti, il card. Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei cristiani, e dal metropolita di Pergamo Ioannis Zizioulas, annovera da parte cattolica cardinali, vescovi, sacerdoti e laici esperti in varie discipline, e da parte ortodossa i membri mandatari di tutte le Chiese che partecipano al dialogo teologico (i patriarcati di Costantinopoli, di Mosca, quelli greco-ortodossi di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, la chiesa ortodossa di Cipro, quella di Grecia). Presenti anche due co-segretari, il metropolita Gennadios e mons. Eleuterio Fortino, sottosegretario del dicastero per l'Unità dei cristiani.

IL PROGRAMMA. Oggi, alle 18, tutti i componenti parteciperanno a un ricevimento di benvenuto offerto dal prefetto. Alle 19,30 nella basilica di Sant'Apollinare in Classe l'arcivescovo di Ravenna-Cervia, mons. Giuseppe Verucchi, presiederà la celebrazione dei vespri. Le riunioni della Commissione si terranno, invece, da domani mattina presso il Polo di Sant'Apollinare Nuovo. Sabato 13, alle 18, nella cattedrale di Ravenna, il card. Kasper concelebrerà una messa alla presenza di tutti i componenti, cattolici e ortodossi, mentre domenica mattina, nella basilica di San Vitale sarà officiata la divina liturgia ortodossa alla quale assisteranno anche i membri cattolici. Lunedì 15, la conclusione.

IL PRIMATO PETRINO. Come detto sopra, la commissione riprenderà il confronto lì da dove si era arenato, iniziando dal ruolo del papa. Un tema su cui si riflette da tempo, che vede aperture interessanti da parte cattolica. A riguardo, rimane significativo il simposio accademico sul ministero petrino, svoltosi a Roma nel maggio del 2003, per volere di Giovanni Paolo II, che già nel 1995, nell’enciclica "Ut unum sint", si era detto disposto a "trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione", potesse aprirsi "ad una situazione nuova". Gli atti del simposio furono poi raccolti in un libro curato dal cardinale Walter Kasper, "Il ministero petrino. Cattolici e ortodossi in dialogo", che fu presentato a Roma il 14 ottobre del 2004, alla presenza del metropolita di Pergamo Ioannis Zizioulas del Patriarcato ecumenico e il prof. Hermann Joseph Pottmeyer, docente emerito presso la Katholisch-Theologische Fakultät della Ruhr-Universität di Bochum in Germania. In quella occasione erano state ripercorse le giornate di lavoro del 2003, a cui avevano partecipato cinque specialisti cattolici e undici delegati in rappresentanza di alcune Chiese ortodosse.
Dal Simposio erano emerse in primo luogo le diverse concezioni teologiche,con un sostanziale disaccordo addirittura sul significato del passo della Scrittura in cui Gesù chiama Pietro "la roccia" su cui edificare la propria Chiesa. "Pietro è una figura preminente nel Nuovo Testamento, ma non la sola", aveva detto al Simposio il rev. Theodore Stylianopoulos, docente emerito della Holy Cross Greek Orthodox School of Theology di Brookline (Stati Uniti), dell’arcidiocesi greca ortodossa d’America. "Nessuna singola figura apostolica gode di una dominazione universale o autorità esclusiva nel Nuovo Testamento; - aveva spiegato - quindi "il ‘primato’ di Pietro non è potere sopra altre figure apostoliche, ma una leadership autorizzata nel contesto di un’autorità apostolica condivisa nella vita comune della Chiesa". Per i cattolici, però, il dialogo tra Gesù e Pietro indica con chiarezza il ruolo dell’apostolo come capo della Chiesa, aspetto visto anche alla luce della tradizione, compresa quella del primo millennio, che precede lo scisma tra Est e Ovest.
Nessuna base comune, quindi, ma i partecipanti al Simposio indicarono alle rispettive Chiese alcuni passi preliminari da compiere. Agli ortodossi era rivolto l’invito a riconoscere una qualche forma di potere ai loro patriarchi, ammettendo così anche quello del papa. Nel contempo, la Chiesa cattolica era chiamata a riconoscere piena dignità alle Chiese locali, senza che i vescovi siano trattati come semplici rappresentanti del papa. In questa prospettiva, aveva spiegato Stylianopoulos, il pontefice "non dovrebbe interferire nella Chiesa locale senza il suo consenso".
Questi aspetti sono entrati nel dibattito già alla sessione di Belgrado, a tal punto che mons. Vincenzo Paglia, responsabile per l'ecumenismo della Cei, poteva dire a Korazym.org che "oggi non si tratta più di discutere sulla legittimità di un primato, ma di come esercitarlo". In concreto? "È fuori di dubbio che il dibattito relativo al papato si giochi nella prospettiva della sinodalità", ovvero "ragionare sull’idea di una collegialità presente a livello diocesano, di patriarcato e, perché no, anche a livello universale". "In questa prospettiva, - spiegava mons. Paglia - diventa importante la disponibilità della Chiesa ad accettare la sinodalità, così come gli ortodossi devono fare con il primato”.
Un approccio confermato anche da mons. Bruno Forte, vescovo di Chieti e membro della commissione che, sempre a Korazym.org, spiegava: "Le Chiese ortodosse faticherebbero ad accettare un esercizio del primato che svuotasse di contenuto l’autorità dei sinodi e dei patriarchi. Essi hanno bisogno di vedere riconosciuta la struttura sinodale delle loro Chiese e quindi di concepire il primato del vescovo di Roma come un riferimento necessario ma ultimo della comunione, non immediato. E‘ su questo che la riflessione dovrà andare avanti per capire se e fino a che punto siano possibili due diverse modalità d’esercizio, una per la Chiesa latina consacrata ormai da secoli d’esperienza e un’altra per le Chiese ortodosse ritornate in piena comunione con Roma, quando questo sarà”.

LA QUESTIONE UCRAINA. Rimane poi da risolvere il problema del cosiddetto uniatismo in Ucraina. Il riferimento è alla complessità del mosaico religioso del Paese, formato dalla Chiesa ucraina-ortodossa che si riconosce nel Patriarcato di Mosca, la Chiesa ucraina-ortodossa del Patriarcato di Kiev, la Chiesa ortodossa autocefala ucraina e infine la Chiesa greco cattolica, detta anche "uniata", legata all’ortodossia orientale sia per i riti che per i costumi, ma fedele al papa di Roma.
Ed è proprio su questo punto che si consumò una delle repressioni religiose più violente del 20mo secolo. Per decisione dell’Unione Sovietica, con il tacito consenso della Chiesa ortodossa russa, la Chiesa greco cattolica fu liquidata con un colpo di mano, attraverso uno pseudo concilio, meglio conosciuto come "Concilio illegale di Riunificazione" che si svolse a Lviv dall'8 al 10 marzo 1946. Una frangia formata da alcuni vescovi si avocò il diritto di abolire l’unione con Roma, riconducendo tutta la metropolia sotto il patriarcato di Mosca: la cattedrale di San Giorgio diventò così la sede dell'arcivescovo ortodosso russo Makariy, le proprietà e le chiese dei greco cattolici furono incamerate, mentre i vescovi e i sacerdoti che non accettarono il nuovo corso conobbero la realtà dei lager (un esempio fra tutti, quello del metropolita Josyp Slipyi, liberato nel 1963 dopo 18 anni di prigionia, per intervento di Giovanni XXIII). Con il 1946, per la Chiesa greco cattolica iniziò il tempo delle catacombe, segnato da persecuzioni di massa, che tuttavia non impedirono alla Chiesa di mantenere una sua integrità e continuità.
Soltanto nel 1989, con la caduta del muro di Berlino, i greco cattolici poterono riemergere, nonostante i numerosi attacchi delle autorità di Stato e le polemiche all'interno della Chiesa ortodossa. Sta di fatto che negli anni ’90, la maggior parte degli ucraini occidentali tornarono alla Chiesa greco-cattolica, che cominciò lentamente il suo cammino verso la normalità. La Domenica delle Palme del 1991, il capo della Chiesa ucraina, cardinale Lubachivs'kyi (predecessore del cardinale Husar alla guida del sinodo) tornò dall'esilio, nel 1993 furono create quattro nuove diocesi (Kolomyia-Chernivtsi, Sambir-Drohobych, Ternopil' e Zboriv) e nel 1994 riaprì le porte l'Accademia Teologica di Lviv. Un itinerario a tappe che è proseguito fino ad oggi, con il trasferimento della sede dell’arcivescovo maggiore da Lviv a Kiev (dicembre 2003), ma soprattutto con la richiesta formale alla Santa Sede di vedere riconosciuto un diritto fondamentale: la costituzione in Ucraina di un patriarcato, come riconoscimento della storia eroica dei greco cattolici, ma anche come aspetto previsto dal diritto canonico per le Chiese particolari.
Giovanni Paolo II si era sempre mostrato favorevole all’idea e vicino ad una Chiesa perseguitata per così tanto tempo da un nemico che l’ex arcivescovo di Cracovia conosceva bene. Tre anni fa, però, nel momento in cui la decisione del papa stava per essere comunicata, il progetto si arenò di fronte alla ferma opposizione della Chiesa ortodossa, che attraverso il patriarcato di Mosca e il patriarcato ecumenico di Costantinopoli, minacciò addirittura di interrompere ogni relazione ecumenica con la Chiesa cattolica. L’istituzione di un patriarcato a Kiev, infatti, veniva letta come un’ingerenza in un’area considerata d'influenza dell’ortodossia e soprattutto un chiaro segnale sulla strada del proselitismo. La crisi con gli ortodossi fu risolta rinviando la questione proprio alla Commissione mista. Il futuro della Chiesa ucraina passa anche da Ravenna.

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