8 ottobre 2007
Il giurista Böckenförde: conoscere il Cristianesimo per superare l'ignoranza sulle altre religioni e per conservare la nostra cultura
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Anticipazione
«La comunità politica chiede alle Chiese l’ethos necessario al suo funzionamento»
DI ERNST-WOLFGANG BÖCKENFÖRDE
E' del tutto indifferente se in una comunità politica esistono una o più religioni, oppure una comunità fondata sulla libertà per esistere deve riferirsi alla religione, o a una religione particolare, senza però poter garantire la sua esistenza? Alla base di questa domanda sta un’altra domanda, e cioè: dove trova lo Stato, la comunità politica, il suo fondamento spirituale e la comunanza che le è necessaria, se a tal fine non può essere presa in considerazione la religione, in quanto sprovvista del carattere di obbligatorietà universale? Questa base condivisa può venire allo Stato in un’altra maniera, per esempio attraverso l’eredità politico- culturale, o la cognizione razionale, o il consenso effettivo? Oppure in quel caso, come disse ad esempio Hegel, essa resta sospesa 'nell’aria', sicché ha bisogno di una cosiddetta religione civile?
In epoche precedenti la religione era la forza connettiva più grande dell’ordinamento politico. Essenzialmente dalla religione lo Stato traeva la sua forza portante e le forze regolative della libertà. In seguito, nel corso del processo di secolarizzazione della comunità politica, il XIX secolo credette di poter trovare un nuovo vincolo spirituale e una nuova forza unificante nel concetto di nazione, e nell’identità politico-culturale così ottenuta. La nazione venne allora considerata come qualcosa di «santo» in senso secolarizzato, la cui esistenza, il cui onore e la cui grandezza sembravano meritare e anzi imporre anche il sacrificio della vita. Il nazionalismo non di rado divenne, e continua a essere, una religione sostitutiva – e coÈ me tale cattiva –, e talvolta si congiunge a una religione. Il pensiero della nazione, pertanto, non porta con sé e non forma alcuna idea guida per le posizioni umane di fondo, per la responsabilità etico-morale e per un ethos del comportamento interumano.
Date queste premesse diventa comprensibile lo sforzo fatto per attribuire alla religione alcune funzioni nell’interesse della conservazione e della fondazione interna della comunità politica. La sua azione dev’essere quella, per così dire, di un soggetto che fa le veci dello Stato e della società, di un rappresentante o di un mediatore di quel consenso sui valori che lo Stato da sé non è più in grado di creare. Ci si deve chiedere, a ogni modo, fino a che punto la religione e le comunità religiose possono accettare di esser prese in considerazione come soggetti facenti le funzioni della comunità politica. Questa maniera di rapportarsi allo Stato, che fa compiere loro un servizio nei confronti dell’ordinamento politico-secolare, corrisponde alla loro missione? Oppure esse dovrebbero sottrarsi a una simile messa a servizio, per amore della propria identità e per preservare la propria peculiarità e la propria missione? A questa domanda ogni religione deve rispondere per sé. Essa non può farsi imporre la risposta dallo Stato o dalla società. Essa ha certo un obbligo di lealtà nei confronti delle leggi vigenti, alle quali appartiene anche la libertà religiosa, ma non è tenuta a identificarsi con la comunità e con i suoi fondamenti spirituali.
Ma oggi un’altra domanda ci appare più attuale. Fino a che punto uno Stato può affidarsi alla funzione integrativa della religione, o di una maggioranza di religioni, in campo etico-spirituale, e poggiare su di essa? Di nozioni di religione c’è bisogno in Europa. Da un lato, per superare la diffusa ignoranza sulle altre religioni, non da ultimo l’islam. Questa ignoranza è un fertile terreno di coltura per i pregiudizi, soprattutto per quelli negativi. Dall’altro lato, affinché la nostra cultura rimanga comprensibile per la prossima generazione. Pensiamo solo alle grandi opere della letteratura. Come si può avvicinare il Faust di Goethe agli scolari e agli studenti, e come possono questi capirlo, se non c’è la conoscenza del cristianesimo?
Un insegnamento dell’etica, non come materia sostitutiva ma come materia per tutti, è un compito che, di fronte al pluralismo religioso, ideologico ed etico-spirituale caratteristico della nostra società, deriva dalla funzione educativa dello Stato e dalla sua finalità integrativa. Un insegnamento generale dell’etica di questo tipo non entra in conflitto con la neutralità religioso- ideologica dello Stato. Tale neutralità non significa una neutralità o indifferenza rispetto ai valori, nel senso di un’assenza di sostanza etico- spirituale. Un buon insegnamento dell’etica non ha carattere confessionale, non prescrive alcuna posizione in maniera vincolante. Possiamo disporre di testi classici, partendo da Platone e Aristotele, passando da Cicerone e Tommaso d’Aquino, Martin Lutero, gli umanisti, fino ad arrivare a Kant, Hegel, Mahatma Gandhi e Martin Luther King.
Accanto a ciò, si può e si deve mantenere l’insegnamento della religione legato alla confessione, per coloro che appartengono a una comunità religiosa. Il contenuto di tale insegnamento dev’essere modellato in base ai principi della comunità interessata. Organizzato, dove possibile, come materia ordinaria, esso viene alleggerito dal carico etico di cui spesso soffre grazie alla presenza contemporanea di un insegnamento di etica e di uno di religione. Non essendo più l’unico insegnamento tenuto a trasmettere contenuti etici, esso può (nuovamente) concedere alla diffusione del sapere religioso fondamentale lo spazio che gli spetta. E questo, mi pare, gli farebbe bene.
© Copyright Avvenire, 6 ottobre 2007
Principi etici, Stato sotto scacco
In uscita una raccolta di saggi del giurista tedesco Böckenförde, spesso citato da Ratzinger e Habermas: «Le nazioni cercano nelle religioni quei fondamenti che da sole non possono generare»
DI MARCO RONCALLI
La prossima settimana per Ernst-Wolfgang Böckenförde inizia con due appuntamenti romani. Lunedì 8 ottobre il noto costituzionalista tedesco sarà presso il Centro studi americani per un seminario organizzato da Reset dal titolo 'Religione e Stato secolare: una prospettiva post secolare' con Gian Enrico Rusconi, Michele Nicoletti, Geminello Preterossi e Gustavo Zagrebelsky. Martedì, invece, sarà al Piccolo Eliseo per un confronto con Giuliano Amato e Rosy Bindi su 'Etica, laicità e fede nello stato liberale'. Non solo. Negli stessi giorni arriva in libreria il suo Cristianesimo, libertà, democrazia.
Una raccolta importante, che presenta in prima traduzione italiana alcuni saggi fra i più significativi del pensatore che nel 1967 teorizzò, con la necessaria distinzione fra la sfera religiosa e quella politica, anche la prospettiva di una loro cooperazione coordinata, argomento qualche anno fa del dialogo tra l’allora cardinale Joseph Ratzinger e il filosofo Jürgen Habermas, ma tenuto presente anche nelle parole pronunciate a Verona da Benedetto XVI quasi a completare la famosa lectio di Ratisbona che considera irrinunciabile un rapporto dialettico tra fede e ragione, conversioni e convinzioni. Anzi c’è di più. Fra i testi della nuova opera böckenfördiana , non sembra sbagliato individuare lunghi brani che palesano in nuce i ricorrenti temi alla base del dibattito attuale apertosi anche in casa nostra sul rapporto fra politica e religione, e che indicano ragioni teoriche e concreti orientamenti per una partecipazione attiva alle discussioni in corso nella consapevolezza della posta in gioco: in due parole, la convivenza umana. Un saggio in particolare, datato 1996, resta di grande interesse per spunti di riflessione e una serie di domande che, a loro volta, ne generano altre ineludibili. Si tratta dell’intervento su 'La religione nello stato secolare', ripreso e aggiornato nello scorso ottobre al Centro per gli studi storici italo-germanici di Trento, dove si parlò delle 'religioni politiche', del problema della neutralità dello stato davanti ai conflitti religiosi, di laicità e specificità nazionali, ecc. Certo, sono ormai passati quarant’anni da quando Böckenförde coniò la famosa frase «Lo stato liberale secolarizzato vive di presupposti normativi che non può garantire», ma il diktum böckenfördiano resta lì al cuore del problema, come dimostrano gli ampi stralci che qui presentiamo.
Ernst-Wolfgang Böckenförde
CRISTIANESIMO, LIBERTÀ, DEMOCRAZIA
a cura di Michele Nicoletti
Morcelliana. Pagine 360. Euro 24,00
© Copyright Avvenire, 6 ottobre 2007
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