9 maggio 2008

"Il porto e la vita, ecco le ansie di Genova": intervista al cardinale Bagnasco (Repubblica)


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"Il porto e la vita, ecco le ansie di Genova"

Intervista a Bagnasco: "Mette tristezza scoprire che siamo la regione più vecchia: ci serve uno slancio. Il mare e il suo lavoro sono la vera vocazione di quest´area. Ma occorre la svolta"

di Ettore Boffano e Nadia Campini

Alle spalle del cardinale Angelo Bagnasco, ecco il grande quadro con il Cristo dell´Ecce Homo: Gesù incoronato di spine. «Credo lo avesse scelto Siri - spiega l´arcivescovo - Mi pare di ricordare che fosse in questa stanza già allora». Alla sinistra della scrivania invece, sopra una mensola e incorniciata, spicca una foto scattata in Piazza San Pietro: Bagnasco è inginocchiato e papa Ratzinger sta per farlo diventare cardinale. E dopo tanto tempo, l´arcivescovo di Genova torna a parlare, su Repubblica, della sua diocesi e della sua comunità laica, dei problemi e delle ansie di questo angolo d´Italia, del prossimo arrivo del Santo Padre e di che cosa questa visita potrà dire al cuore dei genovesi, ma soprattutto al futuro di tutta la città.

Arcivescovo Bagnasco, Benedetto XVI sarà qui il 18 maggio. La terza volta di un papa in questa città, dopo le due visite di Giovanni Paolo II. Che cosa significherà per Genova questo incontro?

«Un papa visita le comunità dei credenti per confermare la fede cristiana e cattolica. Questa è l´essenza del ministero di Pietro e dei suoi successori. Poi, come per ogni altra visita, c´è una specificità genovese e credo che Benedetto XVI saprà individuarla».

A che cosa si riferisce? Che cos´è che può mettere in sintonia questa città con papa Ratzinger?

«Io immagino che il Santo Padre toccherà soprattutto due temi. Il primo è la necessità di dare un riconoscimento alla storia religiosa di Genova. Che è ricca e nobile come sto verificando durante le mie visite pastorali. Questa è una comunità che ha affetto per la sua Chiesa. E ritengo anche che il papa rifletterà su questo particolare momento della nostra diocesi e sull´apporto di sacerdoti che essa sta offrendo alla Chiesa universale: il cardinale Bertone, io stesso chiamato ai vertici della Cei, monsignor Guido Marini cerimoniere del papa, don Nicolò Anselmi responsabile della pastorale giovanile della Cei, don Giacomo Martino responsabile del settore marittimo dell´Apostolato dei migranti».

Questo, però, riguarda l´aspetto più ecclesiale dell´incontro con Benedetto XVI. Ma che cosa si deve aspettare invece Genova riguardo ai suoi problemi, alle sue difficoltà, alla sua stessa identità cittadina?

«Il papa va nel mondo e in Italia sempre con lo stesso scopo: chiedere a chi crede uno slancio più intenso verso l´annuncio del Vangelo. Se pensiamo ai problemi di una città, questo vuole anche dire avere fiducia nel proprio domani, nel proprio futuro come comunità. Allora, basta leggere i dati dell´Istat su Genova o riflettere sulla sua situazione economica per intuire quali potranno essere le sollecitazioni di questa visita del 18 maggio».

Numeri e analisi che ci raccontano di una città fatta di anziani e che attraversa una profonda crisi di sviluppo. Qual è il messaggio su queste emergenze da parte della Chiesa genovese che attende il papa?

«È tristissimo scoprire che questa è la regione più vecchia d´Italia e nella quale dunque si nasce di meno. La Chiesa ha a cuore la difesa della vita e perciò non può non porsi il tema dell´emergenza demografica. Subito dopo, ecco il problema del lavoro e dello sviluppo. Io penso che il papa ci porterà questo messaggio preciso: bisogna sapere guardare al domani e bisogna avere fiducia, facendo squadra, mettendo assieme gli interessi diversi per il bene comune. Mi auguro che questo invito raggiunga soprattutto l´aspetto centrale di questa crisi».

A che cosa si riferisce?

«Al porto. Non intendo entrare nelle vicende di questi mesi, ma vorrei ricordare a tutti i responsabili che il futuro del porto è la vera vocazione di Genova e che essa viene prima di tutte le altre: quella turistica, quella dell´alta tecnologia. Il porto non è soltanto il "polmone" della città, ma è la sua "vocazione" essenziale. E rispetto al porto noi abbiamo una responsabilità che va oltre Genova e che riguarda l´Italia e il nostro ruolo in Europa. Tocca a noi il dovere di prendere in mano questa nostra collocazione geografica e farla diventare una risorsa per tutti. Stare fermi non si può più».

Il lavoro dunque, lo sviluppo economico e le condizioni perché attraverso di essi una comunità possa crescere ed uscire dal ristagno demografico. Una novità questa nella storia della Chiesa di Genova oppure un richiamo a una tradizione?

«No, tutto questo è nella storia di questa diocesi. Pensate ai cappellani del lavoro, e a come il cardinale Siri li volle aiutare e sostenere. Per sua espressa volontà, essi rimasero anche quando nel resto d´Italia quell´esperienza fu cancellata. Oggi sono ancora 15 e sono una risorsa insostituibile per il rapporto tra la società genovese e la sua Chiesa. La stessa impegno di Siri nei problemi della città spiega bene questa tradizione. Da sempre, quando attraversa crisi profonde, Genova ci chiede di intervenire: qui, nei decenni, sono venuti a bussare tutti e tutti hanno ricevuto risposta».

Eppure, il 25 aprile scorso, durante la visita del presidente Napolitano, qualcuno l´ha fischiata. E per l´arrivo del papa, si prepara una contromanifestazione di protesta sui temi della laicità. Che Genova è questa che contesta gli uomini della Chiesa?

«La spiegazione è facile. Dal 1968 e della sue profonde trasformazioni culturali e sociali, il clima si è radicalmente trasformato. I temi etici sui quali la Chiesa interviene, la vita, la famiglia, la bioetica, non sono cambiati da allora. Sono mutate invece le reazioni: oggi tutto ciò viene subito bollato come ingerenza, soprattutto man mano che quei temi si inseriscono nell´agone politico italiano. Ma la Chiesa, è bene ricordarlo, non fa che ripetere su quegli argomenti ciò che è stato fissato dal Concilio Vaticano II: lo ho sottolineato di recente davanti a tutti i vescovi italiani. Non credo, però, che questo sia il sentimento diffuso a Genova o in Italia: l´affetto popolare è grande e va oltre gli episodi di contestazione. Penso che il 18 maggio ne avremo una grande dimostrazione: forse sarà una sorpresa anche per voi che vi occupate di informazione».

E qual è il suo giudizio su come si fa giornalismo a Genova?

«Non molto diverso da quello che riguarda in genere l´informazione in Italia. Io non chiedo un giornalismo buonista o un´informazione che faccia emergere solo i lati positivi. Ma se il positivo c´è, allora è un dovere non scartarlo. Poi vorrei più essenzialità su tutto ciò che è tragedia, dolore e magari raccapriccio. Mi chiedo se serva e se educhi, invece, quel rimestare il coltello nella piaga, quel riversare i particolari più putridi, i dettagli più sconcertanti. Il problema dell´informazione è strettamente legato a quello dell´educazione. E proprio l´educazione sarà al centro dell´impegno di tutta la Chiesa italiana per i prossimi dieci anni».

© Copyright Repubblica (Genova), 9 maggio 2008

Che dire? Ammiro moltissimo il cardinale Bagnasco.
R.

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