10 aprile 2007
Aggiornamento rassegna stampa del 10 aprile 2007
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Rassegna stampa del 10 aprile 2007
La fede cristiana nasce non dall’accoglienza di una dottrina, ma dall’incontro con una Persona, con Cristo morto e risuscitato
BOOM DI ASCOLTI: 42.27 DI SHARE PER IL MESSAGGIO URBI ET ORBI
Il Papa
«Diffondete il Vangelo senza paura»
Bruno Bartoloni
ROMA — Benedetto XVI rilancia la responsabilità missionaria di tutti i cristiani ai quali ha rivolto ieri un appello a diffondere «senza paura» il messaggio evangelico fino «agli estremi confini del mondo». Proprio a questi «confini», la Cina, che rappresenta ancora un mondo dove l'evangelizzazione si scontra con sospetti d'ordine politico, il Papa ha appena inviato un messaggio nel quale spiega le intenzioni esclusivamente spirituali degli apostoli della Chiesa di Roma, senza per questo cercare «compromessi» con Pechino, come ha commentato il cardinale Zen Ze-kiun, arcivescovo di Hong Kong. L'appello sembra voler ricordare a tutti i fedeli, sacerdoti o laici, quel compito missionario che la priorità data negli ultimi anni al dialogo ecumenico e al dialogo interreligioso o all'impegno sociale ed in favore della pace è andato affievolendo.
Giunge mentre, in coincidenza con la data simbolica del suo ottantesimo genetliaco, papa Ratzinger cerca di recuperare anche gli ambienti tradizionalisti, i più rigorosi nell'impegno evangelizzatore, con un motu proprio che liberalizza la messa in latino di san Pio V, atteso nei prossimi giorni. «Anche a noi — ha detto il pontefice che si è trasferito nella sua residenza di Castelgandolfo subito dopo le cerimonie pasquali — il Risorto ripete di non aver paura nel farci messaggeri dell'annunzio della sua risurrezione». «Non ha nulla da temere chi incontra Gesù risuscitato e a lui si affida docilmente», ha aggiunto riproponendo un concetto che ha sviluppato nella sua lettera aperta ai cattolici cinesi delle «due» Chiese, clandestina ed ufficiale, ormai sempre più vicine. «E' quanto mai urgente — ha affermato — che gli uomini e le donne della nostra epoca conoscano e incontrino Gesù e, grazie anche al nostro esempio, si lascino conquistare da lui».
Corriere della sera, 10 aprile
Il Papa: diffondete il Vangelo senza paura
di Andrea Tornielli
Roma - I cristiani oggi non devono aver paura nell’annunciare il Vangelo «sino agli estremi confini del mondo». Lo ha detto ieri Papa Ratzinger ai pellegrini riuniti a Castelgandolfo prima della recita del «Regina Coeli». Benedetto XVI ha parlato delle donne che dopo aver trovato il sepolcro vuoto ed essersi imbattute in Gesù corsero ad annunciare la notizia ai discepoli.
«Anche a noi, oggi, come a queste donne che rimasero accanto a Gesù durante la passione - ha detto il Papa - il risorto ripete di non avere paura nel farci messaggeri dell’annunzio della sua risurrezione. Non ha nulla da temere chi incontra Gesù risuscitato e a lui si affida docilmente. È questo il messaggio che i cristiani sono chiamati a diffondere sino agli estremi confini del mondo». «La fede cristiana - ha spiegato Ratzinger - nasce non dall’accoglienza di una dottrina, ma dall’incontro con una persona, con Cristo morto e risuscitato. Nella nostra esistenza quotidiana, cari amici, tante sono le occasioni per comunicare agli altri questa nostra fede in modo semplice e convinto. Ed è quanto mai urgente che gli uomini e le donne della nostra epoca conoscano e incontrino Gesù e, grazie anche al nostro esempio, si lascino conquistare da lui».
Domenica scorsa, nel messaggio pasquale, pronunciato al termine della messa celebrata alla presenza di oltre centomila fedeli in piazza San Pietro, il Papa aveva riflettuto sul dolore del mondo: «Solo un Dio che ci ama fino a prendere su di sé le nostre ferite e il nostro dolore, soprattutto quello innocente, è degno di fede - ha detto il pontefice -. Quante ferite, quanto dolore nel mondo! Non mancano calamità naturali e tragedie umane che provocano innumerevoli vittime e ingenti danni materiali». «Penso al flagello della fame - aveva aggiunto Benedetto XVI - alle malattie incurabili, al terrorismo e ai sequestri di persona, ai mille volti della violenza - talora giustificata in nome della religione - al disprezzo della vita e alla violazione dei diritti umani, allo sfruttamento della persona». Poi il Papa aveva passato in rassegna le situazioni più preoccupanti del pianeta: «Guardo con apprensione - ha detto - alla condizione in cui si trovano non poche regioni dell’Africa: nel Darfur e nei Paesi vicini permane una catastrofica e purtroppo sottovalutata situazione umanitaria; a Kinshasa, nella Repubblica democratica del Congo, gli scontri e i saccheggi delle scorse settimane fanno temere per il futuro del processo democratico... in Somalia la ripresa dei combattimenti allontana la prospettiva della pace e appesantisce la crisi regionale, specialmente per quanto riguarda gli spostamenti della popolazione e il traffico di armi; una grave crisi attanaglia lo Zimbabwe».
«Di riconciliazione e di pace - aveva aggiunto il Papa - ha bisogno la popolazione di Timor Est, che si appresta a vivere importanti scadenze elettorali. Di pace hanno bisogno anche lo Sri Lanka, dove solo una soluzione negoziata porrà fine al dramma del conflitto che lo insanguina, e l’Afghanistan, segnato da crescente inquietudine e instabilità». Segni «di speranza» Ratzinger ha detto di vedere nel dialogo tra israeliani e palestinesi, ma «nulla di positivo purtroppo viene dall’Irak, insanguinato da continue stragi, mentre fuggono le popolazioni civili; in Libano lo stallo delle istituzioni politiche minaccia il ruolo che il Paese è chiamato a svolgere nell’area mediorientale e ne ipoteca gravemente il futuro. Non posso infine dimenticare le difficoltà che le comunità cristiane affrontano quotidianamente e l’esodo dei cristiani dalla Terra benedetta che è la culla della nostra fede».
All’inizio del messaggio pasquale, il Papa aveva parlato dell’incontro di Gesù risorto con i discepoli affermando che «non fu sogno, né illusione o immaginazione soggettiva quell’incontro. Fu un’esperienza vera, anche se inattesa e proprio per questo particolarmente toccante».
Il Giornale, 10 aprile 2007
Lettera del papa ai cattolici cinesi. Il testo sarà inviato prima al governo
di Mattia Bianchi
Un testo non negoziabile su cui sarà concentrata l'attenzione del governo di Pechino. E' slittata di qualche giorno la pubblicazione della lettera del papa ai cattolici cinesi. Ne ha parlato il cardinale Joseph Zen di Hong Kong.
Un testo non negoziabile su cui sarà concentrata l'attenzione del governo di Pechino. E' slittata di qualche giorno la pubblicazione della lettera del papa ai cattolici cinesi. Atteso inizialmente per Pasqua, il documento sarà prima inviato alle autorità del Paese come gesto di cortesia. Lo ha confermato l'arcivescovo di Hong Kong, cardinale Joseph Zen, spiegando che il contenuto della lettera non è negoziabile. "Questo permetterà (ai cinesi) di studiare i dettagli e preparare la loro reazione ma non sara' un'occasione per negoziare dei cambiamenti", ha affermato il cardinale.
In un articolo pubblicato per Pasqua sul giornale cattolico 'Sunday Examiner', l'arcivescovo di Hong Kong sottolinea che la missiva sarà scritta di proprio pugno da Benedetto XVI. "Sua Santità non si limiterà a firmare le bozze preparate da altri, ma si assumerà la responsabilità di ogni frase". Secondo indiscrezioni, dovrebbe prevalere il carattere pastorale, lasciando a riferimenti indiretti i temi più politici. Spazio quindi alle relazioni tra i cattolici iscritti all'associazione ''patriottica'' e quelli ''clandestini'' o "non registrati", ma anche al ruolo che devono avere i vescovi, e non i laici come oggi accade in alcuni casi, nella direzione delle diocesi e del diritto dei vescovi a viaggiare liberamente e a partecipare a funzioni che si tengono a Roma.
Il cardinale Zen prevede che il documento potrebbe suscitare "ritorsioni" da parte cinese. "Probabilmente prevedono una lettera contro di loro e potrebbero addirittura tramare qualche azione di ritorsione", scrive. E poi, "c'è gente che ha paura di perdere potere e vantaggi con la normalizzazione delle relazioni". Inoltre, se c'è chi spera che la lettera del papa punti al "compromesso" con Pechino, secondo Zen si sbaglia. "Questa speranza non verrà probabilmente esaudita", scrive. "Dobbiamo credere che il solo obiettivo del Santo Padre nello scrivere una lettera del genere è la vera normalizzazione della situazione religiosa, in modo che i milioni di cattolici cinesi possano vivere la loro vita di fede felicemente e con frutti copiosi", afferma Zen.
Korazym
AI CATTOLICI CINESI
La lettera in anteprima a Pechino
In un gesto di cortesia con pochi precedenti il Vaticano anticiperà ai dirigenti di Pechino la lettera aperta scritta dal Pontefice ai cattolici cinesi. Lo ha annunciato il cardinale di Hong Kong, Joseph Zen: i contenuti del messaggio non sono negoziabili ma la lettura del testo «permetterà alle autorità cinesi di preparare la reazione».
La Stampa, 10 aprile 2007
Il negoziatore del Vaticano
“Presto la firma”
Risolta la lite sul Cenacolo
CITTÀ DEL VATICANO
GIACOMO GALEAZZI
Si sta lavorando per fissare una nuova data: è possibile trovare un accordo sulle questioni in discussione per arrivare alla firma dell’accordo globale». La commissione plenaria tra Israele e Santa Sede, disdetta all’ultimo momento dal governo di Gerusalemme, è «rinviata, non cancellata, anzi da entrambe le parti si è chiarita la volontà di riprogrammare l’incontro al più presto possibile». Prova a mediare tra Roma e Gerusalemme il francescano David-Maria Jaeger, ebreo di nascita, cittadino israeliano, massimo esperto di rapporti Chiesa-Stato in Israele, protagonista dei negoziati che hanno prodotto, nel ‘93, l’Accordo fondamentale. Una sorta di concordato a tutela della Chiesa cattolica in Israele».
Tasse, visti d’ingresso per il clero, diritti di proprietà, status giuridico della Chiesa, restituzione di beni sacri, in particolare il Cenacolo. Sono tanti i punti su cui la Chiesa e Israele dovrebbero raggiungere un accordo. Si aspettava questa improvvisa crisi diplomatica?
«Da sessant’anni mancano regole certe per la Chiesa in Israele. È proprio per rimediare a questa lacuna che nell’accordo del ‘93, che ha portato alle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e Israele, c’è l’impegno a negoziare le questioni pendenti. Solo così il rapporto tra la Chiesa e Stato ebraico potrà essere consolidato eliminando le cause di tensioni, la mancanza di regole».
E’ancora possibile?
«Sono un cristiano, un francescano, ottimista per vocazione e carattere. Ritengo che non ci si debba mai arrendere al pessimismo, al disfattismo. Sono ottimista perché non vedo alcun motivo per cui l’impresa, lanciata nel 1992, anno d’inizio dei negoziati, non debba riuscire. La Chiesa in Israele non pretende nulla che vada oltre i diritti acquisiti nei secoli e consolidati al momento della nascita dello Stato; non rivendica nulla che non sia già presente in diverse forme nei principi fondamentali dell’ordinamento, o negli impegni che lo Stato, liberamente e più volte, si sia assunto nei decenni, nelle sedi internazionali o negli scambi con rappresentanti ecclesiali. C’è da ordinare, consolidare e poi applicare certi principi dello Stato di diritto».
Per esempio?
«Una legge antica riservava alla decisione discrezionale dell’esecutivo la giurisdizione sulle dispute relative ai beni a carattere religioso. E’ chiaro a tutti che le cose non possono rimanere così e che la tutela dei diritti di proprietà della Chiesa, come di quelli di qualsivoglia proprietario, deve spettare ai tribunali giudiziari e non ai politici. Il Cenacolo? Un esempio di come le richieste cattoliche corrispondano semplicemente all’applicazione coerente dello Stato di diritto che Israele ha sempre voluto essere. Non un privilegio, ma uguaglianza con qualsiasi proprietario di qualsiasi proprietà».
A tre lustri dall’accordo tra Vaticano e Israele, lo stato ebraico non l’ha trasformato in legge, e perciò i tribunali israeliani dichiarano di non conoscerlo. Perché?
«E’ una cosa che non fa certo piacere a me che ho partecipato alle trattavive, ma non è detto che non lo si farà primo o poi. La Chiesa è stata sempre molto chiara nell’esprimere la giusta attesa che questo, e gli altri accordi, siano debitamente iscritti nelle leggi dello Stato. Spero che col tempo lo Stato capirà che ciò è pure nel suo interesse. In altre parole, l’avere un rapporto basato su regole concordate e condivise è d’interesse di tutte e due le parti, perché solo così si potrà assicurare quello che tutte e due hanno sempre desiderato: un rapporto pacifico, amichevole, vicendevolmente riguardoso, che permetta stabilmente alla Chiesa di rendere il suo singolare servizio al bene comune».
Parla quasi come un vescovo della Cei...
«Personalmente credo che l’Italia avrebbe molto da insegnare in Terra Santa. Anche come possibile esempio per quello, che in futuro i cittadini cattolici ed ebrei, insieme, potranno realizzare in Israele: un Paese profondamente legato alla religione della maggioranza ma nello stesso tempo consapevole di doversi attenere alla sana laicità propria dello Stato. Il problema è come realizzar concretamente tutto questo, senza venir meno né alla fedeltà alle radici cristiane, al patrimonio cristiano, ma neppure alla sana laicità dello Stato. Questa questione, che spesso si si sono posti gli italiani, occupa anche gli israeliani in rapporto all’ebraismo».
In che modo?
«Un buon riferimento è l’intesa in Italia tra il governo e la comunità ebraica: può servire da fonte di ispirazione ed emulazione nelle trattative in favore della comunità cattolica in Israele. Si può aprire una stagione di genuina vicinanza tra cattolici ed ebrei, maggioranza e minoranza, secondo i casi, in Italia e in Israele. Potrebbero in entrambi i Paesi godere di libertà, sicurezza e reciproca stima. Anzi, come dice il preambolo dell’Accordo fondamentale, amicizia».
La Stampa, 10 aprile 2007
La vicenda
La promessa a Wojtyla mai mantenuta da Israele
La tradizione cristiana ha nel Cenacolo il luogo sacro dove Gesù celebrò la cena pasquale. Nel IV secolo i cristiani trasformarono la piccola chiesa in una basilica. Proprietà dal 1342 dei Frati francescani fu sottratto nel 1551 dai turchi, poi dagli israeliani. La riconsegna sembrava vicina con la visita di Giovanni Paolo II in Terra Santa nel 2000 ma all’ultimo momento la firma saltò. La Chiesa cattolica è proprietaria del Cenacolo da 7 secoli, da quando i francescani vi stabilirono la casa madre in Terra Santa. Oggi nell’edificio ci sono una scuola ebraica e una sinagoga.
La Stampa, 10 aprile 2007
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