10 aprile 2007

Il brodo di coltura ed il risveglio cattolico della Francia


Proponiamo alcuni editoriali di "Avvenire" che appaiono molto interessanti. Mi stupisco sempre di come questo piccolo quotidiano riesca a catturare umori, sensazioni, riflessioni, che i grandi quotidiani ignorano o fingono di ignorare.
Vorrei farvi notare che il giornale dei Vescovi invita i media al senso di responsabilita' (parla proprio di pressapochismo), che purtroppo manca. Inoltre si analizza il risveglio valoriale della Francia.
Gia' un telegiornale italiano, durande i servizi del giorno di Pasqua, fece notare che, per la prima volta da decenni a questa parte, le chiese francesi erano magnificamente e sorprendentemente piene.
Risveglio dalla letargia? Forse e' presto per cantare vittoria, ma e' chiaro che "la cura Ratzinger" sta iniziando a produrre qualche effetto salutare.
Prepariamoci, pero', come giustamente e intelligentemente rilevato da Luisa, a tempi duri quanto ad attacchi al Papa e alla Chiesa: quando non si e' in grado di argomentare e di sostenere efficacemente le proprie tesi, si passa al facile insulto e/o all'indifferenza. E qui faccio una battuta: per fortuna c'e' internet e non solo stampa e tv :-)

Raffaella


NUOVE SCRITTE A GENOVA

A preoccupare il brodo di coltura

Paolo Viana

La Chiesa è prepotente, loro sono democratici. È questo lo schema che spesso ricorre nei ragionamenti (parola impegnativa) che vengono mossi da certo estremismo politico. Le accuse alla Chiesa le leggiamo su taluni giornali, le ascoltiamo nei cortei, le scorgiamo nelle vignette: violenta, aggressiva, addirittura razzista. Sono accuse che si intensificano in alcune stagioni, come quest'ultima, contrassegnata dal dibattito sui destini della famiglia insidiata dai tentativi di legalizzazione delle coppie di fatto. Accuse che erano pretestuose fino a ieri, ma che diventano grottesche oggi, perché provengono all'incirca dagli stessi ambienti culturali in cui, è lecito presumerlo, si collocano gli autori delle ripetute scritte genovesi contro il presidente della Cei.
Per ora è solo terrorismo spray, d'accordo, il rosso e il nero sono solo vernice; ma è inevitabile domandarsi come tenterà di giustificare queste minacce chi nelle scorse settimane ha tacciato la Chiesa italiana di avere scarsa inclinazione alla vita democratica. Purtroppo, non è la prima volta che si appalesa questo rancore sgrammaticato, e non è la prima volta che il messaggio fortemente etico della Chiesa attizza la reazione di chi sul disorientamento sociale ci campa. Se non di sentimento anti-cattolico, si può parlare certamente di un "fastidio" da parte di taluni milieu culturali e politici; un fastidio che rischia di essere emulato con iniziative criminali.
Il caso genovese, per il momento, mantiene i contorni di un "episodio", sulla cui pesantezza tuttavia non ci sono dubbi, soprattutto se confrontato con la mitezza del "bersaglio", che è lo stile proprio del pastore di quella città, "colpevole" solo di essere stato volgarmente equivocato dieci giorni fa, durante una conversazione condotta in un incontro pastorale. Gli si sono attribuiti esempi ed accostamenti che tali erano solamente nella fantasia di un giovane cronista, e poi nel pressapochismo dei colleghi di agenzia che di quell'amaro equivoco si sono fatti rapidi diffusori. Da quel momento, l'arcivescovo Bagnasco è diventato un bersaglio sensibile: ma è mai possibile che viviamo in un Paese così eccitato ed eccitabile, così isterico ed intollerante?
Non sappiamo se dietro certi volantini distribuiti la vigilia di Natale e dietro le scritte violente comparse ieri mattina in un quartiere di Genova vi siano solo dei delinquentelli da vicolo o un gruppo un po' più organizzato. Per ora nulla lascia intendere che questo episodio vada collegato alla recrudescenza del fenomeno brigatista, pure emersa a livello nazionale nelle scorse settimane. Quel che tuttavia sappiamo è che il salto tra la microcriminalità politica e l'avventurismo di indole terroristica è più probabile se il brodo di coltura è abbondante e caldo al punto giusto. Se gli obiettivi più sensibili sono abitualmente lasciati soli, rispetto allo scherno pubblico e alla maldicenza generalizzata. Se la "strana" propensione cattolica a coniugare il rispetto dei valori con la carità e il dialogo anche nei confronti di chi non li condivide viene sistematicamente fraintesa da quanti considerano l'etica alla stregua di un abito reversibile.
Quel che impressiona è la frequenza con cui questo fastidio si trasforma in parola estremistica e travalica la critica o la satira per diventare attacco personale, derisione gratuita, urlo che vuole zittire, falsificazione storica. Avviene ormai quotidianamente nel Paese in cui qualcuno - l'ha fatto Liberazione - paragona il clero al Ku Klux Klan, o vien permesso di salire in cattedra a un Oreste Scalzone così che "spieghi" ai giovani la storia del terrorismo, o ci si straccia le vesti se viene catturato un superlatitante del calibro di Cesare Battisti. È lo stesso Paese che, guarda caso, viene invitato dalla tv pubblica a ridere delle giullarate di Dario Fo, che sfrutta il palcoscenico di Rai Tre per colpire i vescovi italiani con toni che fanno rimpiangere tutti i saltimbanchi precedenti. È una violenza fatta solo di parole, certo, ma che proprio per questo può passare rapidamente di bocca in bocca, di mente in mente, e finire su un muro di Genova.

Avvenire, 10 aprile 2007


C'È UN CAMBIAMENTO IN ATTO NELLA SENSIBILITÀ GENERALE

Francia, corsa ai valori e nessuno si vergogna

Gabriella Sartori

«Aiuto, anche in certi Paesi della laica Europa tornano i "valori"», si inquietava nei giorni scorsi, dalle pagine di un quotidiano italiano, una famosa opinionista che vive e scrive da Parigi, cuore storico della "laicité": perché, secondo lei, se le masse popolari tornano a chiedere che la politica si occupi di valori quali "famiglia", "religione", tutto questo non può che intimidire la politica stessa e quindi indebolire lo Stato e la "laicità" che lo deve distinguere. Nell'articolo si diceva che oggi tocca vedere cose dell'altro mondo, non solo nella povera Italia dove sempre più la politica è paralizzata dal Papa che parla solo della famiglia, per non dire di cosa combina la Cei, ma perfino nella Francia d'oggi, dove anche una candidata di sinistra come Ségolène Royal, per poter aspirare all'Eliseo, è costretta a rincorrere un centrista come Sarkozy o, peggio, un cattolico come Bayrou, sul deprecabile terreno di "valori privati" quali la famiglia e dintorni. Ma qui sarebbe interessante sapere se la giornalista in questione si sia mai chiesta come e perché queste esigenze - che a lei sembrano tanto deprecabili e pericolose - vadano riaffiorando con la "pericolosa" forza popolare che lei stessa vi attribuisce, anche nel cuore dell'Europa più laica; e non come conseguenza dei mutamenti indotti dagli imponenti flussi migratori musulmani, ma proprio perché così vuole o un certo "zoccolo duro" di origine per così dire "indigena". E dunque, se popoli da così lungo tempo governati da Stati profondamente "laici" esprimono questo genere di "bisogni", non sarà perché un certo modo di interpretare la laicità dello Stato lascia grande spazio a questo genere di "insoddisfazioni"? Non sarà che valori quali famiglia, religione, educazione e così via, richiedono alla politica e agli Stati risposte diverse da quelle che sono state "laicamente" fin qui date, o che ci si propone di dare d'ora in poi? Sono domande logiche, razionali. Cioè laiche: perché chi parla così ad alta voce in nome di questi principi si guarda bene dal porle anche a se stesso e alla propria parte? Se tante voci "laiche" avessero il coraggio di metter in dubbio la "loro" idea della laicità dello Stato cui attribuiscono valore di indiscutibile dogma, sarebbe meglio. Si potrebbe, per esempio, aprire un vero e laico confronto fra diversi, legittimi, modi di interpretare la laicità dello Stato. Si "abbasserebbero" beneficamente i toni della discussione in corso sui delicati temi valoriali di cui si parla, non solo in Italia. Si smetterebbe, una buona volta, di "attaccare l"avversario" ricorrendo al sistema di alterare o travisare sistematicamente il senso, e a volte anche le parole di quello che dice. Un sistema che, a partire dal Discorso fatto da papa Ratzinger a Ratisbona in poi, ha conosciuto, un indegno crescendo ai danni soprattutto del capo della Chiesa cattolica e dei vescovi italiani (visti come un "pericolo" in quanto capaci di meritare un forte tasso di "ascolto", di dare risposte "diverse"). Al punto da non temere neppure le più clamorose smentite nel momento stesso in cui si lancia un'accusa: proprio mentre i lettori leggevano la reiterata accusa a papa Ratzinger di parlare solo di morale sessuale e non di guerre, di legalità, di lotta alla corruzione, proprio di questo altro lo stesso "accusato" stava parlando in Piazza S. Pietro. Se tale modo di pensare e di procedere sia esemplarmente "laico", lasciamo giudicare all'infinito esercito delle persone normalmente non prevenute. Certo è che una domanda rimane: andar avanti così, si può? Soprattutto: chi può immaginare che serva ad affrontare positivamente i gravi problemi che i più, ne siamo certi, hanno a cuore?

Avvenire, 10 aprile 2007

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