9 aprile 2007
Dibattito sul concetto di diritto naturale
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Perche' il Papa fa tanta paura?
La Chiesa, i laici e il diritto naturale
ROCCO BUTTIGLIONE
Caro direttore, si torna a parlare di diritto naturale. Il Papa vi ha fatto riferimento e subito da parte "laica" il concetto è stato criticato come bigotto. La natura, si dice, non è adatta a costituire una norma. In natura (per esempio nel mondo animale) troviamo casi di eterosessualità e casi di omosessualità. Come faremo a classificare uno di questi due comportamenti come naturale e l´altro come innaturale? Ambedue infatti sono presenti in natura.
Di più: la natura ci mostra esempi che concordano con un sentimento morale ed altri che concordano con il sentimento morale opposto. Troviamo esempi di solidarietà e di cura parentale e troviamo esempi di spietata competizione per la vita e selezione del più forte. Come faremo a decidere quale di questi due comportamenti è più naturale?
È lecito, conclude il critico "laico" avanzare il sospetto che con il concetto di diritto naturale la Chiesa Cattolica cerchi di travestire la propria etica rivelata. Diritto naturale sarebbe, per così dire, la versione laica dell´etica cristiana che fa appello, invece che alla Scrittura, ad una natura che ha solo il compito di confermare il contenuto della Scrittura.
A me sembra che questo ragionamento non corrisponda né alla vera posizione della Chiesa né al concetto di diritto naturale ed al suo sviluppo storico. Consiglierei, inoltre, ai laici, di non disfarsi troppo facilmente della idea di diritto naturale. Benché essa si ritrovi nel pensiero di S.Tommaso essa ha una lunga storia che comincia assai prima (con Aristotele) e continua per molto tempo dopo (con Leibniz, Wolff, Barbeyrac, l´illuminismo francese). Le grandi rivoluzioni dell´epoca dell´illuminismo (quella inglese del 1688/89, quella americana del 1776 e quella francese del 1789) affondano tutte le loro radici nelle idee e nei principi del diritto naturale. Un pensiero laico che non voglia scadere nel pragmatismo assoluto non può rinunciare ad una rivisitazione critica dell´idea di diritto naturale.
Cosa è poi questo diritto naturale? Lo ha spiegato assai bene S.Tommaso : "lex est quaedam hpminis ad hominem proportio quae servata societatem servat, corrupta corrumpit". Traduciamo: "la legge è un certo giusto rapporto degli uomini fra di loro. Se esso viene mantenuto la società fiorisce, se viene abbandonato la società va in rovina". La legge naturale è un giusto rapporto degli uomini fra di loro. Guardiamo, per scoprire la legge naturale, non alla natura in generale ma alla natura dell´essere umano, che è una natura razionale e morale. La natura biologica, che condividiamo con gli altri animali, nell´uomo viene sollevata al livello della ragione. Le obiezioni che derivano dal fatto che in natura forme diverse di comportamento risultano egualmente praticate dagli animali è dunque del tutto fuori luogo. Per definire i propri precetti la legge naturale si affida in parte a quelle che i fenomenologi chiamano leggi essenziali di per se evidenti (Wesensgesetze) ed in parte a regole di esperienza. Facciamo un esempio: è evidente che se non nascono bambini una società è destinata a morire (può dilazionare la fine con l´emigrazione ma solo per un poco). L´esperienza ci dice che il luogo elettivo per generare ed educare i bambini è la famiglia. La famiglia è una istituzione sociale fondamentale che ha diritto al sostegno della comunità. La sanzione alla norma del diritto naturale è immanente: se la norma non viene osservata la società va in rovina. Non vale opporre che bambini sono nati e nascono fuori della famiglia. Benché in molti casi essi traggano proprio dalle difficoltà iniziali della loro vita uno stimolo che li spinge a formarsi personalità particolarmente forti è evidente che essi dovranno affrontare difficoltà maggiori dei loro coetanei che hanno una famiglia, e che è desiderabile, per quanto possibile, che ogni bambino abbia una famiglia.
Mi sembra che questa sia una posizione interamente laica. Da Durkheim a Parsons la tradizione del diritto naturale rivive nella moderna sociologia sotto altro nome: si tratta della ricerca di leggi di struttura (o funzioni) che rendono possibile il perpetuarsi nel tempo della esistenza di un gruppo sociale.
È bene dire infine qualche parola su di un altro tipo di critica del diritto naturale. Si tratta dell´ateismo postulatorio di origine marxista rinverdito da J.P. Sartre: l´uomo non può essere soggetto ad un diritto naturale perché nell´uomo "l´esistenza precede l´essenza". In altre parole l´uomo si crea da solo e si dà da se stesso la propria natura. La Chiesa sarebbe nemica della libertà perché si oppone a questa idea di libertà assoluta. Mai che uno dei difensori di questa critica del cristianesimo rifletta sul fatto che la libertà assoluta include la libertà di disprezzare, umiliare, strumentalizzare ed uccidere l´altro essere umano. Mai che qualcuno di questi esistenzialisti invecchiati si ponga il problema di spiegarci come mai le più grandi minacce alla libertà dell´uomo siano venute da ideologie sanguinarie che credevano appunto in quella idea di libertà assoluta ed hanno tentato di metterla in pratica: comunismo e nazismo. Dopo quella esperienza storica l´ateismo postulatorio inteso come dottrina di libertà mi pare totalmente screditato.
Repubblica, 7 aprile 2007
L´inganno di Buttiglione sul diritto naturale
PAOLO FLORES D´ARCAIS
Caro direttore, l´autorevole filosofo cattolico Rocco Buttiglione (tanto più autorevole in quanto, come deputato legislatore, ha l´opportunità di rendere obbligatorie - attraverso la legge positiva - le sue convinzioni morali di fedelissimo di Santa Romana Chiesa) ha spezzato una lancia in favore del "diritto naturale". Riproposto dal Papa e "subito contestato da parte laica", la quale "avanza il sospetto che con il concetto di diritto naturale la Chiesa cattolica cerchi di travestire la propria etica rivelata.
Le argomentazioni di Buttiglione costituiscono una preziosa raccolta di "non sequitur" (per dirla in latino, come piace a lui). Che cosa sia il diritto naturale è, secondo Buttiglione, perfettamente chiaro. Lo avrebbe "spiegato assai bene" san Tommaso: la legge naturale è un giusto rapporto degli uomini tra loro. E mi hai detto un prospero! Sfugge a Buttiglione, evidentemente, il carattere tautologico e del tutto vuoto della definizione. Il problema, infatti, è proprio cosa si intenda con quel "giusto" rapporto.
Per gli atzechi implicava sacrifici umani (che costituivano anzi la forma estrema di pietas religiosa), per i cattolicissimi "conquistadores" il genocidio di quei "selvaggi" (dei quali si discusse se avessero un´anima), per la grande civiltà romana la schiavitù, la guerra permanente, le stragi circensi e l´esposizione dei neonati (non parliamo poi dell´aborto), per la classicità greca una coltissima omosessualità che aveva toni che oggi classificheremmo da pedofilia, per l´intero millennio e passa dell´Europa cristiana il rogo degli eretici e la persecuzione del "popolo deicida", per molte società "primitive" l´antropofagia rituale (nelle due varianti: dei propri nemici e dei propri cari), nell´Italia di quando ero ragazzo il carcere per adulterio (ne fecero le spese anche "il campionissimo" e la sua "dama bianca"), nell´Italia di oggi quindici anni di galera per chi obbedisce con gesto di amore estremo alla richiesta del malato torturato di poter "terminare" la sua tortura. Potremmo continuare "ad abundantiam".
In nessuno di questi casi, e degli infiniti altri che violano ciò che Buttiglione presume sia diritto naturale, ma che si sono susseguiti nella storia della specie naturale "homo sapiens", è mai accaduto ciò di cui Buttiglione favoleggia: "la sanzione del diritto naturale è immanente: se la norma non viene osservata la società va in rovina". Le società vanno in rovina, ma per tutt´altri motivi, visto che vengono sostituite da altre società che puntualmente, anch´esse, non si adeguano alla "natura e ragione" secondo Buttiglione.
Del resto lo spiegava il più grande filosofo cristiano da molti secoli a questa parte, Blaise Pascal. Che, con trasparente riferimento al "giusto rapporto" di cui san Tommaso e Buttiglione, esclama: La giustizia? L´uomo non la conosce. "Nulla si vede di giusto o di ingiusto che non muti di qualità al mutare del clima… Il furto, l´incesto, l´uccisione dei figli e dei padri, tutto ha trovato il proprio posto tra le azioni virtuose". Tra le azioni virtuose, si badi, non tra i delitti. Pascal è cristiano, ma guarda in faccia la realtà. Il diritto naturale è una finzione (per questo sarà per Pascal ancora più necessaria la fede).
La scimmia che tutti noi siamo si differenzia radicalmente dalle altre per il suo essere "sapiens", questo è ovvio. Ma la razionalità umana è un insieme di capacità simboliche, comunicative, calcolanti (le razionalità plurali di cui parla Gardner, ad esempio) che non implicano affatto una specifica morale (e meno che mai quella di Buttiglione e di Benedetto XVI). "Homo sapiens" ha certo bisogno di una norma (di una morale), per soccorrere la cogenza indebolita degli istinti. Di una norma qualsiasi, purché funzioni. Questo ci dice la storia della specie naturale cui apparteniamo. Scegliere per le libertà e contro la sopraffazione (dei totalitarismi e delle teocrazie, gli uni surrogati degli altri) è la possibilità per cui il laicismo, cioè la democrazia, si batte.
Repubblica, 8 aprile 2007
BACH E LE NOTE DELLA CREAZIONE
Il filosofo Spaemann ci racconta idee della cui esistenza il professor Zagrebelsky probabilmente non ha contezza
di Giulio Meotti
Perfino il professor Gustavo Zagrebelsky, nella Repubblica di ieri, ha presoatto della rinascita del diritto naturale.
Chissà se ha letto Joseph Ratzinger e uno dei suoi discepoli e interpreti più acuti, il filosofo Robert Spaemann che ha detto: “Non c’è etica senza metafisica”.
E con il quale siamo a colloquio.
Nella pietra sull’ingresso dell’austero edificio tardo ottocentesco della Emerson Hall di Harvard, tempio dei lumi e dell’empirismo scientifico, sono incise
le parole bibliche: “Che cos’è l’uomo, perché te ne ricordi?”. Il rettore della facoltà, Charles Eliot, le preferì a quelle di Protagora volute dal filosofo William James: “L’uomo è misura di tutte le cose”. Secondo il teologo Joseph Ratzinger nella domanda del salmista si trova la soluzione allo stallo del tema “Schoepfung und Evolution”, creazione ed evoluzione. “L’argilla divenne uomo nell’istante in cui un essere per la prima volta, anche se ancora in modo confuso, riuscì a sviluppare l’idea di Dio”. Nell’immagine di questo primo uomo che balbetta, contrapposta a quella dell’“ultimo uomo” di Friedrich Nietzsche, è racchiusa la riflessione di Ratzinger sul tema dell’origine della vita. “L’istante dell’umanazione non può essere fissato dalla paleontologia: l’umanazione è l’insorgenza dello spirito, che non si può dissotterrare con la vanga”.
La casa editrice Sankt Ulrich Verlag di Augusta fa sapere che per l’ottantesimo compleanno di Benedetto XVI è prevista l’uscita del libro con gli interventi
del convegno a porte chiuse che si è svolto lo scorso settembre nella residenza estiva di Castel Gandolfo. Ci sarà anche un contributo inedito del Papa. La discussione sulla creazione, che Ratzinger ha ripreso come teologo dopo un periodo di silenziosa letargia, quando i manuali di teologia la relegavano a poche righe, è così cardinale nel suo pensiero che occuperà anche il prossimo incontro estivo tra il “professore” e gli ex allievi. L’argomento fu trattato da Ratzinger dal 1968 nel corso della sua “Introduzione al Cristianesimo”. E ha continuato a farlo come membro dell’Académie française, dove subentrò al dissidente russo Andrei Sacharov nel 1992, e dell’Accademia delle scienze e delle arti con sede a Salisburgo. Parlare di creazione secondo Ratzinger significa riconsegnare la ragione a sé stessa. Sull’argomento è uscito anche “Ziel oder Zufall?”, un nuovo saggio dell’arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn.
Ratzinger è solito paragonare la creazione non a un grande scaffale dove tutto trova adeguata sistemazione, ma a “un albero vivo che cresce e diviene,
che proietta a poco a poco i suoi rami sempre più in alto nel cielo”. Parlando dell’“inaudito e inspiegabile miracolo della bellezza”, il peritus del Concilio diceva che “nel mondo esistono processi che si presentano allo spirito percettivo dell’uomo sotto forma di pura bellezza, cosicché egli deve pur ammettere che il Matematico, il quale ha dato il via a tali processi, ha dimostrato un livello inaudito di fantasia creatrice”. In una lezione del 1969 Ratzinger scrive che la fede nella creazione indaga sul perché dell’essere in sé, “il suo problema è perché c’è qualcosa e non niente”. Così come il tema divenne dominante durante l’esilio babilonese degli ebrei, la creazione deve essere riscoperta nell’ora dell’“esilio postmoderno”. Come ha detto Schönborn al Foglio, “l’origine perduta è uno dei presupposti della cultura postmoderna. La fede biblica e la ragione cristiana partono da questa certezza
che l’archè, l’origine, breshit barà, ‘all’inizio Dio creò’, la prima frase della Bibbia, è l’origine di tutto”.
Fra gli studenti che con Ratzinger ottennero il dottorato e l’abilitazione nelle Università di Bonn, Münster, Tubinga e Ratisbona, c’era il filosofo tedesco Robert Spaemann, il massimo studioso e critico cattolico della modernità. Nato a Berlino nel 1927 e capostipite di una generazione di pensatori che ha conosciuto il nazionalsocialismo, autore di saggi come “Persone” e “Natura e ragione”, Robert Spaemann è l’Emmanuel Lévinas cattolico. A lui si devono alcune fra le più radicali sentenze del pensiero contemporaneo, a cominciare da “non c’è etica senza metafisica”. Erede della prestigiosa cattedra che fu di Gadamer e professore emerito a Monaco, Spaemann in questa intervista al Foglio penetra i perché della necessità di riportare la creazione al centro del dialogo con la cultura laica. “L’uomo è ciò che si ritiene naturalmente e spontaneamente oppure è un antropomorfismo? E’ un essere libero, capace di intendere, di volere e di sincerità, oppure sono solo illusioni su cui ci deve illuminare la scienza, che si avvale di un approccio metodologico di carattere materialistico, in particolare la neuroscienza? Dietro a questa ‘illuminazione’ risiede un enorme interesse, l’interesse di assumere il controllo dell’essere umano e di rimodellarlo secondo i concetti di designer biologici. Nessuno è urtato apparentemente dalla contraddittorietà di quest’idea.
Perché la logica vuole che se si parte dal presupposto che l’uomo non è un essere libero e capace di sincerità, allora anche i risultati delle neuroscienze non hanno nulla a che vedere con la verità.
Chiunque, compreso lo studioso di scienze neurologiche, desidera che si tenga conto del senso delle sue affermazioni e non che le sue esternazioni siano
percepite solo come prodotto acustico del suo stato cerebrale”.
Ratzinger parla di creazione come di una “liberazione”. “L’uomo intende se stesso come persona, essere spirituale” ci dice Spaemann. “E’ al contempo però anche naturale, parte della natura. Oggi sappiamo che è il prodotto di un lungo processo e di una lunga storia naturale.
Questi due aspetti sono compatibili tra di loro solo se il processo naturale, al quale l’uomo deve se stesso, ha a sua volta le fondamenta in un atto di creazione.
Se così non è, la constatazione che l’uomo è un essere naturale è incompatibile con il suo ritenersi spirituale, persona.
Gli esseri liberi si caratterizzano per il fatto di avere un rapporto diverso da quelli di altri esseri viventi con la propria essenza. Non sono semplicemente
‘esemplari’ rappresentativi della specie alla quale vengono assegnati da un osservatore esterno, hanno un rapporto soggettivo con la propria natura.
Noi conosciamo ciò che un essere umano è, solamente quando sappiamo ciò che è chiamato a essere. Questo assioma è opposto all’assioma che domina la nostra cultura scientifica e che dice: ciò che qualcosa è, quindi ciò che è anche un essere umano, lo so quando conosco di che cosa è fatto. Già Platone nel Fedone discute la differenza fra questi due approcci e dimostra il primato dell’approccio teleologico su quello genetico”.
Per dirla con il pioniere della biochimica Erwin Chargaff, “a un certo gradino tutta la vita è un fatto chimico. Non capirò mai come questi gradini possano
strutturarsi a formare la scala eterna”.
Qual è oggi il sonno della ragione di cui parlava Goya? “Il ‘sonno della ragione’ di Goya è profondamente ambiguo, tanto quanto la ragione moderna. Se si intende la ragione nell’accezione classica, allora ne scaturiscono i mostri, perché la ragione dorme. Ma Goya fa nascere i mostri dalla ragione dormiente stessa.
Sono le utopie fantastiche e nemiche dell’uomo. La ragione è la facoltà dell’uomo nella ricerca di Dio. Non la ragione strumentale, ma la facoltà di trascendere le proprie condizioni ed entrare in contatto con la realtà in sé. Credere nella creazione significa credere in una fondamentale razionalità, che il bene è più potente del male, che ciò che è basso deriva da qualcosa di più alto e non viceversa. La natura fa emergere nell’uomo qualcosa che è più che natura: ‘nobilior’ dice Tommaso d’Aquino”.
Pascal diceva che l’uomo è la specie che trascende sempre sé stessa. “La cosa importante è che l’uomo è un essere vivente che trascende se stesso. Che sia l’unico essere di questa specie, mi pare poco importante. Se un giorno dovessimo giungere alla convinzione che anche le balene e i delfini posseggono caratteristiche personali, questo non avrebbe conseguenze sul nostro senso dell’essere.
Dovremmo solo smettere di uccidere questi animali. Gli esseri umani non sono, come riteneva Sartre, pura soggettività, libertà assoluta, pura trascendenza finita. Le persone non sono una specie naturale che possiamo identificare con una descrizione. Se abbandoniamo l’unico criterio dell’appartenenza alla specie Homo Sapiens e della discendenza da membri di questa specie, stabilire a quali uomini spettino diritti personali e a quali no, diventa pura questione di potere”.
Di darwinismo avete discusso un anno fa a Castel Gandolfo. “La teoria neodarwinistica insiste sul fatto che gli unici fattori dell’evoluzione siano una mutazione e una selezione casuale di ciò che serve alla sopravvivenza. Un’affermazione errata anche da una prospettiva puramente scientifica, da quando riviste come Nature e Science hanno pubblicato scoperte di un’‘evoluzione adattativa’, mirata ed ereditaria, in piante e mammiferi. L’errore fatale del neodarwinismo è reinterpretare le caratteristiche specifiche personali in funzione dell’autoconservazione biologica e dell’affermazione dei geni. Uno scienziato come Richard Dawkins non avrebbe allora scritto un libro su questo argomento perché la sua teoria ha qualcosa a che fare con la verità, ma semplicemente perché con le molte copie vendute, voleva assicurare ai propri figli una migliore base di partenza”.
La personalità è sovratemporale: “Grazie a essa l’essere umano partecipa al mundus intelligibilis. L’uomo è un essere capace di conoscere la verità, ma la verità è al di sopra del tempo. Se la parentela biologica non fosse al tempo stesso qualcosa di personale, come si potrebbe spiegare il fatto che i bambini nati al di fuori dal matrimonio o adottati, manifestano il desiderio di conoscere il proprio padre carnale? Qualcosa di analogo è vero nel caso del rapporto sessuale tra uomo e donna. Anch’esso non è mai qualcosa di meramente biologico.
Quando lo si riduce a questo si tratta di una depravazione. La vita non è uno stato della materia, ma l’essere di un vivente”.
L’evoluzione ci indica il come, la storia della creazione il perché. “Con l’aggiunta che i grandi passi dell’evoluzione, soprattutto il formarsi di un’interiorità,
non sarebbero comprensibili se attraverso la domanda ‘come’ non ci si potesse richiamare anche al ‘perché’. Se l’illuminismo abolisce se stesso, il risultato si chiama nichilismo e decomposizione della natura umana. La natura diventa il regno privo di trascendenza di un passivo essere mosso, una pigra autoaffermazione di ciò che già è. Se in quanto vittime dello scientismo ci persuadiamo che non siamo altro che macchine che replicano geni, che la nostra ragione è solo il prodotto dell’adattamento evolutivo e non ha niente a che fare con la verità, se l’autocontraddizione di questo fatto non ci orripila, niente può persuaderci dell’esistenza di Dio. Nessun serio argomento dello scientismo, della cosiddetta visione scientifica del mondo che Wittgenstein chiamava ‘la moderna superstizione’, è stato ancora elevato contro la voce di Dio. ‘Non siamo liberi da Dio, perché crediamo ancora alla grammatica’ diceva Nietzsche”.
Ratzinger parla di un tentativo della scienza di riscrivere la saga biologica.
“Questo tipo di manipolazione della natura umana è nichilistica perché tutte le nostre mete sensate sono sensate in considerazione della nostra natura. Non disponiamo di alcun criterio per ciò che potrebbe essere una natura umana migliore.
Il razionalismo dell’illuminismo, assieme allo scientismo, ha condotto al concetto di impotenza della ragione. Il cristianesimo non ha mai considerato l’uomo libero come lo intendeva il razionalismo illuministico. Ma neanche schiavo e irragionevole come lo scientismo.
Il cristianesimo ha democratizzato la filosofia platonica: tutti sono chiamati ad arrivare alla conoscenza della verità, la conoscenza di Dio. La scienza moderna comincia con un rifiuto della considerazione teleologica della realtà.
Questa, come scrive Francis Bacon, ‘sterilis est, et tanquam virgo Deo consecrata nihil parit’, è sterile e non genera come una vergine consacrata a Dio. L’illuminismo ha cacciato dai monasteri le vergini consacrate a Dio a meno che non facessero qualcosa di utile, come scuola ai bambini o curare i malati. Vediamo nelle parole di Bacon il nuovo ideale di scienza: la scienza deve essere utile”.
Spaemann riconosce il fascino ideologico di un naturalismo che si configura come un nuovo mito dell’origine. Ascoltando Jacques Monod, lo scienziato che
riconduce tutto al gioco di caso e necessità, François Mauriac ha detto: “Quanto dice questo professore è ancora più incredibile di quel che crediamo noi poveri cristiani”. Qual è lo scopo del riduzionismo naturalistico, questo cubismo scientifico? “Il fine è il dominio sulla natura, il potere del più forte sui deboli. I più deboli sono gli esseri umani nei loro primi mesi di vita. Non devono essere persone, non devono poter esistere affinché altri possano vivere più a lungo e più comodamente. Ogni madre dice al proprio figlio: ‘Quando ti portavo in grembo…’ e ogni persona dice ‘io sono stato concepito lì, e sono nato lì’, e questo malgrado l’embrione non dica ‘io’.
Anche quelli che sostengono la ricerca sugli embrioni nella vita di tutti i giorni parlano così. Non riconoscono all’embrione di poter continuare a vivere e potersi riferire un giorno a se stessi con il pronome ‘io’. Questo è puro cinismo. Anche Immanuel Kant scrive che ‘è un’idea assolutamente giusta e anche necessaria il considerare la procreazione come un atto per mezzo del quale abbiamo messo una persona al mondo’. ‘Persona’ non è un termine generico, come mammifero; ‘persona’ diceva Tommaso d’Aquino, è un nomen dignitatis. E’ imperativo trattare ciò che abbiamo creato come ‘qualcuno’ e non come ‘qualcosa’, a prescindere da quale sofferenza il suo sfruttamento potrebbe alleviare. Anche gli esperimenti sull’ipotermia nei campi nazisti erano per il bene di altri, i soldati tedeschi in Russia”.
La parola dignità indica qualcosa di sacro: “E’ una parola religiosa o metafisica.
Horkheimer e Adorno mostrano di averlo compreso quando scrivono che contro l’omicidio vi è soltanto un argomento di carattere religioso. Andrej Sinjawski scrisse sull’esperienza del Gulag: ‘Abbiamo a lungo pensato abbastanza sugli esseri umani, adesso è il momento di pensare a Dio’. L’esistenza umana dipende sempre da un certo grado di solidarietà. Quello che è chiesto a Caino è se egli sappia dov’è suo fratello.
‘Sono forse il custode di mio fratello?’. E’ la risposta dell’assassino”.
L’utilitarismo evoluzionista nega la possibilità di concepirci in termini morali.
“Distinguerei tra ‘evoluzionismo’ e teoria scientifica dell’evoluzione, per cui tutti gli esseri viventi hanno tra di loro una relazione parentale, basata su
un’origine comune. Preferisco parlare, come Darwin, di discendenza, piuttosto che di evoluzione. E’ un’espressione ideologicamente più neutrale. Evita l’idea che la vita sia come una sostanza universale che ‘si evolve’ e che i singoli esseri viventi siano solo stati di aggregazione di questa sostanza. Io discendo da mio padre, non è mio padre che si è sviluppato verso di me. Noi abbiamo vissuto molti anni contemporaneamente uno accanto all’altro. L’evoluzionismo pensa di aver compreso cos’è un essere vivente quando può dire come si è formato, com’è nato. Ma essere vuol dire emanciparsi dalle condizioni originarie della nascita. Il parlare dell’uomo in quanto tale finisce per apparire come una caduta nell’antropomorfismo. L’evoluzionismo non conosce cose come la sostanza e l’essere. Per questo si permette anche di intromettersi indiscriminatamente nella natura umana. Intromissioni giustificate con l’argomentazione che l’uomo stesso prende in mano l’evoluzione e non la lascia più al caso”.
Schönborn ha scritto che una scienza materalista può soltanto studiare delle lettere, non può leggere un testo. Spaemann conclude che “qualche anno fa si è scoperto che Johann Sebastian Bach ha cifrato il testo di una sonata per violino ricorrendo a un procedimento di trasformazione kabalistico: ‘Ex Deo nascimur, in Christo morimur, per Spiritum Sanctum reviviscimus’. Si può apprezzare quella musica e la si è apprezzata per secoli, senza sapere nulla di
questo codice. La struttura della musica può essere spiegata semplicemente con strumenti musicali intrinsechi. Ma chi cercasse di spiegare il testo cifrato
solo come il prodotto accidentale di un procedimento di composizione, che nulla sa di questa tecnica di secretazione, verrebbe ritenuto nient’altro che un farneticante.
Di questi farneticanti ce ne sono tanti oggi, in particolare quando si tratta di spiegare la nascita del senso come dinamica autonoma di un processo puramente materiale. Sono quelli che definiscono queste fantasie ‘scienza’.
Gli esseri umani erano familiari con la stella del mattino e della sera molto prima che scoprissero che erano la stessa stella e si chiamava Venere”.
Il Foglio, 5 aprile 2007
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