18 aprile 2007

Il cardinale Schoenborn presenta "Gesu' di Nazaret" di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI


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"GESU' DI NAZARET" DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI e tutti i link ivi segnalati

Successivamente sara' pubblicata una sintesi dell'intervento del professor Cacciari.



IL LIBRO DI UN PROFESSORE CRISTIANO CHE E’ DIVENTATO PAPA
Ratzinger, il rabbino e l’insopportabile pretesa di Gesù di Nazaret

• Il superamento dell’esegesi storico-critica • Le fantasie sul rivoluzionario, il mite riformatore sociale, l’amante segreto della Maddalena possono finire nell’ossario della storia • La domanda cruciale sulla sua credibilità e l’intuizione decisiva dell’erudito ebreo Jacob Neusner

Pubblichiamo ampi stralci della presentazione del libro “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI fatta ieri in Vaticano dall’arcivescovo di Vienna, cardinale Christoph Schoenborn

Che il Papa parli di Gesù non è in alcun modo sorprendente. Questo è il primo e il più importante dei suoi compiti. Sorprendente è piuttosto come egli lo faccia.
Non c’è, al primo posto, sulla copertina del libro, Benedetto XVI, bensì semplicemente “Joseph Ratzinger”. Solo al secondo posto c’è il nome, Benedetto XVI, che egli ha scelto il 19 aprile 2005, dopo l’elezione a Papa.
Non parla qui il Papa, e neanche l’allora cardinale, vescovo, professore, sacerdote, ma il semplice credente, il cristiano Joseph Ratzinger.
Affinché questo sia chiaro fin dall’inizio, egli conclude la prefazione del suo libro con il semplice avvertimento: “Non ho di sicuro bisogno di dire espressamente che questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del “volto del Signore” (Sal 27,8) (p. 22). Un “libro su Gesù” del tutto personale dunque. Già all’inizio l’autore dice di essere giunto a questo libro “dopo un lungo cammino interiore” (p. 10).
Ma l’uomo e il cristiano Joseph Ratzinger è però anche Papa Benedetto XVI. Con questo “nome-doppio”, per così dire, egli firma anche la sua prefazione, con esso esce in tutto il mondo questo libro, oggetto di grande attenzione mediatica. Il libro si legge come il libro su Gesù del Papa. E perché poi no? Egli non è il più alto funzionario di una multinazionale attiva in tutto il mondo, ma il successore di colui a cui Gesù ha chiesto: “Simone, mi ami?” (Gv 21,15). Perché non dovrebbe essere proprio il Papa, che è chiamato in modo particolare, a parlare del suo Maestro e Signore? Non è lui colui che, più di tutti, deve essere ricolmo dell’amicizia con Cristo? Come vedremo, è proprio qui anche il punto di gravitazione, il centro interiore del suo libro su Gesù. Egli lo chiama: “l’intima amicizia con Gesù” e dice che da essa “tutto dipende” (p. 11). Una testimonianza di un’“intima amicizia” dunque?
Un approccio del tutto soggettivo? Una testimonianza personale, come ce ne sono molte di questo tipo, per “chi è all’esterno”, una forma di letteratura devozionale, il più delle volte piuttosto indigesta? Questo non sarebbe il tipo di letteratura che di Ratzinger si conosce. Egli è poco incline a ogni soggettivismo, gli è estranea ogni forma di esibizione della propria interiorità personale.
In modo simile a san Tommaso d’Aquino, il fuoco della sua vita di fede è nascosto, non viene esposto alla curiosità dei biografi. In primo piano sta l’instancabile confronto intellettuale, la fatica del concetto, la forza degli argomenti, la passione della ricerca oggettiva della verità, lo sforzo di dare una risposta, a tutti coloro che chiedono e cercano, del motivo della propria speranza (cf. 1Pt 3,15). Per questo il Papa si reca nell’Agorà, nella piazza del pubblico dibattito. Nell’Areòpago (cf At 17, 22) della pluralità di opinioni dei giorni d’oggi, egli espone la sua visione di Gesù. Il Papa dice ai suoi lettori quello che negli areòpaghi degli odierni dibattiti pubblici dovrebbe essere ovvio, e pone con ciò un alto criterio di qualità. “Perciò ognuno è libero di contraddirmi.
Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione” (p. 22).

Le contraddizioni non mancano
Le contraddizioni non mancano davvero.
Su tutte le linee, dall’inizio, Gesù è “un segno di contraddizione” (Lc 2, 34). La sua figura è “coerente”? La roccia della confessione di Pietro a Gesù come il Messia di Israele, come il Figlio del Dio vivente, non è friabile? Si sa davvero qualcosa di sicuro sull’uomo della Galilea? Che amicizia è quella con un fantasma? Essa “minaccia di annaspare nel vuoto” (p. 11). Così la questione
circa la credibilità storica è di importanza vitale, in modo particolare per quello che, fra i due miliardi di cristiani, ha l’ònere di essere colui a cui Gesù ha affidato “le chiavi del Regno dei cieli”(Mt 16, 19).
Sul pubblico mercato mediatico si mettono in vendita, senza pausa, “scoperte” apparentemente nuove, che dovrebbero rivelare una storia completamente diversa del Gesù di Nazaret. La rappresentazione biblica ed ecclesiale della figura di Gesù sarebbe una truffa da preti e un imbroglio della chiesa. La “verità” su Gesù verrebbe soffocata da oscuri cospiratori, localizzati con particolare preferenza in Vaticano. Il dubbio sulla credibilità storica dell’immagine di Gesù dei Vangeli proviene però anche “dalle proprie linee”. Da più di 200 anni la critica storica della Bibbia ha messo in discussione quasi tutto quello che nella Bibbia si può trovare su Gesù. La sua figura sembrò di volta in volta dileguarsi, come un’ombra nel nebuloso, come un’“icona fattasi sbiadita”(p. 11). La fede della chiesa in Gesù Cristo appare allora come una “divinizzazione” posteriore di un Gesù di Nazaret, di cui in realtà non si sa quasi nulla di certo. “Questa impressione, nel frattempo, è penetrata profondamente nella coscienza comune della cristianità. Una simile situazione è drammatica per la fede, perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento” (p. 11).
E se invece si riesce a dimostrare la credibilità storica dei Vangeli e la loro immagine di Gesù? Il nostro autore è convinto che ciò sia possibile. A ciò è preparato nel migliore dei modi dalla propria biografia.
Per lui la Bibbia è stata sempre il cuore e il centro della teologia. Nei molti anni in cui ho potuto averlo come professore, vescovo, prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, non l’ho mai visto senza il suo “Nestle”, l’edizione critica del Nuovo Testamento in greco. Non conosco nessun altro professore di teologia che abbia una tale intima familiarità con la Bibbia. Per 24 anni egli ha presieduto la Pontificia Commissione Biblica che riunisce studiosi biblici cattolici di primo rango. Egli conosce il metodo “storico-critico” di esegesi biblica.
E se è critico nei suoi confronti, non lo è per paura, ma per la convinzione fondata, e pienamente argomentata, che esso debba riconoscere i propri limiti. “Io spero però”, così egli scrive, “che il lettore comprenda che questo libro non è stato scritto contro la moderna esegesi, ma con grande riconoscenza per il molto che essa ci ha dato e continua a darci” (p. 22). Egli sa di cosa parla.
Il suo libro testimonia, in ogni pagina, quanta dimestichezza egli abbia con i lavori delle odierne scienze bibliche.
Proprio questa dimestichezza lo ha rafforzato nella convinzione di potere avere fiducia nei Vangeli. Egli vorrebbe fare il tentativo “di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il ‘Gesù storico’ in vero e proprio senso. Io sono convinto e spero che se ne possa rendere conto anche il lettore, che questa figura è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni.
Io ritengo che proprio questo Gesù – quello dei Vangeli – sia una figura storicamente sensata e convincente” (p. 20 segg.). Il nostro autore parte da questo assunto. In vista di esso legge la vita di Gesù, dal Battesimo al Giordano fino alla Trasfigurazione, il lasso di vita pubblica di cui tratta questo primo volume, nell’attesa di un secondo, che dovrebbe trattare dell’inizio e della fine del cammino terreno di Gesù. Sulla base della fiducia nell’attendibilità storica dei Vangeli e della loro immagine di Gesù, si pone ovviamente una questione ancora più radicale che riguarda il centro autentico della discussione attorno a Gesù. Se Gesù era così come lo presentano i Vangeli, egli è allora credibile come figura? La comprensione che egli ha di sé, così come la troviamo in modo attendibile nei Vangeli, non è una smisurata sopravvalutazione di sé, un’arrogante presunzione? Dopo 200 anni di critica storica della Bibbia, possiamo tranquillamente partire dal presupposto, con Joseph Ratzinger/Papa Benedetto, della solida attendibilità storica dei Vangeli. Le innumerevoli immagini fantasiose di Gesù come di un rivoluzionario, un mite riformatore sociale, come l’amante segreto di Maria Maddalena eccetera, si possono tranquillamente depositare nell’ossario della storia.
Ma il grande quesito permane pur sempre: Gesù è in sé coerente? La comprensione che egli ha di sé, della sua identità, non è un enorme sbaglio che la cristianità segue da 2000 anni? L’ebraismo e l’islam si scandalizzano proprio di questa pretesa. Dare a essa una risposta è la vera sfida che si pone oggi al successore di Pietro (e di Paolo) nell’areòpago del pubblico odierno. E’ credibile Gesù stesso? E se sì: “Che cosa ha portato?” (p. 73). Perché egli doveva essere più che un profeta? Questo “più” non è una trovata dei suoi seguaci che lo avrebbero fatto Dio. E’ la comprensione più autentica che egli abbia di sé. Egli stesso si dichiara “il Figlio” (pp. 386-396), in un senso assoluto, solo a lui peculiare. Perché egli non può, o non vuole, ritirarsi nel ruolo più modesto di fondatore di una religione fra le tante? Qui sta il vero scandalo. Esso è molto più radicale dei molti altri scandali che i suoi discepoli, già dall’inizio, abbiano suscitato.
E’, Gesù stesso, coerente, credibile? Secondo la testimonianza personale di Papa Benedetto, uno degli impulsi a scrivere questo libro è stato l’incontro con il libro del “grande erudito ebreo Jacob Neusner” (p. 99) “Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù” (Piemme, Casale Monferrato 1996, originale: “A Rabby Talks with Jesus: An Intermillennial Interfaith Exchange”, New York 1993). Quello che Papa Benedetto dice a proposito di tale libro, è così essenziale per la comprensione del suo stesso libro su Gesù, che vorrei citare, a questo punto, un po’ più per esteso. Jacob Neusner, dice il nostro autore, “si è, per così dire, inserito tra gli ascoltatori del Discorso della montagna e ha poi cercato di avviare un colloquio con Gesù… Questa disputa, condotta con rispetto e franchezza fra un ebreo credente e Gesù, il figlio di Abramo, più delle altre interpretazioni del Discorso della montagna a me note, mi ha aperto gli occhi sulla grandezza della Parola di Gesù e sulla scelta di fronte alla quale ci pone il Vangelo. Così… desidero entrare anch’io, da cristiano, nella conversazione del rabbino con Gesù, per comprendere meglio, partendo da essa, ciò che è autenticamente ebraico e ciò che costituisce il mistero di Gesù” (p. 99). A questo “trialogo” il cardinale Ratzinger pensava già allorché definì il libro del rabbino Neusner come “il saggio di gran lunga più im importante per il dialogo ebraico-cristiano che sia stato pubblicato nell’ultimo decennio”.
Il suo libro su Gesù, ora pubblicato, adempie a questa promessa.
Più che le discussioni sui metodi esegetici, a lui sta a cuore il colloquio con il rabbino.
Le prime appartengono, in un certo modo, ai preamboli, ai preliminari. Joseph Ratzinger/Benedetto XVI li chiarisce, rapidamente e sinteticamente, nella prefazione, indicando i meriti e i limiti degli approcci storico-critici a Gesù. Ma già dall’introduzione, da “un primo sguardo sul mistero di Gesù”, egli è là, al centro, dove è posta la Persona stessa di Gesù. Qui, nel cuore della sua meditazione su Gesù, il rabbino gli è di decisiva importanza.

Il dialogo immaginario

“Cerchiamo ora di riprendere l’essenziale di questo colloquio per conoscere meglio Gesù e comprendere più a fondo i nostri fratelli ebrei” (p. 136). Il rabbino Neusner, “nel suo dialogo interiore, aveva seguito Gesù per tutto il giorno e ora si ritira per la preghiera e lo studio della Torah con gli ebrei di una cittadina, per poi discutere le cose sentite – sempre nell’idea della contemporaneità attraverso i millenni – con il rabbino del luogo” (p. 136). Essi ora paragonano gli insegnamenti di Gesù con quelli della tradizione ebraica. Il rabbino chiede a Neusner “se Gesù insegni le stesse cose di costoro”.
Neusner: “Non precisamente, ma quasi”. “Che cosa ha tralasciato?” “Nulla”. “Che cosa ha aggiunto allora?” “Se stesso”.
Questo il dialogo immaginario. Proprio questo è il punto, di fronte al quale Neusner, nel suo incontro così pieno di rispetto con Gesù, indietreggia spaventato. Egli esprime il suo spavento nella frase che Gesù dice al giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri; vieni e seguimi” (cf. Mt 19,20). Tutto dipende, dice Neusner “da chi si intenda con questo mi” (“Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù”, p. 114). E il nostro autore completa: “Questo è il motivo centrale per cui (il rabbino Neusner) non vuole seguire Gesù e rimane fedele all’’Israele eterno’” (p. 137). “La centralità dell’Io di Gesù nel suo annuncio” è dunque il motivo per cui, come scrive il rabbino Neusner nella prefazione al suo libro, egli non si sarebbe unito alla “cerchia
degli apostoli di Gesù”, se fosse vissuto “nel primo secolo in terra d’Israele” (op. cit., p. 7). Ed egli avrebbe preso questa decisione, “per motivi buoni e importanti”, l’avrebbe ragionevolmente motivata “con argomenti e con fatti”, così dice il rabbino Neusner, già nelle prime righe del suo libro (ibidem, p. 7). Questo suo No a seguire Gesù, formulato in maniera così rispettosa e comprensiva, ma tuttavia ben chiara, è motivato in Neusner, primariamente, da motivi di fede o da motivi di ragione? Tutte e due le cose sembrano essere vere. Il no all’equiparazione di Gesù con Dio è per lui un’evidenza di fede, la cui ragionevolezza è spiegabile anche “con argomenti e con fatti”. Sono sia motivi religiosi che sociali a giustificare il cortese no di Neusner. Quello che Gesù richiede dai suoi seguaci “può richiederlo solo Dio da me” (“Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù”, p. 70). E quello che egli esige, porta infine a mettere in pericolo la forma sociale di Israele, così come la prescrive la Torah: “Sul Discorso della montagna non si può costruire nessuno stato e nessun ordine sociale” (p. 146). Il rabbino Neusner è così importante per il libro di Joseph Ratzinger/ Benedetto XVI, proprio perché egli oppone un netto rifiuto a tutti i tentativi di scindere il Gesù storico dal Gesù del dogma della chiesa. Non è stata la chiesa, e neanche l’apostolo Paolo a innalzare un predicatore ambulante della Galilea, mite, liberale, profetico, apocalittico o come altro sia, al rango di Figlio di Dio, ma egli stesso accampa una pretesa, in tutto il suo fare e dire, che spetta solo a Dio. E’ questa la tematica centrale del libro. Si tratta della domanda di Gesù a Cesarea di Filippo: “Ma voi, chi dite che io sia?” (Mt 16, 15).

Che cosa ha portato?

Che cosa ha portato (Gesù)? Un nuovo ordine sociale? Il suo Regno non è di questo mondo, egli spiega. Egli avrebbe già detto il suo “no” ad un’attesa di salvezza puramente immanente e terrena, già nel rifiuto delle tentazioni, e cioè del tentatore. Ciò ha qualcosa a che fare con la critica, spesso fraintesa, del prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, alle cosiddette “teologie della liberazione”. Nel pregevole capitolo sulle tentazioni di Gesù leggiamo: “nessun regno di questo mondo è il Regno di Dio, la condizione di salvezza dell’umanità in assoluto… e chi sostiene di poter edificare il mondo salvato asseconda l’inganno di Satana, fa cadere il mondo nelle sue mani” (p. 73). Ma che cosa allora? Che cosa ha portato Gesù se non un mondo migliore?
“Qui sorge però la grande domanda che ci accompagnerà per tutto questo libro: ma che cosa ha portato Gesù veramente, se non ha portato la pace nel mondo, il benessere per tutti, un mondo migliore? Che cosa ha portato? La risposta è molto semplice: Dio.
Ha portato Dio” (p. 73). Questo è tutto? “Solo la nostra durezza di cuore ci fa ritenere che ciò sia poco”(p. 73). “Il comandamento fondamentale di Israele è anche il comandamento fondamentale dei cristiani: si deve adorare solo Dio” (p. 74). E’ questo il presupposto per i comandamenti dell’amore del prossimo. Senza il primato di Dio, la dignità dell’uomo non regge a lungo. “Gesù ha portato Dio e con Lui la verità sul nostro destino e la nostra provenienza” (p. 73).
Che cosa ha da dirci però tutto questo su Gesù? Non hanno portato, tutti i fondatori di religione, il sapere e la sapienza dall’alto?
Nel suo “primo sguardo” introduttivo “sul mistero di Gesù”, il nostro autore affronta il problema di come Gesù “porti Dio” (pp. 26-33). Nell’Antico Testamento Mosè è il mediatore della conoscenza di Dio, della volontà di Dio. Egli non era un indovino di un oscuro futuro, ma un amico e un confidente di Dio, “lui con il quale il Signore parlava faccia a faccia” (Dt 34, 10). Solo così egli era potuto diventare il mediatore della Torah, della volontà di Dio. Mosè annuncia “un profeta come me…”, uno, che “parlerà faccia a faccia, come un amico tratta con l’amico” (p. 29). Essere in rapporto immediato con Dio, questo è il segno di riconoscimento del promesso, del Messia. Gesù è il nuovo Mosè promesso. “Egli vive al cospetto di Dio, non solo come un amico ma come Figlio; vive in una profonda unità con il Padre” (p. 31). “Se si lascia da parte questo centro autentico, non si coglie lo specifico della figura di Gesù che diventa allora contraddittoria e in definitiva incomprensibile”( p. 31). E’ dimostrabile questo rapporto immediato di Gesù con il Padre? Il suo essere- Figlio-di-Dio è, per così dire, “accertato”?
In fondo tutto il libro di Joseph Ratzinger/ Benedetto XVI è un unico tentativo “sinfonico” di comprovare la “coerenza” della figura di Gesù, come dell’Unico che sia in assoluto rapporto immediato con Dio.
Per tener dietro a questa dimostrazione, bisogna capire, meditare il libro stesso, passo dopo passo. Solo la pienezza delle singole impressioni può configurarsi in una visione d’insieme. In ciò sperimento sempre, come lettore, che l’evidenza di Gesù risplende.
Questa mia impressione è solo soggettiva?
Oppure proviene dal mio a priori di fede che mi fa interpretare tutto, in Gesù, già dapprincipio, nel senso del dogma cristologico?
Una cosa è certa: “che la figura di Gesù abbia fatto nella pratica saltare tutte le categorie disponibili e abbia potuto così essere compresa solo a partire dal mistero di Dio” (p. 21). Dall’inizio sono stati i semplici ad avvertire: qui parla uno che non proferisce erudizioni scolastiche: “Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!” la gente semplice diceva agli eruditi di Israele (cf. Gv 7, 46). “L’insegnamento di Gesù non proviene da un apprendistato umano, qualunque possa essere. Viene dall’immediato contatto con il Padre, dal dialogo ‘faccia a faccia’ … E’ la parola del Figlio.
Senza questo fondamento interiore sarebbe temerarietà” (p. 31 segg.). […]

Christoph Schoenborn

Il Foglio, 14 aprile 2007

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