14 aprile 2007

Nuovo aggiornamento (parte quarta) della rassegna stampa su "Gesu' di Nazaret"


Vedi anche:

Raccolta della rassegna stampa del 14 aprile 2007 su "Gesu' di Nazaret" e i link ivi indicati

LA PRESENTAZIONE
Ieri pomeriggio in Vaticano la conferenza stampa sul volume «Gesù di Nazaret» di Benedetto XVI, in libreria da lunedì 16 aprile e in Italia pubblicato da Rizzoli. Il cardinale Schönborn: «Il mercato mediatico inventa storie su Gesù, immagini fantasiose che si possono depositare nell’ossario della storia»

Ratzinger: il vero volto di Cristo

Il pastore Garrone: «Un paradosso ricostruire storicamente la figura di Cristo» Il filosofo Cacciari: «Un libro che torna alla radicalità del messaggio cristiano»

Da Roma Salvatore Mazza

Diverso da tutto. Non certo «il tipo di letteratura che si conosce di Ratzinger». Piuttosto uno «sguardo attento e una lunga meditazione fatta dal teologo Joseph Ratzinger nel suo lungo cammino esegetico, attento ed esistenziale, con Gesù di Nazareth». Il risultato? «Un libro su Gesù del tutto personale», semplice e rigoroso. Secondo un linguaggio tanto più efficace oggi, quando «sul pubblico mercato mediatico si mettono in vendita, senza pausa, scoperte apparentemente nuove, che dovrebbero rivelare una storia completamente diversa del Gesù di Nazareth». È questo Gesù di Nazareth, nelle parole con le quali il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, ha inquadrato il libro di Benedetto XVI, in tutte le librerie da lunedì prossimo, nella conferenza stampa di presentazione, svoltasi nell'Aula nuova del Sinodo, in Vaticano. Una presentazione che davvero, come ha affermato introducendo la conferenza stampa il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi, è stata «una festa, anche perché diamo il benvenuto a un libro molto atteso, importante e bello». E se, ha aggiunto Lombardi, presentare un libro di un Papa può non sembrare più una novità, dopo i «diversi libri» di Giovanni Paolo II, la novità di oggi «è il genere, la natura di questo libro - ha spiegato -: il libro di un Papa che è un grande teologo». Gesù di Nazaret, infatti, edito in Italia da Rizzoli, «non si presenta come documento magisteriale, ma come opera del teologo Joseph Ratzinger, frutto di un'intera vita di studio e di riflessione», proposto «con grande libertà e umiltà». Ed è questa, appunto, «l'originalità e la novità della situazione» di oggi, che «incuriosisce e stimola la riflessione». Ad aprire la serie degli interventi, prima di Daniele Garrone, decano della Facoltà valdese di teologia di Roma, e di Massimo Cacciari, ordinario di estetica all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, è stato come detto l'arcivescovo di Vienna, che col professor Ratzinger discusse la sua tesi di dottorato in teologia. E ha rilevato come Benedetto XVI sia «poco incline a ogni soggettivismo, gli è estranea ogni forma di esibizione della propria interiorità personale». Nel libro, così, «in primo piano sta l'instancabile confronto intellettuale, la fatica del concetto, la forza degli argomenti, la passione della ricerca oggettiva della verità, lo sforzo di dare una risposta a tutti coloro che chiedono e cercano del motivo della propria speranza». È per questo motivo, ha osservato ancora il cardinale, che il Papa «si reca nella piazza del dibattito pubblico» e «nell'aeropago della pluralità di opinioni dei giorni nostri» esponendo «la sua visione di Gesù» e sottolineando la «solida attendibilità storica dei Vangeli» mentre «sul pubblico mercato mediatico si mettono in evidenza senza pausa scoperte apparentemenmte nuove che dovrebbero rivelare una storia completamente diversa del Gesù di Nazaret», per le quali la «rappresentazione biblica ed ecclesiale della figura di Gesù sarebbe una truffa da preti e un imbroglio della Chiesa». Ma, dopo la lettura del libro del Papa, le «innumerevoli immagini, fantasiose di Gesù come di un rivoluzionario, un mite riformatore sociale, come l'amante segreto di Maria Maddalena... si possono tranquillamente depositare nell'ossario della storia». Per Garrone, il libro di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI è sostanzialmente «un'apologia della fede cristiana», condivisibile «nella parte in cui si afferma che il Gesù crocifisso della fede coincide con il Gesù storico» ma, dal suo punto di vista, non in quella in cui il Gesù storico possa essere «riconoscibile anche dalla ragione». Per il decano della Facoltà valdese di teologia di Roma, infatti, «la verità cristiana è una verità paradossale», dove «una vicenda assolutamente marginale nella storia del suo tempo, tanto da non essere neppure rilevata dalle fonti dell'epoca ma tramandata da semplici uomini e donne, è diventato il fatto "nuovo"». Forse allora l'apologetica diventa «un'operazione impossibile», e secondo Garrone sarebbe meglio «rinunciare a un'apologia, rispondendo al dibattito critico rischiando con la nostra testimonianza, che non è documentabile, se non dicendo: io ho incontrato Dio». Ancora, per Garrone, uno dei «bersagli» del libro è «il mondo moderno, che ha rifiutato Dio». Ma forse, ha osservato, «questa sensazione post-cristiana può essere addirittura salutare, perché ci pone nella stessa situazione dei primi testimoni, siamo restituiti alla situazione originaria in cui l'uomo Gesù ci interpella e noi possiamo rispondere». D'altra parte, ha rilevato Cacciari, «al centro del libro del Papa c'è il Vangelo dove Gesù è alètheia, verità». E «proprio qui sta lo scandalo», in «una persona che afferma di sé di essere la verità». Con Gesù, ha ricordato il filosofo, «va in crisi il concetto di verità che la sophia ha elaborato, e nasce un concetto di verità che è essenzialmente relazione, intrinsecamente insieme di soggetto e oggetto», e si esplicita «in una fede come ricerca» mai perfetta, mai compiuta, dove «l'elemento della ricerca è immanente con l'incredulità». Questo, per Cacciari, «è il dramma che inquieta la ricerca filosofica», e che si concretizza in un processo di ricerca della verità che «non è compiuto finché non ci sarà l'apocalisse di Dio», e fino a quando «i figli di Dio non diventeranno perfetti». Cacciari ha citato la visione di Gesù di Nietzsche, per il quale Cristo «è l'uomo più buono che ci sia mai stato»; in questo senso, ha concluso, «la fede che il Papa testimonia anche in questo libro si gioca nell'appello decisivo della Chiesa a decidere sulle questioni, appunto, decisive, che non sono morali o politiche, ma sono le questioni radicali della fede». Un appello a decidere, insomma, attorno alle «questioni ultime», secondo una radicalità che diventa «risposta al mondo contemporaneo».

Avvenire, 14 aprile 2007


Da Schneider a Lewis, un ventaglio di citazioni

Non mancano i riferimenti "extra-accademici" nel libro di Benedetto XVI. Da quello allo scrittore italiano Vittorio Messori e al suo «importante libro» «Patì sotto Ponzio Pilato?», da cui il Papa prende il riferimento alla testimonianza di Origene su quello che sarebbe stato il vero nome di Barabba, ossia «Gesù Barabbas», «Gesù figlio del Padre». Barabba, insomma, si sarebbe posto come «una sorta di alter ego di Gesù, che rivendica la stessa pretesa, in modo però completamente diverso». La scelta sarebbe stata tra un «Messia che capeggia una lotta, che promette libertà e il suo proprio regno, e questo misterioso Gesù, che annuncia come via alla vita il perdere se stessi. Quale meraviglia che le masse abbiano preferito Barabba?».
Benedetto XVI ricorda la conversione dello scrittore inglese C.S. Lewis, convinto all’inizio che la storia di Gesù fosse una semplice espressione della ricca mitologia antica, niente di più niente di meno. Fino a quando non udì in una «conversazione un ateo convinto osservare che le prove della storicità dei Vangeli sarebbero sorprendentemente persuasive».
Si ritrovano quindi i nomi di Vladimir Solov’ev – con il suo «Racconto dell’Anticristo», dove l’Anticristo sarebbe un colto esegeta «con laurea Honoris Causa in teologia all’Università di Tubinga» – Giovanni Papini e la sua «Vita di Cristo», Reinhold Schneider e la sua interpretazione del Padre Nostro, Dante e l’Inferno, Gandhi e la sua simpatia verso il discorso della Montagna, fino a grandi nomi della moderna spiritualità cristiana, da John Henry Newman a Edith Stein ad Albert Schweitzer.

Avvenire, 14 aprile 2007


Il Figlio dell'Uomo in 22 edizioni straniere

La straordinaria tiratura del libro di Papa Ratzinger con cui la Rizzoli sbarcherà in libreria lunedì conta ben 350mila copie. Il Germania, l'editore Herder, ne ha tirate 250mila. Sono già previste 22 edizioni straniere di «Gesù di Nazaret», lunedì sarà disponibile anche quella polacca. Fra le altre edizioni programmate vi sono quella croata, brasiliana, coreana, lituana, ceca, slovacca, ungherese, americana, inglese, mentre in Spagna il libro uscirà anche in lingua catalana. «Gesù di Nazaret» esce da Rizzoli in coedizione con la Libreria editrice vaticana, ha 448 pagine e costa 19,50 euro. L'edizione italiana è a cura di Ingrid Stampa ed Elio Guerriero.
Dietro a questa opera corposa, prevista in due volumi, c'è un lavoro durato oltre tre anni. Diviso in dieci capitoli, tocca i momenti della vita di Cristo dal battesimo alla trasfigurazione. La parte relativa all'infanzia di Gesù invece è stata collocata dal Pontefice nel secondo volume, di cui ancora non è noto quando verrà pubblicato.

Avvenire, 14 aprile 2007


Con il libro Gesù di Nazaret, il Papa ci offre un approfondimento sul Cristo amico dell’umanità sofferente alla ricerca dell’eterno: così, ai nostri microfoni, il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Gli auguri di Romano Prodi

Oggi pomeriggio (IERI)la presentazione dell’atteso libro di Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. La pubblicazione del volume avviene a pochi giorni dall’80.mo genetliaco del Papa, il prossimo 16 aprile. Per celebrare l’evento, il Pontefice presiederà una Messa in Piazza San Pietro domenica 15 aprile. Fra meno di una settimana, poi, il 19 aprile, Benedetto XVI festeggerà il suo secondo anniversario di elezione alla Cattedra di Pietro. Ma torniamo alla presentazione di oggi pomeriggio. Alla conferenza stampa, nell’Aula nuova del Sinodo alle ore 16, prenderanno parte il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, che è stato ricevuto ieri dal Santo Padre, il prof. Daniele Garrone, decano della Facoltà Valdese di Teologia di Roma e il prof. Massimo Cacciari, ordinario di Estetica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Coordinerà gli interventi padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede. Con questo libro, dunque, Benedetto XVI va al cuore della fede. Ecco la riflessione del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, intervistato da Alessandro Gisotti

R. – Senza dubbio, la figura di Cristo, anzi, la Rivelazione di Cristo è il fondamento della nostra fede è al centro – come ha detto un autore – è la leva della storia. E di fronte al dibattito odierno, che si è ri-infuocato proprio sulla figura di Cristo, sulla personalità di Gesù di Nazaret, un dibattito che a volte è fuorviante anche per l’ignoranza di tante persone che si attribuiscono il diritto, la competenza di parlare – purtroppo – di ciò che non conoscono, il Papa ci dà la sua visione di Cristo. Il Papa è un appassionato di Cristo, è un profondo conoscitore di Gesù Cristo e del cristianesimo. Ricordiamo il suo primo libro, “Introduzione al cristianesimo”, che si potrebbe ancora leggere con frutto. E oggi ci offre questo panorama, questo approfondimento sulla figura di Cristo. Cristo come cifra di interpretazione della vita, dei destini di ogni persona umana e dei destini dell’umanità. E quindi, anche come amico di questa umanità in cammino, di questa umanità tormentata, di questa umanità – però – assetata di eterno e di cose che diano senso alla vita.

D. – Eminenza, lei conosce da tanti anni Joseph Ratzinger. Quale tratto del carattere del Santo Padre la colpisce di più?

R. – La sua amabilità, la sua mitezza, la sua finezza, il suo rispetto per ogni persona, la sua capacità di ascolto e la sua capacità di personalizzare ogni rapporto: non solo con i collaboratori, coloro che sono vissuti accanto a lui per tanti anni, ma anche adesso vediamo nelle udienze generali con coloro che lo salutano anche in un attimo fuggente, il Papa ha un ascolto e ha una parola adatta a ogni persona, come se fosse un vero amico.

D. – L’80.mo compleanno di Benedetto XVI cade quasi in coincidenza con il secondo anniversario del suo Pontificato. Quale bilancio si può fare di questi primi due anni?

R. – Il bilancio del Pontificato di Papa Benedetto si potrebbe trarre da diversi punti di vista, da diversi punti di osservazione, da diversi profili. Pensiamo, ad esempio, a quello dei suoi discorsi: i discorsi all’udienza generale, i discorsi fatti con i giovani, con i bambini della Prima Comunione. Quindi direi che sono discorsi dalla pienezza del cuore, dalla profondità del cuore, tenendo presente che il Papa ha detto che il suo compito è quello di difendere la fede dei semplici. Ed egli continua a svolgere questa missione, soprattutto con i più puri di cuore, i semplici di cuore, indirizzandoli a questo incontro con Cristo che è la chiave di risoluzione, di trasfigurazione della nostra vita. Il bilancio lo si può fare anche sotto un altro profilo: il profilo – per esempio – dei viaggi apostolici pastorali del Santo Padre. Ricordo il viaggio in Spagna, il viaggio in Polonia, anzitutto, per ringraziare quella grande terra di averci dato Giovanni Paolo II, e ricordo allora la visita ad Auschwitz, con quella sua riflessione sulla presenza di Dio, sull’assenza di Dio in quel luogo così drammatico della storia umana. Il viaggio in Germania, con i grandi discorsi sulla presenza di Dio nella società di oggi; il viaggio in Spagna con i messaggi sulla famiglia. Il viaggio in cui io lo ho accompagnato: è stato il primo viaggio che ho potuto compiere con Papa Benedetto, in Turchia, con il grande dialogo interreligioso e con quell’esempio di disponibilità ad incontrare tutti e a ricomprendere, a riassumere i sentimenti più alti di ogni persona umana, di ogni comunità, di ogni nazione, anche di ogni gruppo religioso. Mi sembra che questi siano messaggi permanenti, sostanziali che il Papa lascia, che possono fruttificare nei prossimi anni del suo Pontificato.


D. – Il Santo Padre compie 80 anni. Qual è l’augurio che si sente di rivolgere al Papa di cui lei è il più stretto collaboratore?

R. – L’augurio è anzitutto l’augurio di una buona salute, l’augurio di avere la grazia e la consolazione dello Spirito in questa missione immane che è stato chiamato a compiere dal 19 aprile del 2005; ma l’augurio anche di essere ascoltato come si merita, l’augurio di essere compreso nei suoi messaggi più tipicamente evangelici. Proprio nel suo accompagnare l’uomo, ogni uomo e donna, ogni comunità umana in questo cammino per dare senso alla propria vita e per preparare all’incontro con Cristo che è nostro unico e universale Salvatore.


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E, in questi giorni, sono tantissimi gli indirizzi d’auguri che giungono al Papa da tutto il mondo per il suo 80.mo compleanno. Non mancano i messaggi di autorità politiche ed istituzionali. Ecco gli auguri del presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, intervistato da Massimiliano Menichetti:

R. – Seguendo il Salmo 90, quando si è arrivati ad 80 anni si è arrivati alla sapienza del cuore ed è proprio di questa sapienza che abbiamo bisogno. Il mio augurio, quindi, è che proprio questa sapienza venga applicata nelle grandi sfide che abbiamo di fronte e cioè il problema della pace e della guerra in questo mondo così disastrato; il problema della miseria e della ricchezza, anche qui un mondo pieno di tragedie ed ingiustizie; e il dialogo tra religioni, tra culture. Abbiamo proprio bisogno – davvero – di sapienza del cuore.

D. – Che cosa l’ha colpita di più di questi due anni di Pontificato?

R. – Il suo primo messaggio, forte, della Deus caritas est, e cioè il primato della carità cristiana in tutta la regola della nostra vita. Questa è la cosa più importante, perché dalla Chiesa ci attendiamo questo grandissimo messaggio di amore, di conciliazione e di fratellanza.

Radio Vaticana


Domani la Messa in San Pietro presieduta dal Papa per il suo 80.mo compleanno. Ai nostri microfoni, gli auguri di mons. Comastri, del senatore Pera e del prof. Galli della Loggia

Benedetto XVI ha presieduto, stamani nella Sala delle Congregazioni, la riunione dei Capi Dicastero della Curia Romana. Al centro della riunione il prossimo viaggio apostolico del Papa in Brasile, che si terrà dal 9 al 14 maggio prossimo, e la situazione della Chiesa in America Latina. Ieri sera, il Santo Padre era rientrato in Vaticano da Castel Gandolfo, dove ha trascorso questa settimana. Intanto, la Chiesa si appresta a festeggiare con gioia l’80.mo compleanno del Papa, lunedì prossimo. E domani mattina, Benedetto XVI presiederà una Santa Messa per il suo genetliaco in Piazza San Pietro. Celebrazione che verrà seguita in radiocronaca diretta dalla nostra emittente, a partire dalle ore 9,30, con commenti in lingua italiana, francese, spagnolo, portoghese, inglese e tedesco. Il Papa compie dunque 80 anni, ma il cuore è giovane, perché sempre nuovo è il messaggio che annuncia. E’ quanto sottolinea l’arcivescovo Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano, che in questa intervista di Alessandro Gisotti si sofferma sulle qualità umane del Pontefice:

R. – Nella Chiesa non è l’età che fa la vecchiaia. L’età dipende dal cuore! Il cuore del Papa, il cuore di Benedetto XVI è un cuore giovane, perché è un cuore innamorato di Dio. Anzitutto, con la sua testimonianza di Papa, a me ha colpito molto l’umiltà con cui si è introdotto nel Ministero che sicuramente ha rappresentato, per lui, una chiamata inattesa. E si è introdotto, prendendo la mano del suo predecessore. Raramente nella storia un Papa ha parlato così bene e con accenti così toccanti del proprio immediato predecessore. Io non dimentico le parole che pronunciò proprio nella concelebrazione con i cardinale elettori il 20 aprile 2005, nella Cappella Sistina, quando disse: “Io sento la sua mano forte, la mano di Giovanni Paolo II che prende la mia mano; vedo i suoi occhi sorridenti; sento la sua voce che dice, soprattutto a me: ‘Non avere paura’”. E’ uno stile umile, che si fa amare.

D. – Benedetto XVI si è definito “pastore mite e fermo”. Come si esprimono questi due aspetti del suo carattere, anche sulla scorta della sua esperienza diretta, di stretto collaboratore del Santo Padre?

R. – La mitezza e la fermezza non si escludono. La fermezza è fedeltà, fedeltà ad una verità, fedeltà ad un patrimonio; la mitezza è lo stile con cui si afferma la fermezza, lo stile con cui si afferma la fedeltà. Benedetto XVI riesce a coniugarli in maniera straordinaria. Si può dire che il suo temperamento lo aiuta in questo, ma anche la grazia che lo ha lavorato in questi anni.

D. – Nonostante i mille impegni del Ministero petrino, Benedetto XVI riesce a trovare il tempo per scrivere e per i suoi 80 anni viene pubblicato il suo “Gesù di Nazaret”. Ecco, il regalo lo fa il Papa a noi…

R. – Certamente. Il Papa, da sempre, è stato un maestro, viene dall’insegnamento. Il Papa capisce che in un’epoca confusa come la nostra insegnare, dare direttive, dare chiarezza è un grande atto di amore. Il mondo cammina e la vita non è altro che un cammino e nel cammino, se non ci sono segnaletiche, se manca la giusta segnaletica, si sbanda. Il Papa questo lo capisce ed ecco allora che anche il libro che scrive non è altro che un atto di amore per darci un’indicazione, una rotta precisa da seguire e con il libro, ci dice, la rotta è Gesù Cristo; la via è Lui. Gesù è la Via, la Verità e la Vita. Non ci sono altre salvezze, non ci sono altre speranze all’infuori di Lui. E questa è la prima cosa che il Papa ci deve ricordare e gliene siamo grati.

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Jurgen Habermas, Paolo Flores d’Arcais, Ernesto Galli della Loggia: sono alcuni tra i più noti intellettuali del mondo laico con i quali si è confrontato l’allora cardinale Joseph Ratzinger. Dibattiti particolarmente fecondi per il confronto tra ragione e fede. Con lo storico Ernesto Galli della Loggia, il futuro Papa ha dialogato sul tema “Storia, politica e religione”. A lui, Alessandro Gisotti ha chiesto un ricordo di quell’incontro, avvenuto nell’ottobre 2004:

R. – Di quell’incontro ricordo con particolare nettezza e anche piacere un momento e poi un particolare. Il momento che ricordo è precedente, in realtà, all’incontro, perché l’allora cardinale Ratzinger volle incontrarmi qualche giorno prima per avere uno scambio di opinioni anche su quello di cui avremmo parlato. E quindi, io andai a trovarlo nel suo ufficio all’ex Sant’Uffizio. Ci fu questo incontro nel suo studio che io ricordo con grande intensità e piacere. Mi fece l’impressione soprattutto di una persona piena di ironia, di ironia anche su se stesso: proprio un vero professore tedesco! Aveva – si capiva – grande piacere di poter, appunto, discutere liberamente e non si negava il piacere di battute sulle varie cose del mondo. Si entrava in un’immediata dimestichezza, si dimenticava completamente chi si avesse davanti. L’altro ricordo è legato proprio all’incontro. Eravamo seduti a questo tavolo, con un pubblico; io, come è naturale, credo, sbirciai il testo su cui lui poggiava gli occhi per poi parlare, i suoi appunti, diciamo così. E mi colpì molto questa piccola grafia minuta, con cui erano scritti, cose evidentemente scritte da lui, senza l’aiuto di alcun segretario ... Ancora una volta, ebbi conferma di questa dimensione profondamente intellettuale. Ci sono piccole cose materiali che forse a volte dicono di più di grandi proposizioni teoriche.

D. – Un uomo che compie 80 anni, custode della Tradizione ma anche straordinariamente moderno ...

R. – Ma sì! Io credo che i Pontefici abbiano questo difficilissimo compito di stare tra la conservazione della tradizione a cui il loro ruolo li impegna, e al tempo stesso mi pare che se c’è una persona che ha la vocazione, l’attrezzatura mentale per dialogare con la cultura moderna, anche naturalmente non adeguandosi immediatamente a quello che la cultura moderna maggioritariamente pensa, questa persona è sicuramente Joseph Ratzinger!

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E tra gli esponenti della cultura laica che dialogano con Benedetto XVI si distingue Marcello Pera, che con l’allora cardinale Joseph Ratzinger ha scritto “Senza Radici”, libro sull’Europa pubblicato un anno prima dell’elezione alla Cattedra di Pietro. All’ex presidente del Senato italiano, Alessandro Gisotti ha chiesto quale sia il tratto intellettuale del Papa che più lo colpisce:

R. – A me colpisce il rigore, il rigore intellettuale, la profondità del suo pensiero, la chiarezza ed anche ciò che si sposa bene con il rigore, il coraggio intellettuale, il non usare parole, linguaggi e concetti che, in realtà, sotto un apparente velo di diplomazia poi confondono coloro cui sono indirizzati. Quindi, rigore e coraggio sono le doti che apprezzo di più.

D. – Lei ha avuto modo molte volte di colloquiare con Joseph Ratzinger, quali impressioni restano di questi incontri?

R. – Intanto, una carica umana notevole. E’ un uomo mite, un uomo che ascolta il suo interlocutore, che lo mette a suo agio, che non ha nessun aspetto di superiorità intellettuale, cioè un uomo che è abituato a trattare con dei concetti profondi ed è anche abituato al colloquio con i suoi ascoltatori. Quindi, la sua disponibilità, la sua mitezza, che è una mitezza di carattere, è anche una dote intellettuale notevole, ciò che naturalmente non nasconde poi la precisione del pensiero.

D. – Benedetto XVI guida con mano sicura la Chiesa. Cosa invece può dare a quanti non hanno sensibilità ecclesiale?

R. – Io mi rifaccio a quello che il Papa ha chiamato “l’appello alle minoranze creative”, il suo tentativo di trovare un terreno comune ai credenti e non credenti. Naturalmente il terreno comune è una forma di ricerca di carattere filosofico, non solo teologico, circa quello che lui considera e chiama l’essenza della natura umana, che poi si trasferisce nella parte positiva sul diritto naturale, sulla ricerca di quali sono i principi, i valori e i diritti fondamentali dell’uomo. Questo è un terreno comune che può essere esplorato. Per il credente si arriva a quella verità su questi principi e valori tramite la rivelazione divina, per il non credente si può arrivare attraverso la riflessione razionale. Quindi, questo suo appello alla ragione, alle minoranze di coloro che volendo usare la ragione sappiano trovare anche un colloquio, io lo considero la parte più nuova e anche più coraggiosa. E’ certamente l’aspetto più coinvolgente da parte di Benedetto XVI nei confronti di coloro che non credono o che, comunque, non sono ancora nella condizione di credere.

Radio Vaticana


Il Gesù di Ratzinger non è quello di Cacciari e Garrone

di Paolo Rodari

Un tomista, uno gnostico e un teologo valdese sono entrati ieri tra le sacre mura vaticane per presentare il primo libro a firma Joseph Ratzinger - “Gesù di Nazaret” (Rizzoli, 446 pagine, 19,50 Euro) - e la Chiesa, almeno una parte dei fedeli e delle gerarchie ecclesiastiche, ha guardato non senza qualche perplessità alla scelta che si dice essere stata principalmente della casa editrice con l’avvallo di qualche esponente della segreteria di Stato vaticana (non ovviamente il cardinale Bertone che ieri non era significativamente presente) e pare anche del presidente della Libreria Editrice Vaticana, monsignor Giuseppe Scotti, di far parlare di un libro del papa all’interno del Vaticano un trio così variegato ed eterogeneo.
Per carità - sono alcune delle voci più critiche che aleggiavano ieri nei sacri palazzi -, è vero che è stato lo stesso pontefice a chiedere di leggere il libro e quindi anche eventualmente di criticarlo non essendo il testo un atto magisteriale quanto «unicamente l’espressione della mia ricerca personale del volto di Cristo», ma vedere che il primo libro del papa (o meglio del cardinale Ratzinger prima che di Benedetto XVI, come lascia supporre la successione dei due nomi in copertina) venga presentato da un filosofo (Massimo Cacciari) che soltanto poche settimane fa ha criticato pesantemente il discorso del papa rivolto alla Commissione degli episcopati dell’Unione europea e da un protestante (il teologo valdese Daniele Garrone) che per ovvie ragioni è da sempre critico con le parole del pontefice (e quindi fedele a se stesso), fa un certo effetto.
Sul tomista, ovviamente, nulla da eccepire nella Santa Sede. Il cardinale boemo arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn (62 anni), infatti, è porporato di sana dottrina, in piena sintonia con la Chiesa e il pontefice.
Domenicano appartenente alla linea tomista, Schönborn è nome di tutto prestigio, ha aiutato Ratzinger nei lavori di stesura del catechismo della Chiesa cattolica (uscito nel 1992) e del suo compendio (uscito nel 2005), e ha garantito al dibattito intorno al libro del papa competenza e proprietà di contenuti.
Per lui il libro cade a fagiolo soprattutto perché è oggi arrivato il tempo che a parlare di Gesù sia innanzitutto chi ne ha competenza.
L’accusa, ovviamente, non è verso i due relatori seduti ieri a mo’ di due angeli custodi (o dei due ladroni in croce, dipende dai punti di vista) uno alla sua sinistra, l’altro alla sua destra, ma è contro quelle «scoperte apparentemente nuove» messe in vendita «senza pausa» «sul pubblico mercato mediatico», scoperte «che dovrebbero rivelare una storia completamente diversa del Gesù di Nazaret».
Mentre invece «dimostrare la credibilità storica dei Vangeli e la loro immagine di Gesù» è lo scopo principale del libro di Benedetto XVI, secondo il quale «le innumerevoli immagini fantasiose di Gesù come un rivoluzionario, un mite riformatore, come l’amante segreto di Maria Maddalena ecc., si possono tranquillamente depositare nell’ossario della storia». Proprio lì, né più né meno.
«In fondo tutto il libro - ha concluso Schönborn - è un unico tentativo sinfonico di comprovare la coerenza della figura di Gesù», attraverso uno «sguardo universale sulla società, sulle sfide intellettuali, sociali, politiche del nostro tempo».
Una coerenza, quella tra Gesù e le sfide del nostro tempo, guardata non allo stesso modo dagli altri due relatori invitati al tavolo della discussione per i quali, in sostanza, la fede cristiana è chiamata oggi a fare un passo indietro rispetto alle sfide contemporanee e ritirarsi o in una credenza di stampo tipico del protestantesimo valdese, una fede senza Chiesa, oppure in una fede (quella di Cacciari) che non vuole dare credito al fatto che il Regno di Dio si possa concretizzare in questo mondo.
Una fede, dunque, che guarda con imbarazzo ogni sua implicazione politica e sociale.
Forse definire gnostico Massimo Cacciari è troppo, ma è soprattutto il suo pensiero sul cristianesimo così tenente a presentare la figura di Gesù quale uomo separato da Cristo e in sostanza identico al Superuomo di Nietzsche, a dare spago a tale visione.
E, inoltre, sono soprattutto le sue ultime dichiarazioni in merito al discorso del papa dello scorso 24 marzo rivolto all’episcopato europeo a far storcere il naso a coloro che hanno ritenuto la sua presenza in Vaticano quantomeno singolare.
Cacciari, poche settimane fa, aveva bollato come reazionarie le parole rivolte da Benedetto XVI a un’Europa condannata all’apostasia da se stessa più che da Dio in quanto incapace di proporre valori assoluti.
Il teologo valdese Garrone è entrato in Vaticano poco meno di mille anni dopo che - era il 1179 - altri due valdesi vi entrarono, cercando di risolvere i problemi del loro movimento con l’ordinario diocesano.
Non ottennero quanto volevano e furono scomunicati nel 1215. «Il mio collega Giovanni Luigi Pascale - ha detto ieri Garrone - fu portato in questa cornice per essere processato e arso».
Non senza un certo imbarazzo (e qualche risata) dei presenti - in prima fila molti cardinali, Giulio Andreotti e Francesco Cossiga, il segretario del papa don Georg Gänswein rimasto soltanto pochi minuti per ragioni di cortesia - il teologo protestante ha poi spiegato come il più grande pericolo per la Chiesa ancora oggi risieda non nel mondo esterno, quanto «nei suoi predicatori».
A tutti e - all’opposto rispetto a Garrone e Cacciari - rispondono le parole contenute nel libro del papa, un testo scritto durante le vacanze estive del 2003, ancora in quelle del 2004 e poi nei ritagli di tempo nel corso di questi due anni di pontificato.
Un libro sulla vita di Gesù dal battesimo nel Giordano fino alla trasfigurazione e che sarà seguito da un secondo relativo alla sua infanzia.
Un testo denso e articolato, non propriamente immediato, e in cui si chiede alla Chiesa - in uno dei capitoli più duri - di imparare dalla caduta del marxismo che concentrandosi sui bisogni materiali ha dimenticato Dio.
«Il pane è importante - ha scritto il papa -, la libertà è più importante, ma la cosa più importante di tutte è la costante fedeltà a Dio e l’adorazione mai tradita».
E poi l’accusa agli aiuti dell’Occidente verso i paesi in via di sviluppo. Sono aiuti «basati su principi meramente tecnico-materiali che non solo hanno lasciato da parte Dio, ma hanno anche allontanato gli uomini da Lui con l'orgoglio della loro saccenteria hanno fatto del Terzo mondo il Terzo mondo in senso moderno».
All’uomo, scrive il papa, viene incontro Gesù, quello dei Vangeli che è “il Gesù reale”, il “Gesù storico” in senso vero e proprio: «Io ritengo - ha scritto - che proprio questo Gesù, quello dei Vangeli, sia una figura storicamente sensata e convincente».

Il Riformista, 14 aprile 2007


VATICANO

Il “Gesù di Nazaret” di Ratzinger-Benedetto XVI

di Franco Pisano

“Frutto di un lungo cammino interiore” il libro del Papa, “non magisteriale” vuole proporre il Gesù “storico”, a partire dai Vangeli, superando le letture che ne hanno fatto un rivoluzionario o un mistico. E’ la prima parte di un’opera che si occuperà di tutta la vita terrena di Cristo, e vuole “favorire nel lettore la crescita di un vivo rapporto con Lui”.

Città del Vaticano (AsiaNews) - Il cristianesimo non è una teoria, ma l’incontro con una Persona. Questo principio, tante volte enunciato da Benedetto XVI, è in fondo all’origine del “Gesù di Nazaret”, il libro nel quale egli cerca di raccontare, scrive, “la mia ricerca personale del ‘volto del Signore’”, con il proposito di “favorire nel lettore la crescita di un vivo rapporto con Lui”.

Presentato oggi in Vaticano e da lunedì 16 aprile – giorno dell’ottantesimo compleanno di Joseph Ratzinger – in 22 edizioni linguistiche in tutto il mondo, il volume – di 448 pagine, edito da Rizzoli al costo di 19,50 euro – è “frutto di un lungo cammino interiore” del quale rappresenta la prima parte, “i primi dieci capitoli che vanno dal battesimo nel Giordano alla confessione di Pietro ed alla trasfigurazione”, mentre la futura seconda parte si occuperà dell’infanzia di Gesù. L’opera, “non è in alcun modo un atto magisteriale”, per cui “ognuno è libero di contraddirmi”.

L’oggetto dell’indagine del papa-teologo è, dunque, Gesù. Ma, si chiede, quale Gesù? Dagli anni ’50, rileva l’autore, “i progressi della ricerca storico-critica condussero a distinzioni sempre più sottili tra i diversi strati della tradizione”, offuscando l’immagine sulla quale poggia la fede: si è andati dal “rivoluzionario antiromano” al “mite moralista”. Sono, commenta il teologo Ratzinger, “molto più fotografie degli autori e dei loro ideali che non la messa a nudo di una icona fattasi sbiadita”.

Ma proprio i “fatti storici” della vita di Gesù e la imprevedibile diffusione che solo a pochi anni dalla sua vicenda terrena aveva il cristianesimo indicano l’assoluta straordinarietà della sua figura. Che non si può capire se non a partire dal dato “veramente storico: l’essere relativo a Dio di Gesù e la sua unione con Lui”. “Questo è anche il punto di appoggio su cui si basa questo mio libro: considera Gesù a partire dalla sua comunione con il Padre. Questo è il vero centro della sua personalità. Senza questa comunione non si può capire niente e partendo da essa Egli si fa presente a noi anche oggi”.

Il Gesù dei Vangeli è quello “storico”

E poiché si parla di una persona, il metodo storico è irrinunciabile: la fede “si fonda sulla storia che è accaduta sulla superficie di questa terra”. Altrimenti “la fede cristiana viene eliminata e trasformata in un’altra religione”.

Il Gesù del libro è dunque il Gesù dei Vangeli: “’Gesù storico’ in senso vero e proprio. Io – scrive Benedetto XVI - sono convinto, e spero che se ne possa rendere conto anche il lettore, che questa figura è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni” offerte negli ultimi decenni.

Questo Gesù è quindi anche “l’ultimo profeta” preannunciato dall’Antico Testamento e precisamente il “nuovo Mosè”, che porterà la “vera liberazione” del suo popolo. Ma, più di Mosè che “come un amico”, aveva “parlato faccia a faccia” con Dio, ma non aveva avuto la facoltà di vederlo, Gesù “vive al cospetto di Dio, non solo come amico, ma come Figlio; vive in profonda unità con il Padre”. E’ da qui che viene la risposta alla domanda “dove Gesù abbia attinto la sua dottrina, dove sia la chiave per la spiegazione del suo comportamento”. Se ne avrà evidente conferma con le beatitudini. Del “discorso della montagna”, Benedetto XVI evidenzia numerosi particolari. A partire dalla “montagna”, che non viene geograficamente indicata dai Vangeli, “ma per il fatto che è il luogo del discorso di Gesù, è semplicemente ‘la montagna’, il nuovo Sinai” ed arrivando alla folla raccoltasi, che è di Galilea, “una striscia di terra che era considerata per metà pagana” , ed “è in realtà la prova della sua missione divina”, rivolta quindi a tutte le genti. Così, soprattutto per il discorso, “la nuova Torah, portata da Gesù”, che “riprende i comandamenti della Seconda tavola e li approfondisce, non li abolisce”. A ben guardare, poi, nei “paradossi” presentati da Gesù nelle beatitudini – beati i poveri, i piangenti, odiati e perseguitati – si esprime “ciò che significa discepolato”. Il significato delle Beatitudini “non può essere spiegato solo in modo teorico: viene proclamato nella vita, nella sofferenza e nella misteriosa gioia del discepolo che si è donato interamente al seguito del Signore”.

Ma, ricorda il Papa, l’attività pubblica di Gesù – alla quale è dedicato questo volume – ha inizio col suo battesimo. Numerose, anche in questo iniziale capitolo, le sottolineature. A partire dalla possibilità - evocata da Benedetto XVI anche nel corso dell’ultima messa “in coena Domini” – che “Giovanni il Battista e forse anche Gesù e la sua famiglia” fossero “vicini” alla comunità degli esseni, fino al fatto che, nel suo battesimo da parte del Battista, c’è “l’accettazione della piena volontà divina”, il prendere il posto dei peccatori, l’anticipazione della morte sulla croce.

Le sfide di Gesù per l’oggi

“Gesù di Nazaret”, però, non è solo una profonda meditazione sulla figura e la vicenda del fondatore del cristianesimo, è anche una riflessione pastorale e quindi uno sguardo sull’oggi. Si va dall’accenno alla “terra purtroppo così tormentata” quando parla della Palestina, alla critica all’”egoismo” dell’uomo di Nietzsche, a quella – radicale - ai mali provocati dal “prescindere da Dio” da parte della società contemporanea. Così, quando ricorda le “tentazioni” di Gesù, a proposito della prima, “trasforma le pietre in pane”, chiede: “il problema dell’alimentazione del mondo – e, più in generale, i problemi sociali – non sono forse il primo e autentico criterio al quale deve essere commisurata la redenzione?”. “Il marxismo ha fatto proprio di questo ideale – in modo comprensibilissimo – il cuore della sua promessa di salvezza: avrebbe fatto sì che ogni fame fosse placata”. E’ la sfida che anche oggi si pone alla Chiesa: “preoccupati anzitutto del pane del mondo”. Il racconto evangelico mostra che “Gesù non è indifferente di fronte alla fame degli uomini e ai loro bisogni, ma li colloca nel loro giusto contesto e dà loro il giusto ordine”. Che è quanto non si fa oggi. Neppure quando si vuole aiutare. “Gli aiuti dell’Occidente ai Paesi in via di sviluppo, basati su principi puramente tecnico-materiali, che non solo hanno lasciato da parte Dio, ma hanno anche allontanato gli uomini da Lui con l’orgoglio della loro saccenteria, hanno fatto del Terzo Mondo il Terzo Mondo in senso moderno. Tali aiuti hanno messo da parte le strutture religiose, morali e sociali esistenti e introdotto la loro mentalità tecnicistica nel vuoto. Credevano di poter trasformare le pietre in pane, ma hanno dato pietre al posto del pane. E’ in gioco il primato di Dio. Si tratta di riconoscerlo come realtà, una realtà senza la quale nient’altro può essere buono. Non si può governare la storia con mere strutture materiali, prescindendo da Dio. Se il cuore dell’uomo non è buono, allora nessun’altra cosa può diventare buona. E la bontà di cuore può venire solo da Colui che è Egli stesso la Bontà, il Bene”.

Asianews

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