4 aprile 2007
Rassegna stampa del 4 aprile 2007
Oggi i quotidiani si occupano molto della CEI e dei DICO, ma a me (e penso anche a voi) interessa di piu' l'attivita' del Papa. In particolare, oggi, "Il Corriere della sera" presenta in anteprima mondiale uno stralcio del libro di Benedetto XVI su Gesu'. Piu' tardi ne parleremo diffusamente...
Intanto leggiamo alcuni articoli.
Raffaella
“Il testamento biologico prepara l’eutanasia”
«Non ci tocca dare indicazioni legislative ma possiamo giudicare le proposte»
MARCO TOSATTI
CITTÀ DEL VATICANO
«Non c’è bisogno di una legge organica»: il segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Betori, torna a ribadire il «no» della Chiesa a formule legislative che creino un qualche cosa di simile al matrimonio. Ieri ha illustrato i lavori del Consiglio permanente dei vescovi, quello da cui è uscita la «Nota» sui «Dico» (tutti hanno votato a favore, salvo un astenuto) e boccia anche il Ddl Biondi, in esame alla commissione Giustizia al Senato. «Non spetta a noi dare indicazioni legislative ma possiamo giudicare le proposte che danno una soggettualità alle coppie o alle unioni di fatto e che mettono in pericolo l’unicità della famiglia fondata sul matrimonio. Queste proposte vanno rigettate per salvaguardare l’unicità della famiglia». E ha aggiunto: «Noi riteniamo che non serva una legge per riconoscere i diritti delle persone, ma bastano forme di autonomia privata». Il segretario generale della Cei ha poi ricordato che per i politici la «Nota» è «impegnativa; tale è e tale rimane».
Ma i vescovi non saranno in piazza, il 12 maggio, a Roma (il Papa sarà in Brasile, in quei giorni) per il «Family Day». Proprio nel giorno in cui parte l’autofinanziamento delle organizzazioni cattoliche per la manifestazione a San Giovanni, Betori ha annunciato che dalla Cei sono state date «indicazioni ai presidenti delle Conferenze episcopali regionali affinché facciano capire ai confratelli che la loro presenza renderebbe meno evidente l’espressione laicale». E le parrocchie? E’ un altro discorso, ha spiegato monsignor Betori: la manifestazione ha l’espresso sostegno dei vescovi italiani; il Family Day «dipende dai laici, e visto che la parrocchia non è una struttura di proprietà del clero, se i laici si appoggeranno alle parrocchie per organizzare la manifestazione non si potrà impedire al parroco di partecipare con i fedeli».
Il Consiglio permanente non ha trattato del testamento biologico, e dei problemi connessi, ma il Segretario della Cei risponde a una domanda precisa, ricordando che la Chiesa riserva grande attenzione sui temi etici, su quei «fondamenti antropologici» che devono far da bussola alla società. La preoccupazione è che una legge sul testamento biologico possa aprire la «deriva» all’eutanasia. «Non ne abbiamo parlato in questo Consiglio permanente - ha detto - ma in precedenti incontri avevamo espresso preoccupazione sulla eventuale “deriva eutanasica di fatto”, che già si è verificata in altri paesi». Il timore della Cei ha un volto ben definito: è «la non distinzione tra pratiche mediche e eutanasiche e cure del paziente». Se si considerano, ha spiegato Betori l’alimentazione o la respirazione come «cura» della persona malata, e quindi soggette a essere interrotte su richiesta, «si apre la strada all’eutanasia». Il segretario della Cei ha poi osservato che c’è anche «il problema molto complesso del rapporto medico-paziente e della autonomia del medico»: «la volontà del paziente non può imporsi sul medico, e restano interrogativi sull’intraprendere questa strada».
Su questo tema la Chiesa italiana non esprime una posizione propria, ma segue la via tracciata a livello mondiale dalla Santa Sede, espressa dal «ministro della Salute» vaticano, il cardinale José Lozano Barragan, e dal presidente di «Giustizia e Pace», il cardinale Raffaele Renato Martino. E’ un tema che di giorno in giorno si arricchisce di nuovi capitoli; in queste ore la Colombia discute se approvare una legge a favore dell’eutanasia. Infine Betori ha difeso il presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco; «non voleva mettere sullo stesso piano le unioni di fatto con incesto e pedofilia», ma semplicemente mostrare come «senza un fondamento antropologico forte si cede alle “brame delle persone” e il consenso nasce da aspettative e convergenze di desideri». Così può diventare «facile il passaggio tra comportamenti per ora illeciti, che possono diventare leciti». Betori ha giustificato i mass media: «i giornalisti devono operare una sintesi, e poi fare un titolo», ma ha aggiunto che «chi esprime un parere su un discorso dovrebbe almeno leggere il testo in questione e non commentare solamente sulla base di un titolo».
La Stampa, 4 aprile 2007
Niente solidarietà da sinistra genovese
Dopo la scritta sul portale della cattedrale «Bagnasco vergogna», l’arcivescovo di Genova è «sotto tutela»: oltre a un poliziotto nell’atrio della Curia, ogni volta che si muoverà avrà agenti Digos sempre accanto a lui anche in auto.
Ma non tutti condividono i timori sull’incolumità del presidente della Cei. In Regione Verdi e Comunisti italiani hanno lasciato l’aula al momento del voto di un ordine del giorno di solidarietà. Analogo ordine del giorno non è passato in consiglio comunale per il rifiuto di firmarlo di Rifondazione e Pdci.
La Stampa, 4 aprile 2007
“Ma far soffrire non è cristiano”
Professor Ignazio Marino, lei è cattolico, scienziato di fama mondiale, presiede la commissione Sanità del Senato e ha presentato un disegno di legge sul testamento biologico. A tre mesi dal caso Welby, condivide le rinnovate preoccupazioni della Cei per una successiva apertura all’eutanasia?
«Non credo davvero che il messaggio cristiano possa portare a sostenere che bisogna prolungare la sofferenza di una persona con macchine e cure artificiali straordinarie e sproporzionate. Anzi l’accanimento terapeutico è l’opposto della dottrina cattolica proprio perché il messaggio cristiano è essenzialmente d’amore. Posso rassicurare tutti: la direzione presa dai lavori in commissione Sanità è tutt’altro che una deriva verso l’eutanasia. Negli ultimi sei mesi abbiamo fatto un percorso molto serio e rigoroso. Abbiamo ascoltato moltissime voci: medici, giuristi, teologi, associazioni di pazienti, esperti di bioetica. Insomma abbiamo cercato di escludere che si apra anche in maniera surrettizia all’eutanasia e al suicidio assistito».
Eppure nell’opposizione molti rilanciano l’allarme del segretario generale dei vescovi Betori per il testamento biologico «anticamera» dell’eutanasia...
«Sul tavolo c’è l’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi. Invece di affrettarsi a fare dichiarazioni certi esponenti del centrodestra dovrebbero incontrare qualche teologo oppure fare un’approfondita discussione teologica sul senso della vita e magari leggersi anche il catechismo firmato da Joseph Ratzinger su incarico di Giovanni Paolo II. La Chiesa è molto attenta a questi temi, ma noi non intendiamo scalfire per legge la difesa della vita. In realtà, evitando l’accanimento terapeutico non si vuole procurare la morte, bensì si accetta di non poterla impedire. La questione sulle cure è proprio che le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente».
Basta questo, secondo lei, a rassicurare i vescovi?
«Su questi temi eticamente così delicati ho dialogato con il cardinale Carlo Maria Martini. Non ho mai affrontato tali questioni con monsignor Betori e spero che ne avrò l’occasione perché a me interessa davvero approfondire. Sia chiaro. Faremo una legge che preciserà, senza possibilità di equivoco, ciò che è già nella giurisprudenza, ribadendo come reati l’eutanasia e il suicidio assistito. E introducendo il testamento biologico. Ognuno deve avere il diritto di scegliere, non sarà una legge per staccare la spina. E alla voce della Chiesa prestiamo già la giusta attenzione. La settimana scorsa qui in Senato abbiamo affrontato il tema delle terapie di fine vita insieme al cardinale Barragan, ministro vaticano della Sanità. La riflessione sugli aspetti etici è tutt’altro che trascurata. Oltreché alle indicazioni di Martini e Barragan, abbiamo accolto le segnalazioni di merito della facoltà teologica di Bressanone».
Con quali esiti?
«Nella nostra discussione in commissione Sanità è centrale l’attenzione ai temi della vita. E’ evidente a tutti che non si possa deliberatamente porre fine in nessuna circostanza alla vita di un uomo, però non si può neppure mantenere una sofferenza inutile. Del resto, il messaggio cristiano è incentrato intrinsecamente sulla dignità dell’uomo. Non vorrei, quindi, che si facesse confusione con i Dico e le battaglie sulla regolarizzazione delle coppie di fatto. Non si mettono insieme mele e arance. Il testamento biologico è tutt’altro. Qui non si parla di interrompere la vita di una persona, ma di interrompere delle terapie che prolungano le sofferenze nella vita delle persone. Qui non è semantica, è vita reale».
La Stampa, 4 aprile 2007
Non scomodiamo sempre il cardinale Martini. Nel dialogo con il Prof. Marino ha ribadito la dottrina cattolica, ma, siccome Martini dixit, si e' passata l'intervista come una enorme apertura alla modernita'.
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RELIGIONE E POLITICA
Family day, in piazza anche i parroci
Via libera della Cei. No dei vescovi al testamento biologico
Monsignor Betori: votata all´unanimità la Nota sui Dico rivolta ai politici
Alcuni presuli avrebbero voluto evitare i richiami diretti ai testi di Ratzinger
Un comitato di "laici" al raduno del 12 maggio: tra i firmatari ebrei e islamici
Con Magna Carta anche esponenti di associazioni musulmane
MARCO POLITI
ROMA - La Cei benedice il Family Day, ma il presidente Bagnasco ha dato istruzioni perché nessun vescovo vada alla manifestazione. Liberi i parroci di seguire il loro gregge, però la gerarchia vuole che la dimostrazione resti nell´ambito delle associazioni laicali. «I vescovi italiani esprimono sostegno al Family Day, sono contenti di questa espressione del laicato cattolico ma non parteciperanno personalmente alla manifestazione», spiega il segretario generale mons. Betori illustrando i lavori del Consiglio permanente. Se poi i laici cattolici «si appoggeranno alle parrocchie per l´organizzazione, non si potrà impedire al parroco di partecipare con i fedeli». Niente di più.
Intanto si profilano all´orizzonte altri scontri. Sul testamento biologico Betori denuncia «derive eutanasiche». Pericolosa, secondo il prelato, sarebbe la non distinzione tra trattamento medico e «cure» come l´alimentazione o l´idratazione o la respirazione. Considerare queste ultime trattamento può «aprire la strada all´eutanasia». Inoltre, per la Cei, la volontà del paziente non dovrebbe superare quella del medico. Betori è stato netto: «La volontà del paziente non si può imporre al medico, pena il venir meno della sua stessa funzione. Eventuali disegni di legge dovrebbero essere chiusi a questa direzione, per evitare scivolamenti di carattere eutanasico».
In queste ore la Cei vorrebbe mantenere un profilo più basso. Il comunicato finale del Consiglio permanente presenta la Nota sui Dico come uno strumento per «illuminare le coscienze» e non ripropone la questione del voto vincolato dalla fede.
Al tempo stesso il prelato ha mostrato contrarietà nei confronti della proposta Biondi sulle unioni civili: cioè la registrazione di un accordo presso il notaio. La Cei si oppone ad ogni riconoscimento della «soggettualità» della coppia di fatto o per via pubblica o per via privata. Betori ha detto apertamente che sulle coppie di fatto «non c´è bisogno di un testo organico».
E questo ricorda la riproposizione di un vecchio diktat.
Sul piano interno si nota la volontà del presidente Bagnasco di aprire la Cei a un maggiore dibattito interno. Il comunicato esalta la collegialità. Si è votato sulla bozza della Nota, sugli emendamenti, sul testo finale. Sei vescovi, tra cui il cardinale Poletto, Anfossi di Aosta e Ghidelli di Lanciano, avrebbero tentato di togliere dal documento le frasi più dure prese dai documenti (ratzingeriani) della Congregazione della Dottrina della fede. E uno - sembra abruzzese - si è alla fine astenuto.
Adesso tutta l´attenzione è puntata sulla manifestazione del 12 maggio. Alle associazioni cattoliche si aggiunge ufficialmente il «Comitato per la difesa laica della famiglia», sorto per inziativa del presidente di Magna Carta e senatore di Forza Italia Gaetano Quagliariello. Il manifesto dell´iniziativa (che riflette le posizioni "teocon" di quanti, pur non credenti, si schierano con la Chiesa considerata depositaria dei valori identitari dell´Occidente) verrà lanciato oggi. Lo firmano una quarantina di intellettuali e docenti anche di estrazione ebraica e musulmana.
Il documento respinge i Dico ed esalta la «famiglia della tradizione occidentale, prima cellula di organizzazione sociale, la cui nascita ha preceduto, e di gran lunga, lo Stato moderno». La storia della famiglia, continua il documento, è oggi indebolita da altre culture, che non tutelano la donna (vedi poligamia), e da ideologie relativiste che «destrutturano il quadro sociale» e le nostre conquiste di libertà e civilità. «La sopravvivenza della famiglia - affermano i firmatari - non può riguardare solo i cattolici. Noi, credenti e non credenti, riteniamo necessario mobilitarci insieme nella difesa della famiglia».
Tra i firmatari, l´economista Sergio Ricossa, l´ex senatore liberale Luigi Compagna, il filosofo Raimondo Cubeddu, il matematico Giorgio Israel. Nutrita la rappresentanza islamica: Souad Sbai, presidente Comunità donne marocchine, Douania Ettaib, presidente Donne immigrate in Lombardia, Ahmed Habouss, presidente comitato scientifico Cmi.
Repubblica, 4 aprile 2007
Politi...Politi...Politi...vedo che cede sempre alla tentazione di presentare Papa Benenedetto come "il cattivo". Lo ha fatto anche l'altra sera a "Porta a Porta" contrapponento il Pontefice regnante a quello precedente (buono, bravo, perfetto), dimenticando che quei documenti ratzingeriani, che Lei, Politi, contesta, furono scritti da Ratzinger ma approvati da Wojtyla.
Questo gioco dei "due pesi e due misute" mi sta, francamente, stancando.
Raffaella
Ignazio Marino, presidente della commissione Sanità: nel testo i concetti del Catechismo
"La legge non apre all´eutanasia interrompere il dolore è un diritto"
MARIA NOVELLA DE LUCA
ROMA - «Accolgo la preoccupazione dei vescovi, ma non vedo la contrapposizione con il nostro lavoro. Basta leggere cosa dice a proposito dell´accanimento terapeutico il Catechismo redatto proprio da Joseph Ratzinger, durante il pontificato di Giovanni Paolo II quando era prefetto per la Congregazione della dottrina della fede. Lì sono contenuti molti dei concetti presenti anche nel testo che stiamo elaborando sul testamento biologico». Usa parola rassicuranti Ignazio Marino, presidente della Commissione Sanità di Palazzo Madama, rifugge dalla logica della "guerra di religione", precisa invece che "nessuna forza politica al Senato ha intenzione di inserire nella legge concetti come eutanasia o suicidio assistito».
Professor Marino, come risponde all´altolà lanciato dalla Cei?
«Rispondo semplicemente che il testo a cui stiamo lavorando, attraverso l´esame di ben 8 proposte di legge e attraverso l´audizione di decine di esperti, molti dei quali cattolici, non contempla in alcun modo, né esplicito né nascosto, un´apertura verso pratiche di eutanasia. Auspico anzi che il testo risulti così chiaro da fugare ogni dubbio».
Lei ritiene che questa presa di posizione possa rallentare il lavoro della Commissione?
«No assolutamente. Per due motivi. Il primo perché sono i cittadini a chiedere uno strumento con il quale esprimere le proprie volontà, nel giorno in cui si trovassero a dover scegliere se accettare o rifiutare un certo tipo di cure. Il secondo motivo è che non vedo contrapposizioni».
In che senso?
«Nel convegno sul testamento biologico che si è appena concluso, il cardinale Barragan ha enunciato una serie di punti irrinunciabili per la Chiesa, che la commissione hai inserito nel proprio dibattito. Nello stesso tempo credo che sia nostro dovere assicurare ai pazienti assistenza in ogni fase della vita, e soprattutto l´ultima».
Potenziando cioè la medicina palliativa, gli hospice?
«Questo prima di tutto. In Italia oggi noi abbiamo una situazione di grave ritardo. Il nostro paese è davvero spaccato in due: abbiamo oltre cento hospice al Nord, e soltanto 10 al Sud. All´interno di questo contesto di cura e assistenza si inserisce il testamento biologico».
Come diritto del paziente di rifiutare le cure estreme?
«Sì. Io credo che quando una persona resta in vita soltanto grazie alla tecnologia, e questa tecnologia altro non è che un prolungamento delle sue sofferenze, perché in nessun modo ci potrà essere un recupero della propria integrità fisica, ritengo che abbia il diritto di dire di no alle terapie. Così come ritengo fondamentale che nel testamento biologico si possa indicare invece la scelta ad essere tenuti in vita ogni modo possibile, e che questa volontà venga rispettata al cento per cento».
Repubblica, 4 aprile 2007
NOTA: non e' ancora possibile riportare gli articoli de "Il Corriere della sera" perche', al momento, c'e' un problema sul server del sito del quotidiano.
Speciale di "Famiglia Cristiana" sulla nota della CEI
LA NOTA DEI VESCOVI SULLA FAMIGLIA E LE LEGGI SULLE UNIONI DI FATTO
UN INVITO AL DIALOGO E ALLA RIFLESSIONE
La Nota del Consiglio permanente della Cei (che pubblichiamo a pagina 31) era attesa da tempo, ma ugualmente è scoppiata con fragore. Si sono lette interpretazioni estremistiche, che nulla hanno a che vedere con quanto i vescovi hanno scritto, si è fatto finta di non capire che essa è un invito al dialogo e alla riflessione.
E, quando si rivolge ai parlamentari, la Nota intende offrire un contributo per scelte motivate che siano conformi al bene della persona e della società. È un richiamo alla coerenza cristiana e non prevede alcuna sanzione. I commenti oltranzisti vanno respinti, da qualunque parte essi vengano, compresi quelli di chi vorrebbe rifiutare la Comunione ai politici cattolici che voteranno a favore di un eventuale provvedimento legislativo sulle coppie di fatto. Al riguardo, il presidente della Cei è stato chiaro: «Negare la Comunione? Mi pare che nella Nota non se ne parli».
La Nota, invece, cerca di far incontrare verità e libertà, di stimolare le coscienze, non solo dei credenti, e di rendere ragionevole anche la conoscenza delle cose, che deriva dalla fede. Fa leva sull’intelligenza comune, sul buonsenso e su una corretta visione antropologica dell’uomo. I vescovi spiegano che non hanno "interessi politici" da difendere e che l’unico criterio che li ha guidati è il bene comune. Che, nel caso della famiglia, è un insieme di affetti, di sicurezza e di fiducia nella vita, che solo una coppia formata da un uomo e una donna può dare, secondo quanto è riconosciuto nella Costituzione italiana. Non entrano nel merito dei disegni di legge del Parlamento, ma avvisano che quel «cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto» sarebbe «incoerente, poiché la famiglia è fondata sul matrimonio tra uomo e donna». Apre una discussione la Nota, più che chiuderla, avvia un confronto e lo fa con toni sereni, lievi e pacati.
E affronta anche il tema delle persone che decidono di convivere. Insomma, i vescovi non si nascondono dietro un dito e rilevano che bisogna stabilire tutele e garanzie. Ma ritengono che sia meglio perseguire l’obiettivo nell’ambito dei "diritti individuali", senza ipotizzare "una nuova figura giuridica", che sarebbe alternativa al matrimonio e che provocherebbe «più guasti di quelli che vorrebbe sanare».
Sulle unioni omosessuali è più tassativa. Ricorda infatti un documento della Congregazione per la dottrina della fede, firmato da Ratzinger nel 2003, il quale dice che «il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge». Ma pone anche una questione di carattere generale sulla quale la riflessione stenta a farsi strada nel nostro Paese, e che si può porre con questa domanda: per definire ciò che è bene e ciò che è male è ammesso il solo criterio della maggioranza e il solo criterio del pluralismo, inteso come accettazione di ogni libertà individuale? E poi: si può in nome del pluralismo attenuare la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune?
Il presidente della Cei monsignor Angelo Bagnasco ha posto tale questione a Genova parlando con gli animatori della cultura della sua diocesi. Non ha detto che, dopo i Dico, si legalizzarà incesto e pedofilia. Ha solo osservato che se il criterio per giudicare il bene e il male è la libertà di ciascuno, se sparisce ogni valutazione sul piano etico e morale e l’unico criterio è quello della giustificazione dei consenzienti, sarà difficile «porre dei paletti in ordine al bene».
Nella Nota la Chiesa non guarda con sospetto le procedure democratiche, né il pluralismo, e neppure considera sé stessa orgogliosamente come una minoranza. Pone un punto di vista, che oggi si tende a trascurare: il bene oggettivo dell’uomo.
Auguri di Buona Pasqua
Famiglia Cristiana,n. 14
FAMIGLIA
RENATO BALDUZZI, CONSULENTE GIURIDICO DEL MINISTRO BINDI
UN TESTO IMPORTANTE ANCHE PER CHI NON CREDE
La Nota della Cei «è un forte contributo al bene comune, che ci aiuta a definire quello che è bene per l'uomo».
«La Nota della Cei? Definisce un test di compatibilità etica». Il professor Renato Balduzzi è docente di Diritto costituzionale all’Università del Piemonte orientale, presidente del Meic, gli intellettuali cattolici, e consulente giuridico del ministro Rosy Bindi.
Che cos’è la Nota, professore?
«È un contributo al bene comune e interessante non solo per i cattolici».
E un test di compatibilità etica?
«Quello che ci aiuta a definire ciò che è bene per l’uomo».
C’è chi ha detto che chi è a favore delle unioni è fuori dalla Chiesa...
«Così si vuole far dire al documento quello che non dice. La Nota sottolinea che il giudizio va affidato alla coscienza rettamente formata. Non è un elenco di no. Piuttosto, serve ad aiutare a dire dei sì, compatibili con il bene comune, altrimenti non si capirebbe la parte dove si dice che in via di principio non si è contrari a garanzie e tutele giuridiche per le persone che convivono».
Tuttavia dichiara inaccettabile e pericoloso il disegno di legge sui Dico...
«La Nota dice che la legalizzazione delle unioni di fatto è inaccettabile sul piano dei princìpi e pericolosa su quello sociale ed educativo. Qui si apre una discussione anche tecnica, oltre che culturale. La Nota parla di disegni di legge al plurale. I disegni di legge sono molti. Alcuni prevedono la legalizzazione delle unioni di fatto, altri no».
Il disegno di legge governativo non è nelle preoccupazioni dei vescovi?
«Il testo del Governo si riferisce alle persone stabilmente conviventi, anche se non coinvolte in unioni di fatto».
Quindi non si deve parlare di ingerenza della Chiesa?
«La Nota dei vescovi, così come è formulata, non mi pare possa essere definita un’ingerenza, qualcosa di indebito. È quello che ragionevolmente i vescovi hanno titolo di proporre alla comunità cristiana, oltre che a tutti gli uomini e le donne di buona volontà che intendono comportarsi secondo il "test etico" che richiamavo prima».
Però sulle unioni omosessuali è tassativa...
«Sì, è vero. C’è un richiamo forte a un documento della Congregazione per la dottrina della fede che vale per tutto il mondo ed è molto critico verso quegli ordinamenti statali che permettono il matrimonio tra gay e la formula più blanda delle unioni omosessuali».
È il caso italiano?
«No. E dire che l’indicazione della Nota copre tutti i casi, anche quelli dove non vi è un riconoscimento diretto alleunioni omosessuali, ma soltanto si riconoscono diritti e doveri delle persone, non è automatico. Su questo punto, nei progetti di legge ci sono molte differenze. In qualche caso c’è un riconoscimento diretto, in altri no».
E nel caso che questo riconoscimento sia indiretto?
«Allora il test di compatibilità etica deve fare i conti con il test di compatibilità costituzionale. Nella legislazione italiana non è sicuramente possibile, secondo me e secondo molti costituzionalisti, mettere il matrimonio sullo stesso piano di forme di unione di fatto tra omosessuali. Quando il legislatore collega diritti e doveri a una convivenza, intesa come coabitazione stabile, sarebbe probabilmente irragionevole considerare il sesso dei conviventi elemento discriminatorio. Salvo per quei diritti e quelle facoltà che fanno riferimento direttamente alla procreazione, all’adozione e all’educazione dei figli, che si intendono esclusi».
Alberto Bobbio
Famiglia Cristiana,n. 14
FAMIGLIA
RAPPORTI TRA STATO E CHIESA: IL PARERE DI CARLO CARDIA
LA LAICITÀ È UNA SCUSA
«Con i Dico si equiparano le unioni omosessuali a quelle eterosessuali». Questo è il vero problema, «e il legislatore non può trincerarsi dietro le accuse di ingerenza».
È professore di diritto ecclesiastico e di filosofia del diritto all’Università di Roma Tre. È il massimo esperto di Concordato in Italia, avendo partecipato a tutte le trattative per la revisione con la Santa Sede, contribuendo a risolvere molte questioni controverse tra lo Stato e la Chiesa.
Il professor Carlo Cardia di laicità, compromessi e lacerazioni, intransigenza e conflitti tra religione e diritto, tra Chiese e Parlamenti se ne intende. Ha scritto un libro appena pubblicato dalla San Paolo, Le sfide della laicità. E dopo la Nota della Cei è uno dei pochi che può far chiarezza.
Professore, si tratta di ingerenza o no?
«In Italia si vive il problema dell’ingerenza in modo strano. Negli altri Paesi le confessioni religiose agiscono secondo i loro criteri. È una tradizione e nessuno si sogna di definire ingerenza interventi pesanti anche nella sfera politica, come accade per esempio negli Stati Uniti. Da noi, la cultura e soprattutto la politica hanno con il Vaticano e la Chiesa un rapporto oscillante. Si esulta con il Vaticano e la gerarchia quando l’opinione coincide con la propria. Si invoca la laicità dello Stato, invece, ogni volta che la Chiesa si esprime su temi come la famiglia e la vita. E a farne le spese è proprio la laicità, evocata solo quando fa comodo».
C’è sempre chi tira in ballo il Concordato e lo vorrebbe abolire. Ma cosa dice esattamente il Concordato?
«I politici italiani non conoscono il Concordato. Che non dice assolutamente nulla sull’argomento: non c’è alcuna disposizione del Concordato che limiti la potestà di magi-stero della Chiesa».
Ma lo Stato finanzia la Chiesa con l’8 per mille e per questo motivo i critici invocano il silenzio...
«Un’altra stupidaggine. Le Chiese sono finanziate in quasi tutto il mondo, anche negli Stati Uniti, con sgravi fiscali che noi ci sogniamo. I Concordati e gli accordi con le Chiese in Europa si contano a decine. Ma da noi si denuncia l’anomalia italiana. Con il Concordato e le Intese nessuno ha comprato la libertà dei culti. Anzi, gli accordi creano stabilità, impediscono il risorgere di corporativismi confessionali e revanscismi laicisti. C’è, invece, qualcuno che ogni tanto spera di vivere l’epopea del passato, il grande scontro della tradizione anticlericale ottocentesca. È un fenomeno che si ripropone, inevitabile, ma non credo che rechi danni gravi».
Perché in Italia si è così suscettibili?
«Lo Stato si trova da un po’ di tempo a fare i conti con leggi eticamente sensibili. Ma la laicità dello Stato non si può invocare per giustificare la neutralità etica. Accade perché non si vuole entrare nel merito della discussione. Sulla famiglia si può essere in perfetta sintonia con la Chiesa senza essere cattolici. E alcune forze laiche ritengono che questa sia una debolezza e allora si appellano alla laicità come a uno schermo».
È paura di che cosa?
«Di andare al cuore del problema, in questo caso, della parificazione giuridica delle relazioni omosessuali con quelle eterosessuali. Questo è il punto, il resto è contorno irrilevante. Ma il legislatore non lo vuole dire e allora invoca la laicità, cioè ritiene che bisogna astenersi. Se applicassimo questo ragionamento in modo coerente all’eutanasia arriveremmo alla giustificazione del suicidio assistito, perché le scelte etiche devono restare nelle mani degli individui. La neutralità etica del diritto porterà a sconvolgimenti enormi nella società».
Ma, allora, in questa situazione, il legislatore che deve fare?
«Affrontare la discussione nel merito. Ognuno esprime il suo parere, secondo la sua cultura umanistica e religiosa, mettendo da parte la laicità, che porta a non dare risposte. Alla domanda se è giusto che una persona possa porre fine alla propria vita, bisogna dare risposte e non dire che la laicità prevede che ognuno faccia quello che vuole. Il legislatore non può creare l’illusione che il diritto non si deve occupare di questioni eticamente sensibili. Anzi, deve sentire sulla propria coscienza quella responsabilità. In questo caso, deve dire perché fa una legge che parifica l’omosessualità all’eterosessualità».
Alberto Bobbio
Famiglia Cristiana,n. 14
Il Direttore risponde ad un lettore:
A QUALI VALORI ETICI DEVONO ISPIRARSI I CATTOLICI IMPEGNATI
IN POLITICA?
CHIESA E LAICITÀ DELLO STATO
Le leggi civili sono giuste o ingiuste innanzitutto in riferimento a una morale umana. Il criterio di giudizio non può non far riferimento ai diritti umani e al bene comune dei cittadini.
Caro padre, la scomunica che colpisce chi pratica o presta la propria opera a un aborto ha colpito anche me, cardiologo, non obiettore di coscienza. Mi è stato chiesto di assistere una paziente che ha scelto di interrompere la gravidanza perché il feto era portatore di gravi malformazioni, seppur compatibili con la vita biologicamente intesa. Io sono felice di essere stato scomunicato.
Ritengo profondamente ingiusto che la Chiesa voglia intervenire in maniera così autoritaria non sull’etica, ma sull’ordinamento amministrativo di uno Stato sovrano. Così come trovo ingiusto chiedere a un parlamentare cattolico di farsi guidare nelle scelte di voto dall’etica della Chiesa. Non viviamo in una Repubblica confessionale, e un deputato cattolico non può decidere anche per chi cattolico non è, e per chi ha valori etici diversi.
La stessa concezione della vita e del possesso dell’anima da parte del feto sono molto diversi fra ebrei, musulmani e cattolici. Perché dovremmo imporre la nostra visione anche a chi non la pensa come noi? L’Italia non è lo Stato pontificio! È auspicabile una sana laicità per tutti i parlamentari; io vorrei che lo Stato avesse come guida e come ideale un’etica illuminata, dove ciascuno, nel rispetto della legge, potesse decidere di sé autonomamente e secondo la propria coscienza, senza essere costretto a sottostare a leggi che derivano da princìpi confessionali che non condivide.
Sono contento di essere fuori da questa Chiesa, dove la pietà è stata sostituita dalla crudeltà (vedi il caso Welby o la campagna antireferendaria sulla Legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita); dove la verità è stata sostituita dall’ipocrisia (si contrasta il divorzio quando poi la Sacra Rota annulla matrimoni con sentenze al limite della barzelletta; per non parlare del trattamento riservato agli omosessuali); dove si condanna senza appello il relativismo (dimenticando che il contrario del relativismo è l’assolutismo!).
Vorrei vivere in uno Stato laico, dove ciascuno possa decidere di sé stesso secondo il proprio credo e le proprie convinzioni etiche, nel rispetto di leggi non dettate da "intermediari porporati". Vorrei vivere in uno Stato che garantisca i diritti anche di quei cittadini che decidono di fare scelte diverse dal matrimonio. Vorrei vivere in uno Stato dove l’ideale illuministico possa convivere con quello del sentimento religioso, senza che quest’ultimo debba prevalere sull’altro. Vorrei vivere in uno Stato dove la Chiesa non abbia la presunzione di imporre la propria verità a chi non crede; vorrei una Chiesa dialogante e non arrogante, non impegnata in "moderne crociate" oppure alla caccia delle streghe. Fino ad allora sarò contento di essere scomunicato.
Dr. Francesco D.
La laicità dello Stato significa accoglienza e, insieme, imparzialità nei confronti delle diverse religioni ed etiche religiose. Il cittadino, infatti, può essere credente o non credente, appartenere a una religione piuttosto che a un’altra. Ha, quindi, il diritto di sottostare a una legislazione civile, non confessionale.
Laicità dello Stato, tuttavia, non vuol dire neutralità o imparzialità nei confronti dell’etica umana, fondata sui valori (diritti) della persona che rinviano a esigenze che sono di ogni uomo a prescindere dal credo religioso o ideologico. In altre parole, le leggi civili sono giuste o ingiuste non in riferimento a una morale di un particolare gruppo umano o di una morale di tipo confessionale, ma innanzitutto a una morale umana. In breve, la categoria dei diritti umani è il criterio in base al quale si giudica la giustizia/ingiustizia delle leggi civili e penali.
Se non si rimane irretiti nelle sterili contrapposizioni ideologiche, si può facilmente verificare che nessuna legge dello Stato, tra quelle ricordate nella lettera, è di tipo confessionale. La permissione giuridica dell’aborto, in particolari condizioni, è insostenibile per motivazioni razionali prima ancora che confessionali: il diritto alla vita è un diritto fondamentale di ogni essere umano, che la legge deve tutelare; che il feto sia un essere umano fin dall’inizio, e non a partire da una soglia biologica successiva, è una tesi che ha basi razionali; che il feto non sia da considerare una merce da scartare quando è "avariata" non ci si arriva per fede, ma attraverso la ragione.
La scomunica nella quale incorre il cattolico che pratica e favorisce l’aborto è un invito a comprendere la gravità di un delitto che si tende a nascondere e a giustificare. La legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita è certamente una legge restrittiva, ma non è confessionale: il divieto della fecondazione eterologa, del congelamento degli embrioni... si fonda su un’argomentazione razionale; sarà più o meno condivisibile, ma ciò non toglie che l’argomentazione sia razionale.
Così la proibizione del matrimonio omosessuale e dell’eventuale adozione non deriva da particolari concezioni religiose, ma da una valutazione di ragione e, in questo caso, dal diritto del bambino ad avere un padre e una madre.
Si esige che la legge civile sia il risultato di un dibattito che coinvolga parlamentari di diversa fede religiosa e di diversa opzione etica. Il parlamentare cattolico non pretende di imporre le esigenze della sua etica, ma anche il cosiddetto laico non può pretendere di avere il monopolio della ragione. È una strana laicità quella di ritenere che l’argomentazione razionale sia solo dalla sua parte e che dall’altra ci siano solo concezioni fideistiche; che da una parte ci sia senso democratico e che dall’altra ci sia imposizione del proprio credo e della propria etica.
Ogniqualvolta che i cattolici in politica si impegnano democraticamente a elaborare leggi a favore del diritto alla vita (contro l’aborto); del rispetto alla vita dall’inizio al termine naturale (contro l’uso strumentale degli embrioni e l’eutanasia); del diritto del nascituro ad avere due genitori certi (contro la fecondazione eterologa)..., argomentano in base ai diritti umani e al bene comune.
Oggi più che mai, come ci ricorda la recente Nota pastorale della Cei (che pubblichiamo a pag. 31), i cattolici impegnati in politica si trovano a operare in un contesto culturale «nel quale la visione autenticamente umana della persona è contestata in modo radicale». Se i cattolici saranno coerenti con la loro fede e più avvertiti degli altri in tema di diritti umani, sarà un bene per loro e per tutti.
D.A.
Famiglia Cristiana,n. 14
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